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Casey

Mia madre ordina a me e Branley di sederci al tavolo, indicando il posto come se fosse tutto perfettamente pianificato, già immaginato da giorni.

«Tra un po' è pronta la cena, intanto voi due sedetevi e rilassatevi».

Dice, con un sorriso che si estende fin quasi agli occhi, orgogliosa di questo rituale.

«Vuoi che ti dia una mano?»

Le chiedo, cercando di rendermi utile, ma quasi certa della sua risposta.

Papà ridacchia e scuote la testa.

«Secondo te vi invita a cena e vi mette a lavorare? Dovresti conoscerla, tua madre, no?»

Scoppio a ridere, e Branley mi lancia un'occhiata ironica.

«Casey, sei esattamente come tua madre quando si tratta di avere tutto... perfetto, direi. Quindi, non riderei troppo».

Faccio spallucce, fingendo di non dargli corda, anche se so che ha ragione. Forse è proprio da lei che ho imparato questo bisogno di controllo, di far andare tutto secondo i piani. Mi tranquillizza; mi dà l'impressione che il caos non possa invadere tutto, anche se so che è una bugia.

Mia madre rientra nella sala da pranzo con un piatto di antipasti, orgogliosa come sempre delle sue creazioni. Mi sorride, mi passa vicino, e io la guardo con un affetto improvviso che quasi mi stringe il cuore.

Ma proprio mentre allungo la mano verso il primo boccone, il mio cellulare vibra sulla tovaglia. Istintivamente, afferro il telefono e, vedendo quel numero, sento il sangue gelarsi. Un otto finale... Frank.

«Scusatemi, torno subito».

La mia voce è sottile, troppo affrettata. Non guardo nessuno negli occhi mentre mi alzo, quasi meccanica. Mi scuso e con il cuore che accelera esco dalla sala da pranzo, dirigendomi verso l'ingresso, lontano dalle orecchie attente di Branley e dei miei.

Premo il pulsante per rispondere e porto il telefono all'orecchio, cercando di mantenere la voce ferma.

«Cosa vuoi, Frank?»

Sputo fuori, l'amarezza mi graffia la gola.

«Tra noi è finita!»

La sua voce è come ghiaccio, priva di emozione, tagliente.

«Non è finita, e tu lo sai».

Risponde, il tono sprezzante.

«Odio perdere».

Sento un'ondata di rabbia mischiata a paura. Ogni parola sua sembra avere il potere di riportarmi a quei giorni, a quella versione di me che stava perdendo ogni brandello di sé stessa.

«Non mi devi più chiamare, hai capito?»

Cerco di rispondere, ma c'è un tremore nella mia voce che mi tradisce.

Frank ride piano, un suono freddo e sgradevole.

«Branley lo sa, Casey? Lo sa che hai provato a farla finita?»

È come una frustata, un pugno nello stomaco che mi lascia senza fiato. Le sue parole si insinuano nei miei pensieri, affondando nei ricordi più oscuri. Ho provato a dimenticare quella notte, a seppellire quei giorni. Era tutta colpa sua, tutta colpa sua. Non ero io a essere sbagliata. Non ero io...

«È tutta colpa tua, Frank».

Mormoro, e le parole escono come un sussurro.

«Colpa tua...»

Il mio cuore batte forte, e so che sto ripetendo a me stessa qualcosa che è diventato il mio mantra in terapia, qualcosa che non voglio dimenticare. Ma ora, a sentirlo dalla sua voce, torna tutto a galla.

Con Frank, sentivo di non essere mai abbastanza. Mi faceva credere che tutto fosse un mio errore, ogni mio pensiero, ogni decisione, ogni desiderio. Non mi sentivo mai all'altezza; lui mi aveva fatto sentire piccola, un'ombra della ragazza che ero prima di incontrarlo. Era come se avessi perso ogni possibilità di scegliere per me stessa. Solo il fatto che lui mi vedesse come "sbagliata" sembrava giustificare tutte le sue parole, tutte le sue manipolazioni. Aveva controllato tutto, perfino il mio accesso all'università, i miei contatti con gli amici e la famiglia.

Ricordo quella sensazione, il momento in cui toccai il fondo. Gli antidepressivi erano stati un rifugio, una via di fuga da un dolore che non sapevo nemmeno di provare. Ogni pillola sembrava anestetizzare qualcosa, ma allo stesso tempo mi allontanava sempre di più da me stessa. E se non fosse stato per mia madre... Se non fosse stato per mia madre...

Chiudo gli occhi e una lacrima mi sfugge, una lacrima che non posso trattenere, non più.

«Vaffanculo».

Mormoro, e chiudo la chiamata, premendo con forza il pulsante come se potessi cancellare anche il ricordo di lui.

Appoggio una mano al muro, il respiro affannoso. Il cuore batte così forte che mi sento stordita. Frank è tornato, e con lui tutto il dolore, tutto quel senso di impotenza. La mia mano trema e per un momento, lascio che le lacrime scorrano liberamente sulle guance.

Se fossimo rimasti insieme, penso a quanto sarebbe stato diverso.

Mi avrebbe portata lontano dalla mia famiglia, dagli amici, da me stessa. Ma ora c'è Branley, e lui non sa tutto. Non sa quanto profondo sia stato il buio in cui sono sprofondata, quanto mi sia dovuta ricostruire pezzo dopo pezzo.

Devo tornare da loro, far finta di niente, fingere che tutto sia sotto controllo. Ma so che niente è davvero sotto controllo quando Frank è coinvolto.

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