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Casey
Eccolo, il passato che torna come una corrente gelida, impossibile da fermare. Con Frank è iniziato tutto quando avevo solo vent'anni. Non sapevo niente dell'amore, allora, e forse neppure di me stessa. Ero giovane, ingenua, convinta che tutti i ragazzi fossero semplici, sinceri. Lui sembrava perfetto: era affettuoso, premuroso, il tipo di ragazzo che tutti approvano. La prima volta che siamo usciti insieme ricordo che c'era un freddo pungente, come oggi, e lui si era subito preoccupato di me.
«Hai freddo?»
Aveva chiesto, guardandomi con quegli occhi scuri e profondi che sembravano capaci di vedere attraverso tutto.
«Posso darti la mia felpa».
Avevo riso, una risata piccola, imbarazzata.
«Sto bene, grazie».
Avevo risposto, trattenendo un sorriso.
Lui aveva annuito, guardandomi in quel modo attento che all'inizio mi faceva sentire speciale, unica.
Sembrava davvero uno dei quei ragazzi che fanno di tutto per proteggerti. Però a volte faceva commenti che mi facevano pensare... sì, persino sorridere per quanto suonassero strani. Quella sera, ad esempio.
«A che ora hai il coprifuoco?»
Avevo riso di nuovo, pensando che scherzasse.
«Coprifuoco? Ma sei serio?»
Avevo replicato, incredula.
«Di solito rientro verso le undici».
Lui si era messo a fissarmi, il sorriso si era affievolito leggermente, ed era arrivato quel commento semplice, quasi casuale.
«Un po' troppo tardi, non pensi?»
Avevo scrollato le spalle, all'epoca non ci avevo dato peso. Era uno scherzo, o almeno così mi ero convinta. Ma ora, a distanza di anni, mi rendo conto che non era proprio così, e che quello era solo l'inizio di una lunga serie di parole e di atteggiamenti che avevano cominciato a insinuarsi nella mia mente, a farmi dubitare delle mie scelte. Ogni giorno un po' di più. Mi ci sono voluti due anni per capire, per ammettere a me stessa che quella storia non mi stava facendo bene. E alla fine, grazie al cielo, ho trovato il coraggio di chiudere quella porta. E poi, a ventiquattro anni, è arrivato Branley.
Con lui è tutto diverso, anche se all'inizio avevo una paura costante, irrazionale, di cadere di nuovo in una relazione che mi avrebbe consumata. Branley mi ha aiutata a superare quel timore, giorno dopo giorno. Sono sei anni che stiamo insieme, e sento di potermi fidare di lui come di nessun altro. Ma ora, dopo anni di tranquillità, sono qui a nascondere qualcosa, un segreto che non avrei mai voluto dover tenere con lui.
Mi scuote il suono della sua voce, profonda e familiare, che mi riporta al presente. Branley è affacciato alla porta del soggiorno e mi fissa con un sopracciglio alzato, curioso.
«Chi aveva suonato?»
Domanda, facendomi sussultare.
Per un attimo, mi manca il fiato.
«Ah, nessuno... uno che ha sbagliato».
Rispondo, cercando di mantenere un tono rilassato, ma sento la tensione che mi stringe la gola. Il bigliettino di Frank e quelle dannate rose sono spariti fuori, nel secchio dell'immondizia, al sicuro. Branley non deve saperlo.
Lui annuisce, per fortuna non troppo sospettoso, ma mi guarda di nuovo, attentamente.
«Sei pronta?»
«Vado a prendere la borsa».
Rispondo velocemente, cercando di mascherare l'agitazione.
«Spegnii tu le luci dell'albero?»
Branley mi osserva, studiandomi. È troppo perspicace, come sempre.
«Sicura di star bene?»
Insiste.
«Mi sembri agitata».
Cerco di sorridere, ma anche a me sembra una smorfia tirata.
«È tutto ok».
Rispondo, forzando la voce a sembrare normale. Non voglio che noti la mia inquietudine, non voglio che faccia domande.
Branley alza le spalle, facendosi una risata lieve.
«Faccio finta di crederci».
dice, con quel tono tra il serio e lo scherzoso che mi fa sentire un pizzico di colpa. Non dovrei mentirgli, non dovrei tenere nulla nascosto a lui, proprio lui che mi è stato accanto nei momenti più difficili, che mi ha dimostrato in mille modi la sua sincerità.
Prende le chiavi dal mobile, spegne le luci dell'albero con un gesto rapido, e insieme usciamo dalla porta di casa. La notte è gelida e un leggero strato di neve copre il vialetto. Il silenzio è profondo, interrotto solo dal rumore dei nostri passi sulla neve.
Saliamo in macchina, e la mia mente continua a tornare a quelle rose, a quelle parole sul bigliettino, "mi sei mancata." Non dovrei pensarci, ma è come se quelle lettere si fossero stampate a fuoco nella mia memoria. Non capisco perché ora, perché dopo tutti questi anni. È finita. È tutto finito. Branley non deve saperlo, non deve vedere quel lato di me, quella vulnerabilità che ho sempre cercato di seppellire. Con lui sono al sicuro. Ma allora, perché mi sento così in pericolo?
La macchina si muove lentamente sulla strada coperta di neve. Mamma abita a Athenis, e il tragitto da Avaloria dura un'ora e mezza senza traffico. Oggi però, con la neve, potrebbe essere più lungo. Il tempo non passa mai quando la mia mente è piena di pensieri. Fisso il finestrino, osservando i fiocchi che scendono lenti e fitti.
Branley si gira a guardarmi mentre guida, e noto una lieve preoccupazione nel suo sguardo.
«Sei sicura di voler andare?»
Domanda.
«Hai l'aria di qualcuno che vorrebbe restare a casa».
Scuoto la testa, cercando di tranquillizzarlo.
«No, davvero, va tutto bene. Non vedo l'ora di vedere mamma e papà».
Rispondo, anche se sento le parole suonare un po' vuote.
Branley non insiste, ma appoggia una mano sulla mia, e il calore della sua stretta mi trasmette una piccola onda di sollievo. Lui non mi abbandonerà, qualunque cosa succeda.
Mi appoggio al sedile e chiudo gli occhi per un momento. Ma anche a occhi chiusi, l'immagine di Frank e di quelle rose mi perseguita, come un'ombra che si insinua in mezzo alla luce. Non dovrei pensarci, non dovrei permettere al passato di tornare a controllarmi. Eppure non riesco a fermare quella voce sussurrante nella mia mente.
