Prologo
Casey
È la vigilia di Natale e c'è quell'atmosfera tipica, un misto di eccitazione e di caos. Io e Branley abbiamo una cena a casa di mia madre e, come sempre, mi ci è voluto tutto il pomeriggio per decidere cosa mettere. Mi trovo davanti all'armadio aperto, osservando l'ultimo vestito tra quelli che ho provato, un maglione color crema e dei jeans scuri, che alla fine penso sia la scelta migliore.
Branley è in piedi vicino a me, si passa una mano tra i capelli arruffati e si volta verso di me, sorridendo.
«Vado a farmi una doccia».
Dice con quel tono casuale.
«Hai visto la camicia?»
Sorrido e indico una pila di vestiti sulla sedia.
«Dovrebbe essere sulla... Muffin, giù!»
Esclamo, interrompendo la frase per sgridare il gatto, che in quel momento sta cercando di arrampicarsi proprio sui miei vestiti. Il suo pelo nero è già ovunque, come al solito.
Branley ridacchia e si china verso il piccolo Muffin.
«Muffin, vieni qua, dai...»
Dice, prendendolo con cura e posandolo a terra. Muffin fa qualche passo all'indietro e poi mi fissa con un'aria quasi offesa, ma alla fine si allontana trotterellando.
«Problema risolto».
Dice Branley, guardandomi ancora con quel sorriso rilassato. Poi afferra la camicia e si avvia verso il bagno, chiudendo la porta dietro di sé.
Rimango sola in camera, osservando il disordine intorno a me. Finalmente, però, sono pronta. Sospiro e mi scosto una ciocca di capelli dietro l'orecchio, decidendo che è ora di scendere al piano di sotto per sistemare la borsa con i regali per mamma e papà. Ho scelto tutto con cura, come sempre, e mi piace immaginare la loro espressione quando apriranno i pacchi. Mio padre farà il suo solito sorriso paziente, mentre mamma probabilmente mi abbraccerà dicendo che ho "esagerato" anche quest'anno.
Mi avvio per le scale, con le mani piene di pacchetti ben avvolti in carta colorata, quando sento il campanello suonare. Fermo i pensieri per un momento, sorpresa. Non aspettavamo nessuno, e di sicuro non alla vigilia. Appoggio con cura i regali sul divano e mi avvicino alla porta, già preparando una scusa per qualsiasi vicino possa essere venuto a disturbarci. Forse è il postino, o qualche spedizione dell'ultimo minuto.
Apro la porta, pronta a sbrigarmela in fretta. Davanti a me c'è un ragazzo con il classico cappello da fattorino, in una mano tiene un mazzo di rose rosse che spiccano contro il grigio della giornata invernale.
«Lei è la signorina Griffith?»
Domanda, guardandomi con un sorriso professionale.
Esito un secondo. Annuisco, seppure confusa.
«Sì, sono io, ma... credo ci sia stato uno sbaglio».
Mi osserva e scuote la testa.
«No, no, niente errore. È stato il suo fidanzato a ordinare».
Rimango lì, immobile, mentre il mio cervello cerca di capire cosa significhi. Branley? Impossibile. Lui sa che odio le rose. Lo sa fin troppo bene: ne abbiamo parlato, e anche se all'inizio gli sembrava strano, ha capito. È impossibile. Lui non farebbe mai una cosa del genere. C'è qualcosa che non torna. Guardo le rose, e un'ondata di ansia mi sale dentro.
«Ehm, grazie...»
Dico, prendendo il mazzo un po' esitante. Le rose sono splendide, grandi, rosse come il fuoco, ma c'è qualcosa che mi lascia a disagio. Penso subito a controllare se c'è un bigliettino, mentre il fattorino si congeda velocemente.
Rimango sola sull'uscio di casa, guardando quel mazzo con crescente inquietudine. Cerco tra i petali, e finalmente lo vedo: un piccolo cartoncino bianco, nascosto tra le rose.
Lo prendo e lo apro, trattenendo il respiro. E appena leggo la scritta, tutto intorno a me sembra fermarsi.
Ciao topolina, mi sei mancata...
Resto paralizzata, la mente piena di pensieri che si accavallano come onde troppo alte. È impossibile, non può essere lui. Eppure, quella scritta... è proprio sua. Solo lui mi chiamava così. Frank.
Mi tremano le mani, il bigliettino scivola dalle dita e cade sul pavimento. Il passato, che pensavo di aver sepolto per sempre, torna a galla in un istante. Frank. Non dovrei nemmeno pensare a lui, non adesso, non con Branley nella mia vita. Ma eccolo qui, di nuovo. Inaspettato, invadente, come se questi anni non fossero mai passati.
Cerco di farmi forza, di razionalizzare. Magari è uno scherzo, o un errore. È impossibile che sia Frank, lui sa cosa c'è stato, sa perché tutto è finito, sa che non ha senso... ma non riesco a scacciare un senso di inquietudine, di paura.
Devo calmarmi, fare un respiro profondo, e pensare. Branley è di sopra, e l'ultima cosa che voglio è che veda queste rose. Non voglio che lui sappia. Non voglio che questa serata, questa vigilia tranquilla e felice, venga rovinata da un fantasma che non dovrebbe più far parte della mia vita.
Ma non riesco a muovermi. Resto lì, immobile, come se il pavimento mi trattenesse. Il pensiero di rivedere Frank, di sentirlo, mi gela il sangue. Non voglio avere a che fare con lui. Ma ora è impossibile ignorarlo.
Mi abbasso lentamente, raccogliendo il bigliettino, come se toccarlo potesse darmi una spiegazione. Guardo quelle parole, semplici e familiari, e sento un'ondata di emozioni contrastanti. Paura. Rabbia. Forse anche un filo di nostalgia, ma subito mi costringo a respingerla. Non c'è spazio per Frank nel mio presente, non ci deve essere.
Mi guardo intorno come se temessi che qualcuno mi stia osservando, e poi mi allontano dalla porta, chiudendola dietro di me. Non voglio che Branley sappia, non ancora.
