4
Steffy annuì lentamente.
«Va bene… scendi dall’auto. Siediti un momento. Non forzarti a guidare in queste condizioni.»
L’uomo si guardò attorno. La strada era deserta, nessun veicolo all’orizzonte.
«Riposati qui, poi parleremo dei danni alla macchina.»
Steffy non obiettò. Sentiva che il suo corpo non avrebbe retto un altro chilometro. Con passo incerto scese e, sorretta da quell’uomo, si lasciò accompagnare fino alla panchina di una pensilina.
Lui si alzò in piedi, svitò una bottiglietta d’acqua e gliela porse.
«Bevi. Sembri sul punto di svenire.»
«Grazie…» mormorò Steffy, prendendo la bottiglia. Bevve a piccoli sorsi: la debolezza non era svanita, ma almeno il respiro cominciava a farsi meno affannoso.
«Mi chiamo Daniel Jones,» disse infine l’uomo, dopo un attimo di silenzio. «E tu... chi sei?»
«Steffy...» rispose lei a voce bassa. «Mi dispiace per la tua macchina…»
Daniel annuì, gettando un’occhiata verso l’auto di Steffy: il motore ancora acceso, il cofano ammaccato.
«Vedremo più tardi l’entità del danno. Ma ti dico la verità, mi preoccupa più l’idea che ti fosse capitato qualcosa in curva. Avresti potuto svenire in mezzo alla strada... e sarebbe stato molto più grave.»
Steffy sollevò lentamente lo sguardo e lo osservò per la prima volta. Il volto marcato, lo sguardo deciso, ma in fondo alla voce traspariva una vena di premura. Non era un uomo che si mostrasse cordiale al primo incontro, ma neppure crudele.
«Ho solo troppi pensieri in testa,» sussurrò lei.
E mentre lo guardava, dentro di sé provava un misto di sorpresa e confusione: quell’uomo, che l’aveva aggredita con rabbia, ora le offriva cura e attenzione inaspettate.
Quando si sentì un po’ più forte, Steffy decise di ripartire.
Prima di andare, porse a Daniel un biglietto da visita.
«Potrai contattarmi per il risarcimento dei danni. Ti chiedo ancora scusa.»
---
Il giorno dopo, nella residenza dei Willson.
Evelyn era crollata sul divano. Il corpo tremava, le lacrime scivolavano copiose sul viso. Solo in quel momento si rese conto che tutto ciò per cui aveva combattuto l’aveva condotta alla rovina: l’onore, la famiglia, persino l’uomo che diceva di amare.
Si coprì il volto con entrambe le mani, scossa dai singhiozzi. Doveva ora affrontare la gravidanza nell’ombra di un tradimento che lei stessa aveva tessuto.
Le ultime parole di Steffy, pronunciate prima di andarsene, tornavano a risuonarle nella mente.
«Non ti odierò, Evelyn... Ma da oggi non ti vedrò più come mia sorella.»
Un grido soffocato le sfuggì dal petto. Evelyn pianse più forte.
Nel salotto, Hendry si lasciò cadere sulla poltrona, chiuse gli occhi un istante. Sapeva che la tempesta non era ancora finita.
Nadine, che dalla sera precedente non smetteva di temere per Steffy, si avvicinò a Hendry con una borsa in mano.
«Dove vai?» domandò Evelyn, fissando la madre.
«Devo stare accanto a Steffy!» rispose Nadine, senza esitare.
«Sono io che dovrei essere consolata! Io, incinta senza un marito! E anche adesso, non riuscite a vedermi?» urlò Evelyn.
Ma né Hendry né Nadine si mossero.
La donna salì in macchina, accompagnata dall’autista, diretta alla villa privata dei Willson.
Quando arrivò, trovò Steffy seduta, il volto rigato di lacrime. Gli occhi gonfi dicevano che non aveva smesso di piangere dalla sera prima.
Nadine non disse nulla. Si avvicinò e la strinse forte, in un abbraccio lungo, caldo, pieno di un amore represso.
Steffy sussultò, sorpresa. Ma le bastarono pochi istanti perché le lacrime tornassero a scendere.
«Forse quel test del DNA dice la verità,» sussurrò Nadine con voce spezzata. «Ma il mio cuore di madre non può mentire, Steffy. Io lo so... io lo sento... tu sei mia figlia.»
L’abbraccio si fece più intenso. Nadine tremava nel pianto, e Steffy restò immobile, lasciando che quel calore la penetrasse.
«Mamma...» la voce di Steffy si incrinò. «Sono felice di sentirlo... Ma so anche che la realtà non è così semplice.»
Nadine sciolse piano l’abbraccio, fissandola negli occhi. Il suo sguardo era pieno di amore e dolore insieme.
«Non ti obbligherò a credermi,» mormorò. «Ma ti prego, resta mia figlia.»
Steffy annuì lentamente. «Certo, mamma. Però... se non fossi io la tua figlia naturale, dobbiamo scoprire chi è stata scambiata. Dobbiamo trovarla.»
Gli occhi di Nadine si velarono di emozione. «Non devi sentirti obbligata...»
«Lo voglio,» la interruppe Steffy, decisa. «Se quella donna è viva, ha il diritto di sapere chi è sua madre. E tu hai il diritto di stringere la tua vera figlia.»
Per un istante regnò il silenzio. Solo il ticchettio dell’orologio e il respiro delle due donne riempivano la stanza.
«Grazie, Stef...» balbettò Nadine, sopraffatta. «Dio sa quanto sono grata di averti nella mia vita, anche se la verità è così amara...»
«Anch’io sono grata di essere cresciuta qui... di aver ricevuto amore da te e da papà. Non voglio che tutto finisca per un errore di altri.»
Nadine le accarezzò il viso. «Tu sei davvero speciale.»
Non sapevano che, dietro la porta, Evelyn stava ascoltando.
Era venuta di nascosto: non accettava che la madre fosse corsa da Steffy, così l’aveva seguita fino alla villa. Evelyn aveva fallito nel tentativo di liberarsi di Steffy. E ora, temeva l’arrivo di un’altra rivale.
«Devo muovermi in fretta,» sibilò tra sé, mordendosi il labbro. «Non posso lasciare che trovino quella donna prima di me. Fingerò di accettare la decisione di papà. Così loro si concentreranno sulla ricerca... mentre io incontrerò David di nascosto.»
