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Capitolo 4

È passata una settimana dall'inizio delle lezioni e non mi sono mai sentita così viva eppure così stanca in vita mia. Letteratura Francese è senza dubbio lamia preferita, non so bene perché ma per un motivo o per un altro c'è qualcosa in quella lingua e in quel paese che mi attrae moltissimo. Magari un giorno andrò in Europa anche io.

La convivenza con Mara procede in modo tranquillo, anche se preferisco andare a studiare in biblioteca per evitare di doverle chiedere in continuazione di abbassare il volume della musica. Pace e tranquillità sono tutto ciò di cui ho bisogno per riuscire a rimanere concentrata sui libri. Le lezioni del suo corso non sono ancora iniziate e ho scoperto che fare amicizia dopo il liceo è tremendamente difficile. Beh, a tutti gli effetti non posso neanche considerarci amiche. Di lei conosco ancora poco e nulla; a parte i numerosi perizoma colorati che sfoggia in stanza non so niente sulla sua famiglia o sul suo passato. Nonostante questo abbiamo iniziato a condividere tazze di cioccolata calda prima di andare a letto e cappuccino e brioche a colazione.

La sveglia suona lasciandomi emettere dei piccoli mugugni prima di ritornare effettivamente alla realtà. Dio, ho bisogno di 24 ore di sonno ininterrotto. Sono le 06:30 del mattino e mi catapulto giù dal letto per fiondarmi in doccia prima che Mara si rinchiuda lì dentro per due ore. L'acqua bollente che mi scorre sulla pelle è la cosa più rilassante che esista e mi concedo uno scrub alla vaniglia per iniziare bene la giornata.

«Facciamo colazione insieme?» sussurra ancora mezza addormentata Mara, mentre io sto già preparando la borsa con gli appunti che mi serviranno durante la giornata.

«Va bene, se non ci metti due ore in doccia», le rispondo.

«Solo cinque minuti» annuncia, lanciando via i vestiti ancora prima di entrare in bagno.

Per un momento mi blocco a guardarla, senza malizia, ma con la tacita invidia di voler avere le sue forme perfette.

La caffetteria del college è un posto davvero carino, niente a che vedere con quella degli Zii e il caffè è nettamente più scadente, ma sta diventando comunque uno dei miei posti preferiti.

«Cosa farai nel weekend?» mi chiede Mara, con il suo bicchierone di Iced Coffee tra le mani e una sigaretta dietro l'orecchio. Ecco un'altra regola messa in chiaro sin da subito, niente fumo di nessun tipo in stanza.

«Ho promesso ai miei Zii di andare a lavorare al caffè letterario in città durante i fine settimana» rispondo, sorseggiando il mio cappuccino ancora bollente «ma in questi giorni saranno a San Francisco per un evento, quindi mi sa che resterò qui a leggere qualche libro e passeggiare per il campus.»

«Io ritornerò a casa, i miei stanno poco fuori Boston in una villa che resterebbe vuota anche con venti persone all'interno» dice lei, e mi rendo conto che ero così presa dai miei discorsi da non averle niente chiesto dei suoi piani. «Perché non vieni con me? C'è una spa e mio fratello ha una libreria che ti lascerebbe a bocca aperta» mi chiede poi.

«Non vorrei disturbare» le dico, un po' in imbarazzo.

«Ma figurati, i miei neanche si accorgeranno della nostra presenza. Stasera facciamo le valigie e partiamo domani mattina presto.»

Non replico neanche più, ha già deciso per entrambe e nonostante io sia leggermente titubante non può che farmi bene iniziare a coltivare nuove amicizie. L'ultima lezione della settimana passa piuttosto velocemente, lasciandomi riempire tre pagine stracolme di appunti che riuscirò a rivedere solo con l'inizio della nuova settimana. Forse concedermi un momento di svago proprio adesso non è il massimo, ma sempre meglio ora che dopo quando il cumulo di cose da studiare sarà molto più sostanzioso.

Arrivate a fine giornata ho uno zaino riempito con pigiama, cambio, spazzolino e prodotti per il bagno; giusto il minimo indispensabile per due giorni fuori. Sono talmente stanca che la cioccolata calda per una sera passa in secondo piano e crollo sulle coperte ancora vestita. È la sveglia del giorno dopo, alle cinque del mattino, che mi destabilizza svegliandomi da un sogno dove Aristotele e Platone erano i miei professori. Quando la smetterò di fare sogni strani sarà ormai troppo tardi.

Mara guida una Ford Mustang arancio che s'intona perfettamente ai colori dell'alba, una visione suggestiva se non fosse che in un orario diverso da questo risulta come un vero e proprio pugno nell'occhio. Sobrietà non è proprio la parola chiave di questa ragazza, eppure ha indosso una semplice tuta e degli anfibi neri.

Non ha neanche fermato il motore della macchina davanti il vialetto di casa ed io sto già a bocca aperta. È una villa immensa e rustica, interamente costruita in legno con dettagli in mattone.

«Benvenuta a casa LeBlanc!»

«LeBlanc? Francese?» le chiedo.

«Sì, mia mamma è nata in Francia. Un giorno è arrivata in America per lavoro e un matrimonio e tre figli dopo è ancora qui» mi risponde, prendendo le borse dai sedili posteriori. «Scusala se la sentirai parlare in Francese, insiste con l'importanza di essere bilingue.»

«Nessun problema! Sto cercando di impararlo, è tra le materie del mio corso» dico.

All'interno la casa è ancora più bella. Un open space accoglie la cucina con penisola e poco distante un immenso tavolo da pranzo, insieme alla tv da 80 pollici e quattro divani disposti a ferro di cavallo. Come aveva preannunciato Mara, in giro non c'è anima viva. Dopo la cucina s'intravedono altre stanze ma noi saliamo direttamente al piano di sopra. La sua camera è tappezzata di quadri Pop Art che non saprei effettivamente stimare come originale, ma vi è una grande possibilità che lo siano. Subito dopo aver posato le sue cose mi conduce nella mia stanza. È la prima volta che, andando a casa di qualche amica, mi ritrovo ad avere un'intera stanza tutta per me. I miei standard fin ora erano cuscino e coperta per terra. La camera degli ospiti al contrario è molto minimal e accogliente, con delle yankee candle sul comò e un set di asciugamani sul letto.

«Ho avvertito che sarei arrivata con un'amica così che Jordan potesse preparare tutto»

«Oh grazie» rispondo. Non ho la minima idea di chi sia Jordan, ma a questo punto penso si tratti di un maggiordomo o qualcosa del genere.

«Ti lascio cambiare, metti il costume e andiamo in Spa» mi dice.

Oh merda, non ci avevo proprio pensato. «In realtà non ne ho, non pensavo di dover fare il bagno da queste parti». Mi torna in mente che l'unico bagno che sono riuscita a concedermi è stato in biancheria intima, e qualcuno mi ha anche vista.

«Fa niente, ti presto uno dei miei.»

Dieci minuti più tardi mi sto ancora guardando allo specchio, finché non trovo finalmente il coraggio di uscire dal bagno.

«Credo mi stia un po' stretto». La parte dietro è completamente sparita, risucchiata dalle mie natiche che potrebbero far concorrenza ad una porta aerea. Stare col sedere di fuori mi mette a disagio, mentre due striscioline mi evidenziano i fianchi per quanto è sgambato. Anche il pezzo di sopra è piccolo, ma quanto meno copre il minimo indispensabile. Il mio intimo bianco dell'altra volta copriva di più.

«Ma che dici, stai benissimo» afferma Mara, riuscendo finalmente a trascinarmi con sé. Alla fine siamo solo noi due e lei non si scandalizza di certo.

Quella che avevo immaginato come una piccola saletta è in realtà una vera e propria area con piscina e sauna. Quasi stento a credere ai miei occhi. Dopo tutti i problemi per questo benedetto costume una nuotata è praticamente d'obbligo. Ovviamente l'acqua è calda e il rumore di un leggero idromassaggio rende il tutto ancora più rilassante. Potrei quasi addormentarmi, ma ci pensa Mara a schizzarmi l'acqua in faccia come una bimba che si diverte per la prima volta al mare. Potrei continuare questo gioco per ore, ma da brava stupida che sono il mascara applicato questa mattina mi ricorda che non mi trucco abbastanza spesso da scegliere trucchi waterproof e tutto il prodotto che cola mi sta facendo bruciare gli occhi da morire. Corro a tamponarmi il viso con un asciugamano, colata e con il costume ancora più striminzito dall'acqua, ed ho appena il tempo di recuperare le mie capacità visive prime di sentire quella solita voce.

«Principessa, ti piace proprio fare il bagno. Dovrei chiamarti Sirenetta.»

Ed eccolo lì, di nuovo lui, quello che stava per diventare il mio peggior nemico. Se ne sta sull'uscio della porta con solo un paio di pantaloncini addosso, abbassati abbastanza da lasciare intravedere un tatuaggio lì sotto. Chi è il deficiente che si tatua lì. Gli addominali scolpiti che le altre volte s'intravedevano da sotto la maglietta adesso sono in bella mostra, definiti come solo nelle statue di Caravaggio potrebbero essere. Non mi dà neanche il tempo di replicare, i suoi occhi mi fanno una radiografia completa prima di voltarsi e andare via.

«Conosci già mio fratello Ethan?», mi chiede Mara.

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