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Capitolo 1

Le copertine dei libri sono tutte allineate per colore lungo lo scaffale, mi dona una certa pace dei sensi guardarle in questo modo, perfino qui dove lavoro. È un piccolo bar letterario dall'atmosfera accogliente, con giusto quattro tavolini davanti il bancone in mogano dipinto di verde e due file di librerie nel corridoio che porta alla toilette. Quando non servo caffè bollenti o cioccolate calde mi metto a risistemare i libri o scambiare pareri con Katy, la moglie di mio Zio Dylan. O meglio, la seconda moglie. Hanno aperto questo posto poco dopo essersi conosciuti, entrambi reduci da un matrimonio fallito e con due bambine piccole. La passione per i libri ha praticamente fatto sbocciare l'amore tra i due e il piccolo "Caffè con Allan" in onore di Edgar Allan Poe ha preso vita. La mia avventura qui è iniziata circa due settimane fa, con il trasferimento a Boston in attesa di iniziare il college. Lo zio Dylan è stato subito disponibile ad ospitarmi, dopo accurate raccomandazioni di mia mamma via telefono, e visto che cercava una cameriera ha trovato in me una valida aiutante. Manca ancora una settimana all'inizio del college e avrò una stanza tutta mia, o quasi, nel dormitorio. Ovviamente dopo le lezioni andrò comunque ad aiutare al bar, quel che basta per dare una mano e guadagnare un piccolo stipendio da mettere da parte. Non sono mai stata una ragazza da grandi uscite, tutti i miei affetti stabili sono rimasti a Sacramento o hanno scelto un college dall'altro lato della costa; eppure, qualche soldo da parte per le piccole spese potrebbe sempre servirmi.

«Sempre il solito ordine da quando sei piccola eh June» mi sorride mio zio guardando come ho appena finito di sistemare i libri. Lui nel frattempo sta rimettendo in ordine tutte le stoviglie dietro il bancone, è quasi orario di chiusura ma sono presenti un bel po' di persone.

«Così ha tutto un effetto diverso» gli rispondo, mentre vengo distratta da un gruppo di ragazze e ragazzi che varcano la soglia. Nel chiuderla, un acchiappa sogni tintinna lasciando una melodia leggera nell'aria. Si accomodano tutti allo stesso tavolo, in quattro sedie nonostante siamo in cinque. Una ragazza dai ricci color dell'oro si siede in braccio a uno dei ragazzi, il vestitino in cashmere color panna le si alza sopra le cosce costringendola a sentirsi in imbarazzo. Le braccia di lui le avvolgono la vita lasciando intravedere i muscoli dalle maniche della felpa alzate sugli avambracci, i capelli neri come la pece gli ricadono sopra agli occhi e mi chiedo come facciano a non dargli fastidio.

Zia Katy ha già provveduto ad accoglierli e lasciare due menù, il contenuto è per lo più caffè di vario tipo, cioccolate calde dai gusti più svariati e frullati di stagione che quasi nessuno sceglie mai.

Lascio loro un paio di minuti prima di avvicinarmi. «Cosa posso portarvi?» chiedo, con il blocknotes in mano già pronta per scrivere velocemente tutte cose. I due ragazzi alla mia destra prendono entrambi il classico americano con latte, sorridendomi in modo piuttosto cordiale. La ragazza dai folti ricci biondi chiede un cappuccino e prima di continuare le ordinazioni mi sembra giusto dirle che posso portarle subito un'altra sedia dallo scantinato. Non ha neanche il tempo di rispondermi che il ragazzo sul quale è seduta prende la parola al suo posto. «Sta benissimo così. Comunque per me una cioccolata al peperoncino grazie». Vorrei dire qualcosa ma rimango praticamente spiazzata dal suo tono, che odio la gente che si comporta come se gli altri fossero di loro proprietà. «Arriva tutto tra pochissimo» mi limito a dire, riportando il blocchetto al bancone dove Katy ha già compreso la mia furia omicida.

Ma come si dice, non pensiamoci che è meglio. Il resto del turno procede in modo tranquillo, porto tutte le bevande senza scaraventargliele addosso e aiuto a spazzare e spolverare in attesa della chiusura. Quando finalmente iniziano ad alzarsi mi affretto a mettere via tutto, le mie cuginette ci aspettano con la babysitter, pronta a passare la serata guardando cartoni e mangiando pizza. Il solito tintinnio mi avvisa che stanno andando via e poco prima di risentire la porta che si chiuse un impeccabile «comunque bei jeans» mi da un ultimo saluto. Il bastardo mi stava guardando il culo.

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