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 Candace

La serata con Murray e Ravindra inizia bene, meglio di quanto mi aspettassi. Mi sento quasi normale, o almeno, mi illudo di poterlo essere per qualche ora. Ridiamo, scherziamo, e per un momento riesco a dimenticare tutto. Riesco a dimenticare Bryley e il dolore che mi porto dentro da giorni.

Ma poi inizio a bere. Non lo faccio apposta, non intenzionalmente almeno. Un bicchiere diventa due, poi tre, e alla fine non so neanche più cosa sto bevendo. Qualcosa di forte, sicuramente non birra. Sento la testa diventare leggera, il corpo quasi fluttuare. È un sollievo, questo senso di vuoto, come se l'alcool potesse lavare via tutto, pulire ogni traccia del dolore che mi corrode dall'interno. E per un po', funziona. Mi dimentico di Bryley, di Rohan, di tutto.

Ma poi lo vedo. Rohan. Appena entra nel bar, lo riconosco subito, e in quell'istante tutto l'effetto dell'alcool evapora, lasciandomi sola con il gelo che mi avvolge. Il mio sangue si blocca nelle vene, il cuore mi martella nel petto. Come osa presentarsi qui, dopo tutto quello che ha fatto?

Lui mi vede, e sorride. Quella dannata, arrogante smorfia sul suo volto. Mossa sbagliata.

Sento il fuoco accendersi dentro di me, l'ira che prende il controllo. Non penso, non ragiono. Mi alzo di scatto e lo raggiungo, le gambe che quasi non mi reggono. Lo schiaffo che gli tiro risuona forte, un suono netto che cattura l'attenzione di tutti nel bar. Ma non mi interessa. Niente mi interessa in questo momento, se non fargli sentire almeno un po' del dolore che mi sta consumando.

«È colpa tua se Bryley se n'è andato!»

Urlo, la voce rotta dalla rabbia, dalla disperazione. Non riconosco neanche la mia voce, così carica di emozione.

«È tutta colpa tua, Rohan! Sei solo un figlio di puttana!»

Le parole escono senza controllo, come se fossero state imprigionate per troppo tempo e ora esplodessero fuori di me.

«Mi devi lasciare in pace, devi lasciare in pace me e Bryley! Che vuoi da me? Portarmi a letto? Fallo, ma poi lasciami in pace!!»

La mia voce è un crescendo di dolore e rabbia, e mi rendo conto che sto urlando così forte che tutto il bar deve sentire ogni singola parola. Ma non mi importa. Non mi importa più niente.

Poi, quando non ho più fiato, quando le parole non riescono più a uscire, mi giro e corro via. Non so neanche dove sto andando, so solo che devo allontanarmi, devo fuggire da questo posto, da lui, da tutto. Il bagno è il primo rifugio che trovo, una porta da chiudere, un posto dove nascondermi.

Mi chiudo dentro e crollo a terra. Le gambe si piegano sotto di me e mi lascio andare, le lacrime che scendono inarrestabili. Mi stringo le gambe al petto, cercando di contenere il dolore, ma è troppo, è tutto troppo. Sento il mondo crollarmi addosso, ogni respiro è una lotta, ogni battito del cuore una ferita aperta.

Non so quanto tempo passa. Potrebbero essere minuti o ore, non riesco a dirlo. Il tempo sembra essersi fermato, lasciandomi sola con il mio dolore. Poi, la porta si apre. Non alzo la testa, non riesco a farlo. Non voglio che nessuno mi veda così, non voglio che qualcuno entri nel mio spazio di dolore.

Ma sento una voce, quella di Ravindra, dolce e rassicurante.

«Candace...»

Sussurra, e sento il suono dei suoi passi che si avvicinano. Mi si inginocchia accanto, le mani che cercano di confortarmi, di farmi sentire meno sola. Ma niente funziona. Niente può farmi sentire meglio.

«Dai, andiamo via da qui».

Dice, la sua voce è ferma ma piena di preoccupazione. Non riesco a risponderle. Non posso. Le parole sono bloccate in gola, soffocate dai singhiozzi che continuano a scuotermi. Voglio parlare, voglio dirle che non posso, che non riesco a muovermi, che non riesco a sopportare questo peso. Ma non riesco.

Mi stringo ancora di più, come se potessi chiudere fuori il mondo, come se potessi isolarmi da tutto. Le lacrime continuano a scorrere, come un fiume in piena che non si può fermare. Ravindra mi accarezza i capelli, cerca di calmarmi, ma non ci riesce. Niente può calmarmi. Tutto quello che provo è dolore, un dolore così profondo che non riesco a immaginare che passerà mai.

Il tempo passa, ma io rimango lì, ferma, intrappolata nel mio dolore. Poi, sento qualcosa. Due braccia forti mi avvolgono, mi sollevano leggermente dal pavimento. Non mi muovo, non riesco neanche a reagire. Ma poi sento quel profumo, quel profumo che conosco così bene. Bryley.

Il suo mento si appoggia delicatamente sulla mia testa, e per un attimo mi sento al sicuro. Come se tutte le mie paure e il mio dolore potessero essere spazzati via dal semplice fatto che lui è qui. Ma allo stesso tempo, il dolore si intensifica, diventa quasi insopportabile. Perché so che è colpa mia, che tutto questo è successo per colpa mia. Se solo fossi stata più forte, se solo avessi potuto evitare di crollare così.

Bryley sussurra: «Andiamo via...»

Ma io non riesco a rispondere. Non riesco a fare altro che piangere ancora più forte, il viso nascosto nel suo petto, come se potessi nascondermi dal mondo, da tutto quello che è successo. Non voglio muovermi, non voglio lasciarlo andare. Ma non so come fare a stare meglio. Non so come fare a risolvere tutto questo. E mentre rimaniamo lì, nel bagno, abbracciati in quel silenzio carico di dolore, mi rendo conto che non ho idea di cosa succederà dopo. Non ho idea di come faremo a riparare ciò che si è spezzato. Ma so che, in questo momento, non posso lasciarlo andare. Non posso farlo.  

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