L’inizio della libertà
Aela non era stata fortunata come sperava. Le sentinelle dell’Accademia l’avevano individuata quasi subito, e adesso si trovava a fuggire, cercando di spronare il suo destriero con tutte le forze. Alle sue spalle, cinque guardie che sembravano decise a non mollare la presa, le fiaccole come occhi ardenti nell'oscurità crescente.
Forse erano state le guardie a trovare il suo letto vuoto. O forse le Ninfe avevano percepito il suo incantesimo incompleto. Qualcosa, comunque, l’aveva tradita. “Per lo meno non ci sono delle ninfe…” pensò, cercando il lato positivo anche in quella situazione, un lampo di luce in una fuga disperata.
Dopotutto, Aela era fatta così: anche nei momenti più difficili, riusciva a scorgere una scintilla di speranza. “Ti troverò e ti proteggerò. Sento che io e te siamo legati.” Solo quell’idea bastò a generare in lei un’ondata di adrenalina, rinnovandole l’energia. Si sentiva viva, e per la prima volta, veramente se stessa.
Stava scegliendo per sé stessa, e nessuno — in quel momento — poteva dirle cosa fare. Fin da piccola era stata educata per diventare ciò che gli altri volevano: una Ninfa. Nessuno, però, le aveva mai domandato se fosse davvero ciò che desiderava. Ora, finalmente, stava reclamando il suo posto nel mondo, prendendo le redini del proprio destino con una determinazione feroce.
— Corri, amico mio. Metti le ali alle zampe e corri. —
Il cavallo grugnì e accelerò ancora. Lei cavalcava uno stallone purosangue Quendair, uno dei più veloci delle terre di Eidorn. Mai nessuno l’aveva raggiunta quando montava il suo amato stallone. Aela chiuse gli occhi e immaginò una fitta nebbia levarsi dietro di sé, così densa da non permettere di vedere nemmeno un palmo avanti. La magia rispose al suo richiamo. La nebbia si sollevò, un muro etereo e imperscrutabile, confondendo le sue tracce. Sentì le guardie imprecare, rallentando l’inseguimento. Ridusse l’andatura e mandò il cavallo al trotto. Tese le orecchie, concentrandosi sul silenzio, un silenzio ora amico che le permetteva di respirare.
— Bene! Così guadagneremo un po’ di tempo. Andiamo, bello mio. —
Ripresero a galoppare e la nebbia si fece ancora più spessa. Giunsero infine alle sponde del lago, dove la casetta del custode la accolse con le sue luci tremolanti. Scese da cavallo e si avvicinò al piccolo uomo che illuminava la notte con una lanterna d’ottone.
— Cosa posso fare per lei, giovane dama? —
— Devo attraversare il lago, e devo farlo adesso. Questo basta? —
Gli porse una borsa di cuoio colma di denari. L’omino la soppesò, poi annuì soddisfatto.
— Con questi… ci compri anche il mio silenzio. —
— Ottimo! Andiamo, allora. — Il barcaiolo sistemò la barca. — Da qui dobbiamo salutarci, amico mio. — Aela posò la fronte su quella dello stallone, un addio silenzioso e pieno di gratitudine.
“Raggiungimi oltre il fiume, Specter.”
Lo liberò, e il cavallo partì al galoppo nella notte. I suoi poteri erano sorprendenti. Le ninfe anziane dell’Accademia avevano detto che, alla sua età, nessuna aveva mai raggiunto un simile controllo: dominava i quattro elementi, parlava con gli animali… Eppure, lei non riusciva a spiegarsi come fosse possibile. Forse… qualcosa dentro di lei era più antico perfino delle Ninfe. Una radice ignota. O un dono dimenticato. “Mia madre non era una ninfa. Non mi ha trasmesso alcun potere. Allora perché io ne possiedo così tanti? Come posso essere una ninfa?” Era una domanda che l’assillava da giorni.
E forse, proprio per questo, aveva deciso di partire. Oltre al desiderio di scoprire sé stessa, c’era lui. Quel giovane dagli occhi color ambra che popolava i suoi sogni da settimane.
Lo cercava anche nella realtà.
Sentiva che insieme si sarebbero completati.
Erano come due facce della stessa medaglia.
“Lui è il mio fuoco… e io, la sua acqua.”
Eppure, in quel momento, quella follia era l’unica certezza che possedeva. Arrossì pensando a quelle che le sembravano sciocchezze. “Sono davvero una stupida. Nemmeno lo conosco e già mi ritrovo a fantasticare su di lui.”
Si coprì il viso con le mani, cercando di nascondere l’imbarazzo e il rossore che stava avanzando sulle sue guance ad ogni secondo che passava.
— Siamo quasi arrivati. —
— Grazie. —
Si alzò e osservò la riva opposta. Un muro di legno svettava alto, con due torri di guardia e torce accese a illuminare il sentiero.
Scese dalla barca e, dopo qualche passo, si guardò attorno.
“Ci vorrà ancora un’ora prima che Specter mi raggiunga.” Così si diresse verso la cittadina di Oliopis, un luogo di passaggio per mercanti e viaggiatori. “Mentre attendo il suo arrivo, andrò in una taverna a mangiare qualcosa.” Le sue ali erano celate da un incantesimo. Nessuno le avrebbe viste, né udite, se lei non l’avesse permesso. Entrò nella prima taverna che trovò. Si fece largo tra ubriaconi e viandanti chiassosi fino al bancone in legno di pino. Un oste dal volto paffuto e cordiale le sorrise.
— Cosa posso offrirvi? —
— Del cibo caldo e dell’acqua. —
L’oste arricciò il naso, ma non obiettò.
Poco dopo tornò con una ciotola fumante e una brocca.
— Grazie. —
“Due giorni di viaggio mi attendono per arrivare nella prossima città… Spero che nel frattempo non finisca nei guai.” Mangiò quella minestra dall’aspetto umile ma dal sapore ricco. Bevve l’acqua, pagò il conto e lasciò la taverna, mentre il pianoforte all’interno suonava qualche nota allegrissima e disordinata.
“Si divertiranno…” Un nodo le serrò la gola, una fitta al pensiero di tutti i piaceri semplici che le erano stati negati.
Non aveva mai preso parte a feste simili. Essere consacrata alle ninfe voleva dire anche questo: rinunciare ai piaceri della vita, rimanere pura, distante da tutto ciò che fosse ritenuto peccaminoso. Sospirò, il peso di una vita non vissuta si faceva sentire con forza.
“Troverò lui. E poi, potrò finalmente vivere tutto ciò che mi è stato negato.” Uscita dalla taverna, si diresse verso la porta sud della cittadina. Le case di pietra e le strade malandate erano illuminate da fiaccole tremolanti, che davano a ogni angolo un alone di mistero. Due sentinelle la salutarono con rispetto, e lei ricambiò.
In lontananza, un nitrito. Lo riconobbe subito:
— Specter… —
Accelerò il passo fino a raggiungerlo.
— Che bravo che sei… sei davvero tanto bravo. — Aela lo accarezzò sul collo, colma di sollievo, il suo calore rassicurante in mezzo all'incertezza del viaggio.
— Andiamo. Riprendiamo il cammino. —
Spronò Specter a correre veloce come il vento. E ad ogni passo, ogni chilometro, ogni respiro, Aela si sentiva spaventata…
Felice. E finalmente libera. Per la prima volta, stava assaporando la libertà di essere semplicemente Aela. Mentre correvano con il vento che sferzava i loro volti, Aela sentì una voce. La voce dagli occhi ambrati. Si voltò di scatto, cercandolo alle sue spalle o intorno a lei. Rallentò il passo. Nulla. Ma la voce, chiara come una carezza, le aveva detto solo una parola: "Aspettami."
“Eppure l’ho sentito. Mi chiamava… attraverso la nebbia. Non era un sogno. Era lui.”
Il legame che li univa — etereo, sconosciuto, profondo — si era acceso di nuovo.
Accelerò. Ogni passo era un battito. Ogni chilometro, una promessa.
