Figlio della luce e dell’ombra
Molti anni prima, nella Sala delle Ombre, Fortezza dei Derh
— Perché ti ostini a rifiutare ciò che ti è stato dato? — chiese Begahr, il volto segnato dall’età e dalla guerra, ma gli occhi ancora vivi di autorità.
Kalahari stava al centro della sala, tra le colonne d’ossidiana. Alto, fiero, silenzioso. Il mantello oscuro sfiorava il suolo, ma il suo sguardo era nudo.
— Sareth è figlia della casata di Lhor. Un’unione benedetta dalle stelle nere. — Begahr parlava con forza, ma senza collera. Solo l'amarezza di chi si trova a correggere ciò che ama.
Kalahari chinò il capo. — Non posso, padre.
— Non puoi… o non vuoi?
— Il mio cuore non conosce quella via. Sarei bugiardo. Sarei spezzato.
Ogni fibra del suo essere, ogni sogno segreto, apparteneva già a un'altra, a una luce argentea che danzava sotto la luna.
Il silenzio che seguì fu spesso come roccia.
Begahr si alzò dal trono. La sua figura si mosse lentamente, appesantita dalla gravità delle parole.
— Allora mi costringi a questo. — disse. Non con odio. Con dolore.
Un gesto, antico. Le sue dita tracciarono un glifo nell’aria. La runa si accese come brace: simbolo del Vincolo Infranto. La magia si avvolse in spirali nere e cremisi, poi colpì Kalahari al petto, con la forza di una sentenza.
Il corpo del giovane si piegò. Un gemito trattenuto. Un dolore interno, profondo, che non lasciava ferite visibili, ma imprimeva un marchio sotto la pelle. Una cicatrice d’ombra, incisa tra le scapole, un segno indelebile della sua ribellione e della sua fedeltà a un amore proibito. Un vincolo che lo avrebbe legato non solo alla sua scelta, ma anche al destino di chi amava, in un modo che ancora non poteva comprendere.
Begahr abbassò la mano. Gli occhi gli tremavano, ma non lasciarono cadere lacrime.
— Non ti disconosco, figlio mio. Ma da oggi, porti il segno della tua scelta. Che ti protegga… o ti condanni.
Kalahari si rimise in piedi, lentamente. Non rispose. Non fuggì. Ma nel suo silenzio c’era la dichiarazione di chi ha scelto.
Begahr si voltò.
— Vai. Che l’Ughun ti ascolti, se non lo faccio io.
Venti inverni dopo
Erano passati venti inverni da quando il sangue di Kalahari aveva nutrito le radici dell’Ughun, eppure il ricordo di quella notte non aveva mai smesso di vivere nel cuore di Ahlien. Ora, in una capanna scavata nel cuore umido delle Terre Grigie, quella memoria tornava a farsi carne, dolore, verità.
Ahlien giaceva su un letto di paglia e legno annerito. Il suo respiro era flebile, ogni movimento un peso. Accanto a lei, seduto su uno sgabello ruvido, c’era suo figlio, Kael. I suoi occhi, profondi e inquieti, non l’avevano lasciata un istante.
— Figlio mio amato… — sussurrò lei con un filo di voce, cercando di sollevarsi.
Un colpo di tosse la spezzò. Il corpo, consumato dal tempo e dal Male Nero, tremava. Kael la sostenne con dolcezza, aiutandola a bere un sorso d’acqua.
— Non sforzarti, madre. Riposa.
Ma Ahlien scosse il capo. I suoi occhi, stanchi, brillavano di una determinazione antica.
— No… è il momento. Devi sapere. Devi conoscere la verità su tuo padre… e su chi sei tu.
Kael si irrigidì. Da anni aspettava quelle parole. Sua madre aveva sempre evitato l’argomento, come se parlarne fosse pericoloso.
— Tuo padre, Kalahari, era il principe dei Derh, la Tribù della Notte. E io… appartenevo ai Tuac, la Tribù della Luce. Il nostro amore era proibito, spezzava leggi antiche quanto le stelle.
Prese fiato, con fatica. Un'espressione di struggente nostalgia le increspò il viso, come se stesse rivivendo ogni istante di quei ricordi. “Ogni momento con lui era un secolo di vita. Un tesoro che custodisco più della mia stessa anima.”
— Ci incontrammo sotto l’Ughun, durante l’Eclissi. Solo in quel giorno le nostre razze potevano sfiorarsi senza che la magia ci respingesse. Ci amammo. E lì… tu sei stato concepito.
Kael ascoltava in silenzio. Ogni parola scioglieva un nodo e ne stringeva un altro.
— Per anni vivemmo nascosti. Ma alla fine… ci scoprirono. L'Ughun, custode del nostro amore, permise ai nostri nemici di accedere. Forse per preservare l'equilibrio stesso che sentiva minacciato dalla tua venuta, o perché il tuo potere nascente non poteva più essere celato nemmeno da lui. Tuo padre combatté fino all’ultimo per proteggerci. Per proteggerti.
— E tu? — mormorò Kael.
Ahlien abbassò lo sguardo. Poi si voltò, e con mani tremanti, scostò la tunica. Due cicatrici nette solcavano le sue scapole.
— Ho reciso le mie ali. Era l’unico modo per non essere riconosciuta, per proteggerti. Da allora, ho vissuto tra gli Esiliati, lontana da tutto ciò che ero.
Kael deglutì. Per un Tuac, rinunciare alle ali era come rinunciare alla propria anima.
— Ti ho cresciuto nell’ombra. Ho usato un incantesimo di sangue e luce per sigillare il tuo potere. Nessuno doveva scoprire chi sei.
— Ma io non ho ali, né segni… — mormorò Kael.
— Perché i sigilli svaniranno solo quando io lascerò questa terra. Allora, le tue ali nasceranno. Il Simbolo apparirà sulla tua pelle. E il mondo si ricorderà di te.
— Perché adesso? Perché solo ora?
— Perché ora sei pronto. Il tuo sangue è quello dell’Ibrido: luce e ombra unite. Alcuni cercheranno di guidarti. Ma molti… ti vorranno morto, o peggio, cercheranno di assorbire il tuo potere per dominare entrambi i mondi. Non solo temono la tua forza, ma il disordine che essa potrebbe portare, la fine di un'era basata sulla separazione. Sei una promessa, e una minaccia.
— E io cosa devo fare?
— I tuoi poteri si risveglieranno da soli. Ma per imparare a dominarli… dovrai cercare la verità. Dentro di te.
Un colpo di tosse più forte le impedì di proseguire. Kael le prese la mano.
— Non lasciarmi…
— Ci renderai fieri. L’amore ci ha generati. L’amore ti guiderà.
Poi il suo respiro si fermò. La luce lasciò i suoi occhi, e il silenzio scese come un velo.
Kael la prese tra le braccia. Il suo corpo era leggero, quasi aria. La condusse fino al fiume, lo stesso che li aveva vegliati per anni. Si inginocchiò sulla riva e pianse.
Poi, con i primi raggi dell’alba, Ahlien si dissolse in polvere di luce. Un ultimo dono della sua natura celeste.
Kael sollevò lo sguardo. Una foglia d’argento cadde dal cielo, posandosi sulla sua mano. Un bruciore cominciò a crescere nella schiena. Si piegò, il respiro spezzato. Le mani affondarono nel fango. L’acqua tremava attorno a lui, anche se l’aria era ferma.
Poi… silenzio.
Si ritrovò sospeso in una radura nella nebbia, sotto un cielo blu profondo. Nessun suono, tranne il battito del suo cuore. L’aria sapeva di muschio e ciliegio.
Tra le radici di un albero immenso, apparve una figura. Alta. Fiera. Un mantello oscuro lo avvolgeva, ma gli occhi erano due lune brillanti.
Kael lo riconobbe.
— Padre…
Kalahari non sorrise, ma il suo sguardo era fiero.
— Finalmente ci incontriamo. Non come avrei voluto… ma come era scritto.
— Sei vivo?
— Il mio corpo riposa sotto l’Ughun. Ma oggi, tua madre ha oltrepassato la soglia… e i legami si sono spezzati. Sono qui per guidarti.
— Non so chi sono… non ho poteri. Solo dolore.
Kalahari si avvicinò.
— Il dolore è la culla della forza. Sei il ponte tra due mondi. E per questo ti temono.
Posò una mano sulla fronte del figlio.
Le visioni esplosero: l’Ughun, la battaglia, la fuga, la nascita. Le lame. Il sangue. L’abbraccio. Le lacrime.
— Come posso fermare tutto questo?
— Sei mio figlio. E figlio di Ahlien. Sei la scintilla che può accendere la speranza… o la miccia che può bruciare tutto.
Gli porse un frammento d’ambra inciso con una spirale.
— Quando sarai pronto, torna all’Ughun. Solo lì scoprirai chi sei davvero. Solo lì… potrò tornare a parlarti.
— E se mi trovano prima?
— Allora combatti. Ma non con odio. Con ciò che ti abbiamo lasciato: l’amore. È l’unica arma che non possono distruggere.
La luce cominciò ad avvolgere Kalahari.
— Addio, padre…
— No, Kael. È solo un passo. Ora… svegliati.
Kael aprì gli occhi, ansimante. Il frammento d’ambra brillava tra le sue dita. E sulle scapole… due ali incompiute si delineavano, bruciando sotto pelle.
Il tempo dei sigilli era finito.
Il risveglio era iniziato.
