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Prologo

New York, settembre 2024

La vita ha un modo crudele di metterci alla prova, strappandoci dalle mani ciò che amiamo di più quando meno ce lo aspettiamo. Il mio momento è arrivato qui, in un corridoio bianco e spoglio di ospedale, davanti a una porta che non si apre mai. Ogni secondo che passa è un’eternità, e ogni respiro mi pesa sul petto come un macigno.

Sono in ginocchio, le mani giunte in preghiera, stringendo la fede che non sapevo di avere con una forza che mi spezza le dita. Non ho mai chiesto nulla a Dio, mai creduto davvero nei miracoli, ma adesso sono qui, supplicando disperatamente.

«Ti prego, Dio… risparmia lei. Prendi me, ma non lei.»

Isabel. Il suo nome si ripete nella mia mente come una preghiera, come un mantra. Isabel, che ha stravolto ogni certezza che avevo. Isabel, che mi ha amato anche quando non meritavo nulla. Isabel, che ora lotta per la sua vita… e per quella di nostro figlio.

Chiudo gli occhi, ma invece del conforto, vedo solo i suoi occhi pieni di paura prima che la portassero via. Lei non ha detto nulla, ma io l’ho visto: il suo terrore nascosto dietro un sorriso tremante. Le sue mani che stringevano le mie per un istante, quasi a dirmi di non lasciarla andare.

E ora è lì, dall’altra parte di quella porta, tra la vita e la morte.

Mi alzo, incapace di stare fermo, e mi avvicino alla finestra. Fuori, New York continua a vibrare. Le luci al neon brillano, i taxi sfrecciano tra le strade, e la vita continua come se il mio mondo non stesse crollando. Ma per me, tutto si è fermato.

Dietro di me, Caleb e Claire sono seduti in silenzio. Caleb, il mio migliore amico, è sempre stato una roccia per me, ma oggi anche lui sembra sull’orlo di crollare. Claire tiene in mano una rosa bianca, un dono che Isabel le ha dato ieri, come se sapesse già che sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe potuto farlo.

«Vuoi sederti?» mi chiede Caleb con voce rauca, ma scuoto la testa senza rispondere.

Non posso sedermi. Non posso fermarmi. Ogni fibra del mio essere è in allerta, pronta a correre, a fare qualsiasi cosa pur di salvarla.

Un lampo di ricordi mi travolge, facendomi barcollare. Il giorno in cui l’ho vista per la prima volta. Era sera, e c’era qualcosa di magico nell’aria. Lei era lì, tra la folla, ma sembrava brillare più di chiunque altro. Non mi ha nemmeno guardato, ignorandomi con una naturalezza che mi ha fatto sentire invisibile e desideroso della sua attenzione allo stesso tempo. Quel momento mi ha cambiato. Mi ha fatto capire che lei era diversa.

Da allora, Isabel è stata tutto per me. Ogni sorriso, ogni sguardo, ogni parola mi ha avvicinato sempre di più a lei, fino a quando non sono riuscito a immaginare una vita senza il suo amore. Ricordo il suo modo di accarezzarsi i capelli quando era nervosa, il suo ridere spontaneo che faceva girare la testa alle persone intorno a noi, e il suo sguardo profondo, come se potesse vedere ogni angolo della mia anima.

E ora potrei perderla.

Stringo le mani a pugno e premo la fronte contro il vetro freddo della finestra. La mia mente si riempie di immagini: Isabel con la mano sul ventre, il suo sorriso radioso quando abbiamo scoperto che aspettavamo un bambino. La sua voce tremante ma emozionata mentre mi chiedeva se fossi felice. Come poteva non capire che lei era la mia felicità? Che lei e quel bambino erano tutto ciò che avevo sempre desiderato?

Non posso perderli. Non posso immaginare un mondo senza di lei.

Ogni fibra del mio essere si ribella contro l’impotenza. Voglio gridare, correre nella sala operatoria e strapparla via da quel tavolo. Ma non posso fare nulla. Sono solo un uomo spezzato, che prega un Dio che forse non ascolterà.

Mi volto verso Caleb e Claire. I loro occhi sono pieni di compassione, ma non riesco a sostenerli. Claire mi sorride debolmente, come se volesse darmi conforto, ma il dolore nei suoi occhi tradisce le sue intenzioni.

«Andrà tutto bene,» mormora, ma le sue parole suonano vuote.

Non rispondo. Non posso credere a qualcosa che nemmeno io sento.

Chiudo gli occhi e torno a pregare, a supplicare. Ogni parola è un’implorazione disperata, un grido soffocato.

«Dio, ascoltami. Ti prego, non portarmi via Isabel. Non portarmi via nostro figlio. Prendi me, ma lascia che loro vivano.»

Le lacrime scendono silenziose, bagnandomi le guance. Ogni goccia è un frammento del mio dolore, una scheggia del mio cuore che si infrange.

Poi, improvvisamente, la porta della sala operatoria si apre. Un medico esce, e il mio cuore si ferma. Non riesco a muovermi, a parlare. Ogni muscolo del mio corpo è paralizzato dalla paura.

Il medico si avvicina, il viso serio ma calmo. E io so che qualunque cosa stia per dire cambierà la mia vita per sempre.

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