9 - Sospesi nel ritmo (Isabel)
Camminiamo lungo il viale illuminato dai lampioni che sembrano sospesi nel vuoto, come piccole lune incastonate in un cielo troppo vicino. L’aria tiepida della sera accarezza la pelle, portando con sé il profumo dolciastro dei tigli in fiore e un lieve sentore di mare, un abbraccio intangibile che sembra voler placare ogni pensiero.
Le nostre ombre si allungano davanti a noi, intrecciandosi con quelle degli altri passanti che, come figure di un dipinto, attraversano questo scenario di quieta vivacità. Nonostante il silenzio tra di noi, percepisco la sua presenza come un filo invisibile che mi tiene ancorata al momento, anche se preferirei che non fosse così.
«Sapevo che camminare con te sarebbe stato lento,» esclama Daniel con il suo solito tono strafottente, un sorriso che tradisce un pizzico di divertimento. «Davvero, Isabel. Con quei tacchi sembri un gattino su una pista di ghiaccio. Mi devi qualche minuto di recupero, sappilo.»
Mi fermo di colpo e lo fisso, stringendo la borsa con entrambe le mani. Davvero non sa quando fermarsi? Trattengo il sospiro e alzo lo sguardo al cielo, come se potesse darmi la pazienza che mi serve.
«Non tutti nascono con la grazia di un ballerino professionista, Daniel,» ribatto, con un sorriso che sa più di sfida che di cortesia.
«Ballerino? Io? No, Isabel, io sono molto di più,» replica con aria teatrale, mettendosi una mano sul petto come se stesse interpretando un dramma shakespeariano.
«Sì, certo. Sei un dono dell’universo,» mormoro, senza nemmeno cercare di nascondere l’ironia nella mia voce.
Lui ride, quel suono basso e profondo che riesce a essere irritante e magnetico al tempo stesso. «Finalmente qualcosa su cui siamo d’accordo.»
Mi limito a scuotere la testa, lasciandolo a crogiolarsi nella sua presunta brillantezza. Cerco di concentrarmi sul rumore dei miei passi sul selciato, ma ogni sua parola sembra intromettersi, come una nota stonata in una melodia che non riesco a far tacere.
«Allora, dove vivi?» chiede improvvisamente, la sua voce più morbida, quasi curiosa.
Esito. Non c’è niente di male nella domanda, ma la sua disinvoltura mi spiazza sempre. «A Brooklyn,» rispondo infine, cercando di mantenere il tono distaccato.
«Brooklyn? Che coincidenza. Io a Manhattan. Siamo praticamente vicini di casa,» esclama con un sorriso troppo compiaciuto, come se le nostre città fossero a due passi l'una dall'altra.
«Ah, fantastico! Non vedo l’ora di venire a bussare alla tua porta per prendere in prestito dello zucchero,» ribatto, alzando gli occhi al cielo.
Lui ride ancora, come se trovasse irresistibile ogni mia risposta. «A proposito,» dice, rallentando il passo. «Sai, non mi hai ancora detto di cosa ti occupi.»
Mi fermo un attimo, sorpresa dalla domanda. Non so perché, ma avevo pensato che non gli sarebbe importato. «Io...Sono una ceramista,» rispondo, cercando di non lasciar trasparire troppo orgoglio, anche se dentro di me sono felice di poter finalmente parlare di ciò che amo.
Daniel solleva un sopracciglio, visibilmente sorpreso. «Ceramista?» ripete, come se stesse assaporando la parola.
«Sì,» annuisco. «Creo pezzi unici, principalmente vasi e sculture. Mi piace lavorare con l’argilla, darle forma, creare qualcosa che prima non c’era. Ogni volta che termino una cottura e apro il forno, mi sembra di scartare un regalo, perché non si sa mai cosa ne verrà fuori con precisione.»
Lui mi osserva per un lungo istante, poi accenna un sorriso, questa volta privo della solita ironia e mi pento di aver parlato troppo.
«Non me l’aspettavo,» ammette.
«E cosa ti aspettavi?» chiedo, incrociando le braccia al petto.
«Non lo so… forse qualcosa di più prevedibile. Tipo designer o giornalista. Ma ceramista? È diverso, unico direi. Mi piace.»
Il complimento mi coglie alla sprovvista. Mi schiarisco la gola, cercando di mantenere il controllo. «Non mi interessa essere prevedibile.»
Lui ride piano, il suono profondo che vibra nell’aria calda della sera. «L’ho notato,» dice, e nei suoi occhi c’è un’ombra di ammirazione che non riesco a ignorare.
Il viale si apre su una piazza brulicante di vita, le luci colorate brillano come stelle cadute sulla terra, e la musica riempie l’aria, un ritmo ipnotico che sembra provenire da un mondo lontano. Le persone ballano come se fossero state catturate da un incantesimo, i loro corpi mossi da un’energia che quasi mi travolge.
Daniel si ferma al centro della piazza e osserva le coppie che si muovono al ritmo di una musica ipnotica, quasi sensuale. I suoni sono avvolgenti, una melodia latina che riempie l’aria di calore e un’energia che sembra pulsare sotto la pelle.
«Che dici, Isabel? Ti va un ballo?» La sua voce arriva con una calma che non mi aspettavo, priva di sarcasmo, ma il suo sorriso è ancora lì, malizioso e dannatamente sicuro.
«No, grazie. Non ballo,» rispondo senza esitazione, incrociando le braccia al petto.
«Non balli?» ripete come se avessi appena confessato un crimine. «Ti stai perdendo metà della vita, lo sai?»
«Risparmiami la lezione di filosofia, Daniel.» Provo a camuffare il disagio con un tono fermo, ma lui non si lascia scoraggiare.
Prima che possa inventare un’altra scusa, sento la sua mano sulla mia. È un gesto semplice, eppure mi coglie impreparata. Mi trascina con sé, senza forzare troppo, ma con una determinazione che non lascia spazio a obiezioni.
«Daniel, no...»
«Fidati di me.» Si gira appena, il suo sguardo nocciola che incrocia il mio per un istante. È sufficiente a zittirmi.
La pista è piena di coppie, ma lui sembra sapere esattamente dove andare. Trova un angolo meno affollato e si ferma, le mani che si posano con sicurezza sulle mie.
«Non devi fare nulla di complicato. Segui il ritmo, segui me.»
«E se non volessi seguire nessuno?» ribatto, sollevando il mento.
«In quel caso, sarai la mia prima sfida persa.» Il suo sorriso si ammorbidisce, e per un attimo il suo tono cambia, come se ci fosse qualcosa di più dietro quella frase.
La musica continua a scorrere fluida, e io cerco di non guardare troppo le mani di Daniel che si appoggiano con naturalezza sulla mia vita, ma non ci riesco. Il suo tocco è caldo e sicuro, e nonostante la mia resistenza, c'è qualcosa che mi spinge a seguirlo.
«Non pensavo ti piacesse ballare,» dico cercando di mascherare la tensione, ma anche una certa curiosità.
Lui sorride, un sorriso che sembra un una scommessa, ma è anche divertito. «Non pensavo ti piacesse fare qualcosa di nuovo,» risponde, e la sua voce ha quella nota leggera, quasi amichevole, che mi fa sentire come se fosse tutto meno serio di quanto sembri.
«Non mi piace infatti,»mento, per il solo gusto di contraddirlo, di non fargli credere che ha ragione. Ma poi, mentre mi guida nei passi di danza, la sua sicurezza mi prende. Non mi sento forzata come pensavo, ma mi lascio trasportare, lentamente, senza pensarci troppo. I suoi movimenti sono fluidi e naturali, e io cerco di stare al passo, cercando di non sembrare goffa.
Il ritmo è travolgente, e per un attimo, sento i miei pensieri sfocarsi, sostituiti dal suono della musica, dal suo corpo che si avvicina al mio e dai passi che, incredibilmente, iniziano a venire da soli. Ogni mossa che facciamo sembra naturale, come se il ballo fosse qualcosa che in fondo conoscessi da sempre, anche se so che non è così.
«Non ci credo, ti stai divertendo,» dice Daniel con un sorriso che sembra più una constatazione che una domanda, i suoi occhi brillano di divertimento.
«Forse,» rispondo, cercando di mantenere un tono sarcastico, ma la verità è che la sensazione che provo ora è stranamente piacevole. Mi ritrovo a muovermi più liberamente, a lasciarmi andare in qualcosa che non mi aspettavo.
Il calore della sua presenza si fa sentire, ogni passo che compiamo insieme sembra rendere il nostro legame più intenso, come se tra di noi ci fosse una danza che va oltre la musica.
«E non ti ho nemmeno offerto da bere,» dice ridendo, come se avesse letto i miei pensieri.
«Siamo qui a ballare, che altro serve?» rispondo, ma il mio tono è più morbido di quanto vorrei.
Lui si avvicina un po' di più, e un sorriso complice si forma sulle sue labbra. «Beh, se insisti…»
Ma io sono troppo concentrata sulla danza per rispondere, ormai persa nel movimento, nel ritmo, nel piacere di questo momento che, incredibilmente, mi fa sentire più viva che mai.
La musica cambia. Una bachata. Le note sono lente, avvolgenti, quasi ipnotiche. Daniel si avvicina di un passo, e io sento il calore del suo corpo sfiorare il mio. La sua mano si posa delicatamente sulla mia schiena nuda, l’altra tiene la mia in una presa sicura.
«Basta lasciarsi andare,» sussurra, e il suo respiro è così vicino che mi fa venire i brividi.
Inspiro profondamente, cercando di concentrarmi sul ritmo. È come se il mondo intorno a noi svanisse, lasciandoci soli in un universo fatto di musica e movimenti sincronizzati.
Improvvisamente, Daniel fa un passo indietro, lasciando la mia mano solo per girarmi su me stessa. La mia gonna si alza leggermente nell’aria, e non riesco a trattenere una risata che esplode, spontanea, senza controllo.
«Ecco, così!» dice lui, e sembra quasi stupito. «Adesso sì che stai ballando davvero.»
Prima che possa rispondere, mi tira di nuovo verso di sé con una naturalezza disarmante. Il ritmo cresce e, senza preavviso, mi fa fare un’altra giravolta, questa volta più lenta, fino a fermarmi in un caschè.
Il mio corpo si inclina all’indietro, sorretto solo dalla sua mano sicura. Il respiro mi si blocca in gola mentre incrocio il suo sguardo, e il mondo sembra fermarsi.
«È bello sentirti ridere,» sussurra, la voce bassa, quasi come una brezza lieve, ma così vicina che mi sento avvolta.
Per un istante non riesco a rispondere. C’è un’intensità nei suoi occhi che mi lascia senza fiato, come se avesse appena scoperto qualcosa di prezioso e fragile.
Quando ci fermiamo al limite della pista da ballo, sento ancora la pressione della sua mano sulla mia schiena, il calore che mi ha accompagnata durante tutto il ballo. Mi lascio sfuggire un respiro che non mi ero accorta di trattenere, ma il suo sguardo su di me non mi dà tregua. Mi osserva come se volesse decifrare ogni mio pensiero, ogni emozione che tento di nascondere.
«Sei più brava di quanto pensassi,» dice, la sua voce bassa e quasi priva della solita ironia.
«E tu sei più testardo di quanto immaginassi,» ribatto, tentando di riprendere il controllo della situazione.
Un sorriso sfiora le sue labbra, ma nei suoi occhi c'è qualcosa di diverso, qualcosa che mi fa sentire troppo esposta.
«Isabel,» comincia, inclinando leggermente la testa come se stesse scegliendo con cura le parole. «Perché ti nascondi così tanto? Perché non ti mostri per quella che sei?»
La domanda mi colpisce come un fulmine. Per un attimo non riesco a rispondere, bloccata tra la voglia di ignorarlo e il desiderio di reagire. «Non so di cosa tu stia parlando.»
«Oh, sì che lo sai,» insiste, avvicinandosi appena. La sua voce è un sussurro che mi sfiora, un confine che non voglio attraversare. «C’è qualcosa in te, qualcosa che ti tiene distante, anche quando sei qui, così vicina, ti sforzi di innalzare una barriera. Come se stessi indossando un’armatura.»
«Forse è perché non mi piace essere invasa, Daniel,» rispondo secca, cercando di mascherare il tremore nella mia voce, avvicinandomi verso un chiosco per prendere una bevanda.
Lui non si lascia scoraggiare e mi segue. «Non voglio invaderti. Voglio solo capire… chi o cosa ti ha fatto soffrire tanto da spingerti a costruire muri così alti.»
Il bicchiere che stringo nella mano trema leggermente, e per un momento penso di appoggiarlo sul bancone, ma non voglio che lui noti quanto quelle parole mi abbiano colpita.
«Non è affar tuo,» dico infine, la mia voce bassa ma decisa.
Lui non si muove, ma il suo sguardo rimane fisso su di me, come se stesse cercando di leggere ciò che non dico. «Forse no, ma non riesco a fare a meno di chiedermelo.»
Il silenzio tra di noi diventa pesante, una corda tesa pronta a spezzarsi. Non posso sopportarlo. Devo andarmene, mettermi al sicuro da quella sensazione di vulnerabilità che mi sta travolgendo.
«Scusami,» mormoro, senza guardarlo negli occhi.
Faccio un passo indietro, ma la sua mano scatta veloce, chiudendosi attorno alla mia. La sua presa è ferma, ma al contempo delicata, come se temesse di trattenermi troppo a lungo. Il contatto manda un brivido lungo la mia schiena, e mi fermo, incapace di andare oltre.
«Non andare via,» dice, la sua voce profonda ma stranamente dolce. «Non voglio essere quello da cui scappi.»
Il suo tono mi spiazza. Non c’è traccia dell’arroganza a cui mi ero abituata, solo una sincerità pura che mi tocca in un modo che non voglio ammettere. Ma è proprio questo il problema: non posso permettermi di abbassare la guardia.
«Daniel…» mormoro, con un nodo in gola.
Lui fa un passo verso di me, e i nostri occhi si incontrano. «È bello vederti ridere, Isabel. È bello vedere che, anche per un attimo, lasci cadere quei muri.»
La sua mano sfiora la mia, e per un istante il mio cuore mi tradisce, lasciandosi trasportare dalla dolcezza delle sue parole. Ma non posso. Non devo.
«Sai cosa, Daniel?» alzo lo sguardo e gli rivolgo un sorriso freddo, spezzando quell’attimo. «Non ti illudere troppo. Il mio mondo non ha spazio per persone come te, quindi non ti sforzare a capire.»
La sua presa si allenta, e io ne approfitto per tirarmi indietro. Le sue parole di prima, così sincere, rimangono sospese nell’aria mentre mi allontano, cercando di ignorare il peso del suo sguardo sulla mia schiena.
Trovo rifugio vicino a un piccolo tavolo, lontano da quella festa interrotta, e appoggio il bicchiere, finalmente libera di respirare. Mi passo una mano tra i capelli, li slego, cercando di calmarmi, ma le sue parole continuano a risuonare nella mia mente. Chi o cosa mi ha fatto soffrire?
Forse il problema non è la domanda. Forse è il fatto che lui sembra davvero volere una risposta.
