6 Capitolo
Camminiamo lungo i corridoi dell'ospedale, tenendoci per mano.
Guardandomi attorno vedo delle persone piangere, pazienti in pigiama passeggiare con i loro cari, bambini sulle sedie a rotelle o con te stampelle e molti, moltissimi medici ed infermiere chiacchierare con un caffè fra le mani, altre correre e spostare letti o barelle.
Camminiamo fino ad arrivare davanti ad una porta verde, la porta della sua stanza.
«Sei sicura che vuoi entrare da sola?»
Mi chiede con tono premuroso e preoccupato, accarezzandomi una guancia.
«Si, non preoccuparti»
Annuisco con il capo, lasciandogli un bacio sulle labbra.
«Per qualsiasi cosa sono al piano di sotto con Lewis, okay?»
Annuisco e mi lascia un lungo bacio sulla fronte, prima di avviarsi verso le scale.
Mi volto verso la porta e prendo un gran bel respiro, posando una mano tremante sulla maniglia.
Prendo coraggio e apro la porta, entrando con passo incerto.
Mi volto velocemente e chiudo la porta con un tonfo, rimanendo di spalle a lui.
Poso la fronte sulla superficie della porta davanti a me, sospirando pesantemente.
Avanti Alexa, fatti coraggio!
Mi ripeto nella mia mente, tenendo gli occhi chiusi.
Con una lentezza allucinante mi volto verso di lui, temendo ciò che potrei trovare.
Non appena la sua figura si specchia nei miei occhi, il mio cuore perde una serie di battiti, facendomi mancare la terra sotto i piedi.
La sua pelle bianca, cadaverica, attira subito la mia attenzione, facendomi provare piccoli brividi di puro terrore.
Una lacrima solitaria solca la mia guancia, mentre una mano sulla bocca cerco di reprimere un rumoroso singhiozzo, quasi con la paura di svegliarlo.
Tiro su con il naso e faccio dei grandi respiri profondi per cercare di calmarmi, mentre a piccoli passi mi avvicino a lui.
Con gli occhi colmi di lacrime percorro il suo corpo, dalla testa ai piedi.
Più lo guardo e più mi rendo conto che mi sembra di vedere un corpo senza vita.
Con la costante paura di fargli del male mi siedi delicatamente sul letto, prendendo una sua mano per stringerla fra le mie.
Nella stanza non si sente nient'altro che il rumore dei macchinari in funzioni, dei miei singhiozzi e dei miei sospiri.
«So che non volevi farmi del male»
Sussurro alzando lo sguardo, sperando di vedere i suoi occhi intenti a fissarmi, ma questa speranza di dissolve non appena li trovo chiusi.
Altre lacrime percorrono il mio viso e non posso fare niente per fermarle.
«Tu non volevi, io lo so.
Eri così cieco dall'amore che provavi per me che non ti sei reso conto di star facendo una grande cazzata, forse la più grande della tua vita.
Volevi realizzare così tanto questo tuo sogno che non ti sei reso conto dell'inganno in cui sei caduto alleandoti con quel bastardo senza scrupoli e lui ne ha approfittato, celandoti con facilità le sue veri intenzioni.
Dopo averti lasciato lì, a terra e ricoperto di sangue, è partito per l' Italia, portandomi con se.
Lui mi ha... violentata, picchiata, maltrattata e non sai quante altre cose, come il resto del gruppo tranne che uno di loro.
Per come li conoscevi immagino che saprai di chi sto parlando, quindi è inutile che io ti dica il suo nome.
Dopo quelli che mi sono sembrati dei mesi, Axel e tutti gli altri mi hanno liberata e adesso mi stanno aiutando a superare tutto quanto.
Perché non mi hai mai parlato dei tuoi sentimenti per me?
Io... avremmo potuto chiarire le cose e mettere le idee chiare ad entrambi, ma tu no.
Ti sei lasciato trasportare dalla rabbia nel vedermi fra le braccia di un altro e guarda come sei finito testa di cazzo che non sei altro: in un letto d'ospedale ed in stato di coma.
Sei diventato ciò che non sei, anche se non l'hai fatto di tua volontà.
Energico, allegro e pieno di voglia di vivere, così ti avrei descritto qualche mese fa... ma adesso sei tutto il contrario!»
Dico con una nota di rabbia nella voce, con gli occhi colmi di lacrime.
«Sono qui accanto a te per dirti che ti perdono, nonostante tutto.
Ti perdono perché per me sei come il fratello che non ho mai avuto, che mi ha sempre protetto e che mi è stato accanto nel bene e nel male.
Voglio rivedere quel ragazzo vivace che eri un tempo, che mi abbracciava ogni momento e che quando vedeva le mie lacrime di tristezza le trasformava il lacrime di gioia, per le risate che mi provocava con le sue facce buffe.
Voglio vedere i tuoi occhi vispi, sentirti parlare.
Perché non lo fai?
Non puoi lasciare che la morte ti porti via la vita così!»
Stringo la sua mano, mentre alcune lacrime cadono su di essa.
«Perché non ti svegli?»
Sussurro con voce rotta dal pianto, cercando di trattenere le lacrime.
«Svegliati, ti prego!
Svegliati, per cristo cazzo!
Apri questi cazzo di occhi e alza il tuo fottuto culo da questo letto!
Devi farlo per me, per tutti!»
Urlo con le lacrime agli occhi, stringendo le mani in un pugno.
«Non lasciare che quel mostro l'abbia vinta, ti prego!
Combatti con me, fallo!»
Faccio per battere i pugni sul suo petto, ma i miei polsi vengono bloccati in una presa ferrea da una persona alle mie spalle.
Lentamente me li fa abbassare e si siede sul letto dietro di me, stringendomi fra le sue braccia, mentre vengo travolta da una forte ed inarrestabile pianto.
«Shh, calmati»
Sussurra al mio orecchio, accarezzandomi le braccia.
Non appena la voce arriva alle mie orecchie capisco subito che non si tratta di Axel, ma di un'altra persona.
Mi volto di scatto stando comunque seduta, incrociando lo sguardo di Lewis.
I suoi occhi blu sono colmi di lacrime, sia di gioia per averlo rivisto dopo tanto tempo e sia tristezza per lo stesso dolore che condividiamo entrambi nel vedere un nostro amico in queste condizioni.
Tiro su con il naso in modo goffo e il mio corpo viene scosso da un singhiozzo, facendomi sobbalzare fra le sue braccia.
«A- almeno tu devi credermi.
Lui non voleva farmi del male, n- ne sono sicura.
L- lo conosciamo bene entrambi e... e...»
Non riesco a finire di parlare che vengo travolta dal mio stesso pianto di nuovo, bloccandomi così le parole in gola.
Posa una mano al retro della mia testa e con una leggera pressione me la fa posare sulla sua spalla, posandomi un bacio fra i capelli.
Bastano quei pochi gesti a farmi rilassare e lasciare sfogo al mio dolore.
In cambio lui non mi scansa e non parla, capisce che ho bisogno di sfogare tutto quello che ho dentro e mi lascia fare, accarezzandomi la schiena di tanto in tanto.
Passiamo così non so quanto tempo, solo che ad un certo punto mi aggrappo con forza alla maglia di Lewis, sentendo la testa girare fortemente.
Dice qualcosa che non mi giunge alle orecchie, dato che un punto nero inizia ad espandersi per tutto il mio campo visivo, facendomi perdere i sensi fra le braccia del mio secondo "fratello".
*
Poso un bacio sulla fronte alla mia principessa e la copro per bene, per poi chiudere la porta con delicatezza.
«Grazie per avermela lasciata vedere.
Non sai da quanto aspettavo questo momento»
Mi dice Lewis riconoscente, posando una mano sulla mia spalla.
«Io non ho fatto niente amico, è stata lei a permetterti di avvicinarti a lei, ma devo ammettere che quando l'ho sentita piangere ero molto tentato nell'andare al posto tuo.
Mi sono trattenuto pensando che non sarebbe stato giusto nei tuoi confronti»
Gli spiego a tono basso per non svegliare Alexa, mentre ci allontaniamo dalla sua stanza.
Svoltiamo a sinistra e scendiamo le scale che portano al piano inferiore, dirigendoci nel salotto.
«Vuoi qualcosa da bere?»
Gli chiedo con tono curioso, mentre ci accomodiamo entrambi sui divani uno di fronte all'altro.
«Una techila sunrise se si può»
Annuisco con un cenno del capo e volgo lo sguardo alla cameriera, posta alle mie spalle.
«Hai sentito o sei sorda?
Un techila sunrise per il nostro ospite e per il padrone di casa un black russian, veloce!»
Annuisce vigorosamente e con lo sguardo rivolto in basso sgattaiola in cucina.
«Alexa sta migliorando?»
Chiede Lewis con tono curioso, rigirandosi il telefono fra le mani.
«Se devo essere sincero di progressi ne ha fatti, non tanti, ma ne ha fatti.
I suoi incubi occupano ancora il posto fisso, non c'è modo di smuoverli, ma la cosa che mi ha sorpreso maggiormente è la volontà che ha avuto per andare a vedere Juan.
Ha insistito veramente tanto per andarci e non ho potuto dirle di no.
Poi vuole passare più tempo con le ragazze e sono sicuro che in poco tempo vorrà rivedere tutti quanti.
Mi sta rendendo veramente orgoglioso di lei»
Dico con un sorriso stampato sul volto, pensando ai progressi della mia piccola.
A quanto pare ho un sorriso così contagioso che in pochi secondi di espande anche sul suo volto.
«E per quanto riguarda Samuele?
In macchina mi hai solo raccontato solamente ciò che ti ha detto Sabina, del fatto che lui è il cugino di Alexa»
Mi chiede con tono curioso e confuso allo stesso tempo, mentre la cameriera posa i cocktail sul tavolo, per poi sparire di nuovo.
«Di lui ne ho parlato questa mattina con lei prima che Alexa scendesse e abbiamo concordato sulla sua fine...»
Apro leggermente la porta della stanza per controllare cosa sta facendo la mia piccolina e quando sento il rumore dell'acqua in bagno deduco che si stia facendo la doccia.
Una volta appurato che è occupata in altro, scendo silenziosamente le scale che portano al piano di sotto, alla ricerca di Sabina.
La cerco di giardino, nel salone, nella cucina, fino ad arrivare nella sala riunioni, trovandola seduta nell'immenso tavolo con i miei genitori, intenti a parlare.
A passi lenti e pesanti entro nella stanza e subito il silenzio scende nella stanza.
Si sente solo il rumore dei miei passi sul pavimento e stranamente hanno smesso di parlare.
«Perché avete smesso di parlare tutti quanti?
Di cosa stavate parlando di tanto segreto che non posso sentire?»
Chiedo con irritazione e confusione allo stesso tempo, sedendomi di fronte a loro.
Guardo attentamente in faccia ognuno di loro, ma nessuno sa rispondermi e non osa proferir parola.
«Allora?»
Chiedo impaziente, facendoli sobbalzare uno ad uno.
Dopo minuti interminabili in cui passano a scrutarti in volto decidendo un po' sul da farsi, finché a prendere parola è Sabina.
«Axel, come tu sei stato sincero con me, io lo sarò altrettanto con te.
I tuoi genitori volevano ingannarti riguardo al trasferimento di Crhistopher in una
clinica e...»
«Sabina, come puoi farmi una cosa del genere?»
Chiede mio padre con tono sconcertato, alzandosi in piedi di scatto.
Sabina fa per giustificare le sue azioni, ma la fermo con un gesto della mano, facendola tacere.
«No papà, non addossare le tue colpe su chi non ne ha, perché lei non ha fatto altro che ricambiare la sincerità che io ho avuto nei suoi confronti.
E poi cos'è questa storia che tu e la mamma volete ingannarmi?
Non avete forse capito come stanno le cose?»
Chiedo con sguardo furioso, guardando in questo modo i miei genitori, sentendomi deluso per ciò che hanno provato a fare.
Mio padre si risiede al suo posto, prendendosi la testa fra le mani con fare esasperato, mentre mia madre si alza in piedi, battendo le mani sul tavolo.
«Adesso basta Axel, tuo fratello non è un pazzo e tanto meno ha bisogno di una clinica!
Mi sono stancata di essere la sottomessa di chiunque dentro questa casa, perciò ho deciso di prendere il mio ruolo da madre e signora che mi corrisponde!
Mio figlio non si muove di qui!»
Sul volto di mio padre si stampa una bocca a forma di o, completamente spalancata, mentre lo sguardo di mia madre rimane impassabile.
Dal mio canto alzo gli occhi al cielo e sbuffo divertito, battendo un piede in continuazione a causa del nervosismo che scorre nelle mie vene.
«Non me ne frega un cazzo di quel che pensi e di quel che vuoi fare!
Quello non è tuo figlio, ma di Sabina, quindi smettila!
In questa casa comando io, quindi decido io e su questo non si discute, e per giunta credo che sia la centesima volta che ve lo ripeto.
Dovreste ringraziare Sabina che vi permette ancora di decidere su di lui.
Mi fate letteralmente vomitare solo a guardarvi!»
Dico con tono schifato, guardando i miei genitori con fare disgustato, i quali rimangono in silenzio ed a sguardo basso.
Scuoto il capo contrariato e deluso, per poi uscire dalla stanza infuriato a passo svelto.
Chiudo la porta violentemente alle mie spalle, facendola tremare fortemente ed a passo svelto mi dirigo nella mia stanza, borbottando imprecazioni di continuo e di ogni genere.
Sto per salire le scale quando sento qualcuno tirarmi per un braccio.
Mi volto incuriosito e confuso, incontrando lo sguardo di Sabina.
«Ne abbiamo parlato e mi ha detto in quale clinica vuole mandarlo»
Spiego sorseggiando il mio drink, accompagnandolo con alcune patatine.
«E per quanto riguarda i tuoi genitori?»
Domanda con tono curioso e confuso allo stesso tempo.
«Con loro non ho parlato più dell'argomento e credo che siano ancora in clinica,
L'ho fatto trasferire questa mattina, mentre Alexa era con Juan»
Annuisce con un cenno del capo e sorseggia la sua bibita.
«Stavo pensando...»
Dice iniziando il discorso, attirando completamente la mia attenzione.
«Dato che fra pochi giorni sono dodici anni che la madre di Alexa è morta, perché non portarcela?»
Chiede con tono confuso, sorridendo leggermente.
Lo guardo pensieroso sulla sua idea, per poi sorridere anch'io.
«Si, è una splendida idea.
La renderà molto felice andarla a trovare in un giorno così importante.
Adesso faccio preparare subito i biglietti e quant'altro»
Prendo il telefono e scrivo al mio assistente di preparare il viaggio, riponendolo poi nella tasca.
«Vedrai che le farà bene allontanarsi un po'»
Annuisco certo della sua affermazione e sorrido spontaneamente al solo pensiero della felicità che alleggerà sul suo volto non appena scoprirà la sua sorpresa.
