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Capitolo 7 — La scintilla sotto la pelle

Alba

La porta sbatte dietro di noi.

Il silenzio non è un sollievo. È un campo minato.

Lo sento nelle tempie. Nel petto.

Lo percepisco dietro di me. Presenza magnetica. Opaca. Pericolosa.

Continuo verso il salotto senza voltarmi. I tacchi echeggiano sul marmo. Ma vacillo.

Perché lui è lì.

E ciò che ha risvegliato stasera… non riesco a richiuderlo.

Mi giro lentamente.

Lui è in piedi, nell'ombra. Il colletto aperto, la camicia spiegazzata dalla tensione. Il suo sguardo è puntato su di me come un'arma puntata. Nessuna maschera. Nessun giro di parole.

L'uomo che dovrei odiare. Quello che sono venuta a manipolare.

Quello che non capisco più.

Il mio cuore batte troppo veloce.

— Ti è piaciuto usarmi stasera? chiedo, la voce tagliente.

— Non ti uso, Alba.

Sghignazzo.

— Cosa? Quello che posso essere quando mento bene? Quando recito il tuo ruolo al tuo tavolo di avvoltoi? Quello che posso sacrificare per sopravvivere nel tuo mondo?

Si avanza di un passo.

— Quello che sei quando smetti di avere paura.

Battono le palpebre. Un secondo.

— Non ho paura.

Si ferma, molto vicino.

— Allora perché tremi?

Guardo le mie mani. Merda.

Ha ragione.

Sono tesa come un arco.

Alzo il mento. Provocante. Bugia.

— Tremi per noia.

Sorridente. Lentamente. Ed è peggio di uno schiaffo.

— Vuoi giocare? Vuoi testare fino a dove puoi arrivare? Va bene.

Si avvicina ancora. Il suo calore mi colpisce.

Indietreggio di un passo, quasi contro la mia volontà.

— Non era una maschera stasera. Eri tu. Cruda. Affilata. Inaccessibile.

— E questo ti eccita.

Un battito di silenzio.

Poi la sua voce, roca:

— Certo che mi eccita.

Lo fisso.

Non si è mosso. Ma tutto il suo corpo urla ciò che trattiene.

E il mio… lo percepisce.

Ma non cederò. Non sono una conquista facile. Non un altro corpo su cui potrà regnare.

— Allora vai avanti, dico, la voce sibilante. Mostrami. Prendi.

Mi fissa.

Vacilla.

Ma non si muove.

— Non sai cosa chiedi.

— Vuoi controllarmi, vero? Vuoi farmi piegare.

— No, sussurra. Voglio possederti. Non il tuo corpo. Te.

Si avanza ancora.

Sento il suo respiro.

La mia schiena colpisce il muro. Intrappolata.

Ma le mie braccia sono incrociate. Il mio sguardo è una sfida.

Mi osserva, a lungo.

Poi tende la mano. Sfiora la mia guancia, dolcemente. Quasi teneramente.

E lì, crollo.

Lo spingo via con violenza.

— Non fingere di essere dolce! Non sei dolce! Sei un veleno, Sandro.

Indietreggia. Come se l'avessi colpito.

Il suo sguardo si oscura. La mascella si stringe. E all'improvviso, la violenza si risveglia nei suoi occhi.

Mi afferra per i polsi.

Mi schiaccia contro il muro. Forte. Questa volta, non sta più giocando.

— E tu, Alba? Non sei dolce nemmeno tu. Vuoi provocarmi? Vuoi vedere fino a dove posso arrivare?

Lo fisso, ansimante.

Non cedo.

— Vuoi che sia in ginocchio? sussurro. Vuoi che ti implori come fanno tutte?

Avvicina le sue labbra al mio orecchio.

— No. Voglio che gridi il mio nome perdendo il controllo. Voglio che mi implori di non fermarmi.

Rabbrividisco. Il mio stomaco si contrae.

Ma mi mordo l'interno della guancia.

Devo resistere. Devo ricordare perché sono qui.

Allora lo spingo via. Con tutte le mie forze.

Non resiste.

Indietreggia. Due passi.

Il suo sguardo… è folle.

Nessuna rabbia. Nessuna frustrazione.

Di mancanza.

Stringe i pugni. I suoi occhi mi bruciano.

— Mi fai impazzire, Alba.

— Tanto meglio, dico. Forse capirai cosa fai agli altri.

Si avvicina ancora una volta.

— Se ti tocco ora, non mi fermerò. E non te ne andrai più.

— Allora non toccarmi, dico, anche se tutto in me supplica di fare il contrario.

Indietreggia. Questa volta per davvero.

Mi guarda. A lungo. Come se volesse imprimere la mia immagine nella sua retina.

Poi sussurra:

— Quando verrai… non sarà per provocarmi. Sarà perché non ce la fai più.

E si volta.

Sale le scale a grandi passi, le spalle tese, i pugni sempre chiusi.

Rimango lì.

Da sola.

Scivolo lungo il muro, le ginocchia ripiegate su di me.

E mi odio.

Perché sto bruciando.

E che una parte di me… avrebbe voluto che mi baciasse finché non perdo il nome.

Sandro

Chiudo la porta della mia camera. Mi lascio cadere contro il legno.

Tremo.

Di rabbia. Di frustrazione. Di desiderio.

La volevo. La voglio.

Ma non in questo modo.

Non se gioca.

Non se mente.

Non se crede di potersi infilare sotto la mia pelle senza conseguenze.

Eppure.

È ovunque.

È quel morso sotto la mia lingua. Quella pulsazione sotto i miei lombi.

E non posso più respirare senza immaginarla nuda, offerta, selvaggia.

Mi strappo la camicia. Vado sotto l'acqua ghiacciata.

Ma niente la cancella.

Niente.

Nemmeno il sangue.

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