Libreria
Italiano
CapitolI
Impostazioni

Capitolo 3: La crepa si allarga

Elena

I giorni passano eppure non riesco a dimenticarlo. Noah. Questo nome gira nella mia testa come una preghiera silenziosa. Una maledizione dolce. Si insinua nei miei pensieri ad ogni momento rubato, ad ogni sguardo scambiato, ad ogni silenzio troppo lungo sul set.

Oggi piove su Parigi. Una pioggia fine, quasi invisibile, che cancella i contorni della città dietro i vetri dello studio. Fa freddo, ma sul set l'aria è pesante. Elettrica.

La scena di oggi è più intima. Giulia ed Ethan in una camera d'albergo. Le luci sono soffuse, la tensione palpabile. Non ci sono nudità previste, solo sguardi, respiri, gesti sospesi. Ma a volte è peggio. L'attesa. Il quasi.

Sono già truccata. Il mio vestito scivola sui fianchi come una seconda pelle. Ho troppo caldo. Il mio cuore batte troppo veloce. Sento la sua voce nel corridoio, grave, posata. Ride con un tecnico. Quel riso, lo riconoscerei tra mille.

Quando entra nella stanza, tutto si ferma.

— Sei pronta? — mi chiede dolcemente.

Annuisco. Ma no, non lo sono. Non lo sono mai stata.

La prima ripresa è sbagliata. Perdo il mio sguardo. Lui posa la mano sulla mia guancia e distolgo gli occhi. Troppo reale. Troppo intenso. Il regista sospira, infastidito.

— Riprendiamo. Elena, concentrati.

Mi scuso, ma la mia voce trema. Sento lo sguardo di Noah pesare su di me, e so che ha capito. Che vede. Vede tutto.

Inizia la seconda ripresa. Si avanza, mi guarda, mormora il suo testo con quella cruda intensità che fa vibrare l'aria intorno a noi.

— Pensi che possiamo davvero amarci in questo mondo marcio? — dice, nel ruolo di Ethan.

Sento il suo respiro sfiorare la mia pelle. Trattengo la mia risposta un secondo di troppo.

— Io... non so più cosa voglia dire — risponde Giulia.

Ma sono io a parlare. Elena. Non Giulia. Io che ho dimenticato cosa voglia dire amare. Che non so più fare la differenza tra una scena e un'ammissione.

La telecamera continua a girare, ma la ignoro. Sono persa nel calore della sua mano, posata sulla mia nuca, nei suoi occhi troppo onesti, in quel momento sospeso in cui si avvicina. Le nostre fronte si sfiorano. Il mio cuore urla. Il mio corpo si infiamma.

— Stop! — grida una voce. — Era buono, molto buono.

Mi allontano bruscamente. Troppo bruscamente. Urto una sedia. Mi scuso. Fuggirei quasi. Il mio cuore batte a mille nella mia petto.

Mi rifugio nel mio camerino. Sbatto la porta. Tremo. Non per il freddo. Per la voglia.

Cosa mi sta succedendo?

Mi guardo nello specchio. Il mio riflesso mi fissa con una strana compassione. Le guance rosse. Gli occhi brillanti. Una donna viva. Troppo viva. Ho voglia di piangere e ridere allo stesso tempo. Non è un capriccio. Non è un gioco.

È una frattura.

E si allarga ad ogni sguardo.

Un leggero colpo bussa alla porta. Sobbalzo.

— Elena? Sono io.

La sua voce. Dovrei dire di no. Dovrei dirgli di andare via. Ma rimango muta.

La porta si apre leggermente. Entra.

Non parla. Chiude la porta dietro di sé. Mi guarda.

Mi alzo, troppo in fretta. Il mio cuore batte forte.

— Non dovresti essere qui — sussurro.

— Lo so.

Un silenzio. Denso. Bruciante.

— Perché sei venuto a parlarmi quel giorno, durante i provini? — chiedo.

Si avvicina. Lentamente. Come se ogni passo fosse una decisione.

— Perché sembravi triste. E magnifica. E… inaccessibile.

Sorrido. Amaremente.

— E ora?

Si ferma ad un respiro da me.

— Ora sembri ancora più bella. Ma anche più fragile.

Le sue dita sfiorano la mia mano. Sobbalzo. Ho voglia di distogliere lo sguardo. Ma non riesco. Il suo sguardo mi trattiene. Mi risucchia.

— Non posso, Noah…

— Lo so.

Ma lui resta lì. Troppo vicino.

E io… non mi allontano.

Quella notte non dormo.

Gabriel è ad un gala, come spesso accade. Sono sola nel letto troppo grande. Ho la pelle in fiamme, i nervi a fior di pelle. Ripasso la scena ancora e ancora. Quel momento in cui stavo per baciarlo. Quel momento in cui avrei potuto. Dovevo.

Mi odio.

E comincio di nuovo.

Mi odio ancora di più.

Il giorno dopo, tutto sembra più pesante. Gabriel mi guarda a lungo durante la colazione. Troppo a lungo. Non dice nulla, ma lo sento. Sa che qualcosa mi sfugge. E Gabriel non ama perdere il controllo.

— Dovresti fare attenzione a ciò che proietti, Elena — dice mentre spalma il suo pane con una precisione chirurgica.

— Scusa?

— Quel ragazzo. Sembra... attaccato.

Stringo la mia tazza così forte che le mie nocche diventano bianche.

— Sono una professionista. Lo sa.

Mi fissa.

— È te che sto osservando. Non lui.

Il suo tono è calmo. Troppo calmo. È una minaccia che non dice il suo nome.

Sul set, Noah evita il mio sguardo.

Mi fa male, senza volerlo. Sento il suo allontanamento come uno schiaffo. Ma è meglio così, giusto?

Sono Elena Vasseur.

E sto affondando.

Scarica subito l'app per ricevere il premio
Scansiona il codice QR per scaricare l'app Hinovel.