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Capitolo 1: La commessa.

12 Agosto

«Questo caldo mi ucciderà»

dico ficcando la testa sotto una fontana.

«Se evitassi di metterti i jeans anche ad agosto, forse!, riusciresti a stare un po’ più fresco»

ribatte Andrew, comodamente stravaccato su una panchina all’ombra.

Gli rivolgo uno sguardo truce che lui non nota. Ha gli occhi chiusi ed un aspetto fresco, totalmente fuori contesto in questa dannata afa cittadina.

Forse non soffre il caldo per via della sua eccessiva magrezza. Non ha grasso corporeo, quindi non suda, oppure sono i suoi dannatissimi vestiti di lino e cotone che gli impediscono di liquefarsi solo per aver respirato una volta di troppo.

«Vuoi farmi da consulente di moda, ora?»

lo stuzzico.

Lui apre un occhio solo e mi lancia uno sguardo annoiato.

«Se lasciassi fare a me, ti vestiresti indubbiamente meglio»

«Perché sei gay?»

«No» risponde «Perché ho gusto, cosa che a te manca totalmente, a meno che non si parli di donne, si intende! In quel caso diventi la Coco Chanel dei puttanieri»

Rido e scuoto la testa fradicia, schizzando acqua dappertutto.

Ciondolo fino alla panchina e mi siedo accanto a lui.

«Quindi qualche talento ce l’ho, dopotutto»

dico.

«Più di uno» replica «Non tutti sono una buona cosa, però»

Rido di nuovo.

Non so perché mi diverto tanto a torturare Andy, è il solo a conoscermi davvero e a starmi accanto nonostante tutto.

A lungo ho creduto fosse per via della cotta nei miei confronti, ma nessuno tipo di amore resisterebbe a tanto, sempre che mi si possa amare davvero, si intende.

Dubito seriamente ci sia qualcosa da amare in me, non sono simpatico, non sono brillante, mi lamento sempre di tutto, sono pigro, non mi piace leggere, non ho un genere musicale preferito, non ho passioni all’infuori delle donne e da quel che dice Andy, non mi vesto neanche bene.

Quindi, per giustificare la sua presenza, mi sono convinto debba provare affetto, del sincero affetto, per me.

Incredibile. Andy mi vuole bene, davvero. Credo sia il solo sulla faccia della terra.

Il perché non lo capirò mai. Forse è un masochista, come me, ma oggi non sono in vena di metterlo alla prova e torturarlo, stuzzicare la sua pazienza, oggi fa troppo caldo.

Decido di dargli una tregua, anzi, lo faccio proprio contento.

Sarà più divertente farlo soffrire poi, magari deludendolo all’ultimo minuto.

«Ok» dico «Sono tuo!»

Lui apre tutti e due gli occhi e mi guarda confuso.

«Prego?»

«Ci sto! Andiamo in uno di quei negozi di vestiti, sul Corso. Ti concedo di vestirmi come ti pare!»

Lui resta fermo, mi studia. Non si fida.

Non lo biasimo di certo, ma spero si decida entro cinque minuti, perché poi perderei la pazienza e lo manderei a quel paese, senza contare che non gli offrirò di nuovo un’occasione del genere tanto presto.

«Andiamo»

dice alzandosi, lasciandomi interdetto.

Batto le palpebre un paio di volte.

Ero già pronto a doverlo convincere della serietà della mia proposta, invece lui sta già camminando in direzione dell’uscita della villa.

Lo seguo velocemente, recuperando la distanza che le sue gambe lunghe hanno coperto nei pochi secondi del mio disorientamento.

«Hey, aspettami!»

urlo.

«Non ho intenzione di aspettare che cambi idea» ribatte senza voltarsi «Non sprecherò l’occasione, no davvero!»

Ed allunga il passo.

Quel figlio di puttana mi conosce davvero troppo bene. Sorrido e mi affretto.

Arriviamo di fronte ad un negozio, prima di questo ne abbiamo superati una decina, ma Andy ha tirato dritto, senza nemmeno dare un’occhiata alle vetrine. Ha proseguito a passo deciso fino a qui, sono curioso di dare un’occhiata alle vetrine, per capire cosa gli abbia messo il turbo, ma lui entra e mi trascina con sé, senza darmi nemmeno il tempo di guardarmi intorno.

Il posto è immenso, fresco di aria condizionata e profuma come un negozio di caramelle.

«Non è uno di quei posti per gay, vero?»

gli chiedo, allarmato da tanta decisione.

Lui mi guarda con aria di superiorità, fa scoccare la lingua contro il palato e dice:

«Tutti i negozi sono per gay, se sai cosa cercare»

Volta la testa con fare da diva e si avvia verso il fondo del locale.

Sbuffo e lo seguo iniziando a dare un’occhiata intorno.

Cristo, questo posto è infinito. Ci saranno almeno tre ampi ambienti pieni di stampelle e scaffali di vestiti, c’è anche un reparto che vende scarpe e accessori.

Ma che razza di negozio è? Un mini-centro commerciale per uomini?

I miei occhi si posano su una commessa, mi ricorda qualcuno. Sta parlando con due clienti, una coppia di fidanzati. La ragazza si fa consigliare dalla commessa sui vestiti da far indossare al partner.

Ridono, parlano, gesticolano.

Io continuo a fissare la commessa, attentamente, sono sicuro di averla già vista.

“Magari me la sono fatta” penso. Non che mi ricordi di tutte quelle con cui vado a letto, ma ho una specie di sesto senso per queste cose, ed il mio istinto mi dice che con lei non ci sono mai stato.

Mi avvicino un po’, per osservarla meglio, mentre mi arrovello il cervello per capire chi mi ricordi, Andrew mi mette una mano sulla spalla facendomi trasalire.

«Visto qualcosa che ti interessa?»

mi domanda.

Lo guardo ancora frastornato. La deve smettere di essere l’interruzione ai miei momenti.

Andrew, incuriosito, guarda in direzione della commessa e solleva le sopracciglia.

«Davvero, Ian? Non siamo nemmeno entrati e già punti una gnocca?»

“Una gnocca” ripeto mentalmente.

Sono stato io a definirla così, credo, gnocca. Ma quando? E dove?

Nella mia testa parte un processo di associazioni a cui non riesco a stare dietro, ma comunque riaffiora tutto, quasi fosse stato messo in ordine in un cassetto apposito, pronto a riemergere all’occorrenza.

La scena mi si ripresenta nitida, ricca di dettagli, quasi fosse appena accaduta.

Ma come ho potuto non riconoscerla subito?

È più magra rispetto all’ultima volta che l’ho vista, molto più magra.

«Non la riconosci?»

chiedo ad Andy che mi fissa un po’ scocciato.

«Dovrei? È una famosa?»

Scuoto la testa.

«Se fosse famosa, starebbe qui a fare la commessa?» ribatto «Lei è la tizia del ristorante!»

Ma a quanto pare nella sua testa non c’è lo stesso cassetto della mia.

«Ma dai! Quella che stava insieme al coglione col cellulare!»

Niente. Negli occhi scuri del mio amico (l’unico amico) non c’è nessun guizzo di riconoscimento.

«Andiamo, Andy! Te ne sei pure andato incazzato come una iena dal ristorante!»

insisto.

Lui tossicchia una risata.

«Succede almeno una volta a settimana, Ian! Vuoi che mi ricordi di ogni volta che me li fai girare?»

Non ha tutti i torti. Però trovo strano non ricordi proprio di quella volta.

«Era dicembre, saranno passati anni. Forse 3»

dico.

Qualcosa si palesa negli occhi di Andrew, ma non è quello che mi aspettavo, nessuna Eureka! per lui. Solo un morboso interesse per la commessa che mi ha momentaneamente trasformato in una versione isterica di me.

Mi rendo conto del madornale errore commesso, e del rincaro coinvolgendo Andy.

Ricordarmi di una femmina sarebbe già strano, ma di una che non mi sono fatto e che ho solo visto TRE anni fa in un ristorante?!?

No. Non è da me. E lui lo sa. Lui mi conosce bene, forse troppo.

Torna a guardare la commessa con un nuovo interesse.

«Ian, ha qualche importanza che me ne ricordi?»

chiede lui, studiando prima lei e poi me.

«No, ovvio che no» gli rispondo «Volevo solo farti capire perché la stessi fissando»

ribatto impacciato. Sento le sabbie mobili in cui mi sono cacciato, iniziare a macinare terreno.

Perché ci tengo a giustificarmi? E perché continuo a fissarla?

«Senti, lascia perdere»

dico spazientito, più da me stesso, che da lui

«Vammi a scegliere i vestiti, io vado a chiederle di servirci, tanto ha finito con quei due»

E senza nemmeno dargli il tempo di controbattere mi dirigo verso la commessa.

È proprio dimagrita tanto. Man mano che mi avvicino diventa sempre più evidente.

Cristo! Riesco a vederle le ossa attraverso la giacca grigia della divisa.

È sempre bella, ma ha perso la delicatezza delle rotondità ed è diventata spigolosa, la pelle ha un colorito pallido, spento. Anche il colore dei capelli non è più lo stesso, li tiene raccolti in una coda di cavallo alta. Questa acconciatura non la aiuta a camuffare l’eccessiva magrezza.

«Salve, posso esserle utile?»

mi chiede sorridente.

“Quel sorriso è una bugia”.

Scuoto la testa.

«Io ti ho già vista»

mi sento rispondere.

I suoi occhi enormi e marroni (o sono verdi?) mi guardano perplessi.

«Seriamente?» fa lei «Funziona ancora questa scusa?»

La sua voce è calda, piena, con una punta di dolcezza che la rende gradevole.

«Ahm… no» farfuglio «Cioè, non lo so, non ho mai avuto bisogno di usare mezzucci così patetici con le donne, non ti stavo abbordando, comunque. Dico sul serio, io ti ho già vista»

Lei inarca un sopracciglio ed incrocia le braccia sul petto, che è ancora abbondante.

«Se è un cliente abituale, è molto probabile» si ferma a dare un’occhiata a come sono vestito «Ma non credo sia il suo caso»

Non lo ha detto con disgusto o con l’intento di giudicare. Ha esposto solo un dato di fatto. Il suo tono asciutto e pratico contrasta parecchio con il suo aspetto smunto.

Se non la guardassi e non conoscessi il suo aspetto – né quello di ora, né quello di prima – credo mi figurerei una donna alta, con le spalle larghe ed un viso squadrato, ma comunque molto femminile.

«No, infatti» confermo «Ti ho vista tempo fa, in un ristorante. Eri seduta insieme ad un cretino. Si preoccupava più del suo telefono che di te, un coglione proprio, hai presente?»

Cazzo! L’ho fatto di nuovo. Ho aperto la bocca ed ho detto più di quanto non fosse necessario. Non ho idea del perché le abbia fornito tutti questi dettagli, è ovvio sia stato io ad aver visto lei, non il contrario. Anche ricordasse l’occasione, non ricorderebbe me.

“cosa ci faccio ancora qua?” penso, con le gambe incollate al pavimento.

«Ho presente»

dice lei guardandomi dritto negli occhi.

I suoi occhi marroni, ma anche verdi, mi fissano senza espressione.

Uno sguardo penetrante, che scava dentro e vede quello che nascondi sotto il tappeto.

La sensazione di aver commesso la più grande cazzata della mia esistenza, e sia chiaro che ne ho tanto in lista, inizia ad avvilupparmi.

Le persone in grado di guardare così, sono da evitare. Quel tipo di sguardo fa più danni di uno tsunami. Devo andare via, ora. Uscire da questo negozio di caramelle pieno di vestiti e camminare, camminare lontano, fino a quando non mi resterà più forza nelle gambe, e mai più tornare indietro.

Sollevo le mani e sorrido mestamente.

«Scusa, mi sono confuso, non eri tu»

Mi giro e cerco di mettere più distanza possibile tra me e quegli occhi.

Raggiungo Andrew, che nel frattempo si è riempito le braccia di maglie, pantaloni e scarpe.

Scuoto la testa per fargli capire che la giostra si è fermata. Niente più corse per oggi.

«Lascia perdere, Andy»

gli dico superandolo.

«Lo sapevo che mi stavi solo facendo sprecare tempo»

si lamenta.

«Sì, beh, andiamocene. Ho voglia di una birra»

Ed allungo il passo verso la porta che mi sembra sempre più lontana. Ogni fottuto passo, mi costa un’energia che non posseggo, ma continuo imperterrito a camminare.

«Non è nemmeno mezzogiorno!»

Sento dire ad Andy, da qualche parte alle mie spalle.

«Io vado a prendermi una birra, tu sei libero di fare quello che ti pare»

ribatto, stringendo finalmente la mano sul maniglione della porta d’ingresso.

Non ho bisogno che mi segua. Non ho bisogno di lui. Non ho bisogno di nessuno.

Devo solo allontanarmi da quella dannata commessa e dai suoi occhi grandi.

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