Capitolo 1: La Trappola
L’espressione “caccia al tempo” non era mai parsa tanto amara. All’approssimarsi del rumore dei tacchi, rimasi in bilico tra le ombre, col cuore che mi martellava nel petto. Il corridoio sotterraneo era gelido, impregnato d’odore di ferro e di un liquido che non avrei mai voluto immaginare: sangue umano, sparso sulle vecchie piastrelle. Pensavano che io non avrei percepito la sua presenza. Si sbagliavano.
Scossi il piede tentando di trattenere il respiro — forse l’avrei sentita arrivare prima che mi vedesse. Solo tre porte: due con prigionieri, l’altra vuota, verso la sala principale del covo. La mappa nel mio chip digitale indicava chiaramente il percorso. Ma le mappe non raccontano gli odori.
Il mio sesto senso di lupo mi fece riconoscere quell’aroma: fresco, umido, intriso di sudore — la scia dell’agente dell’Ufficio Segreto, Elira Vance. Pelle tesa come una corda di violino, ogni fibra pronta a scattare o a sferrare un attacco. Non era la prima volta che ne avvertivo la fragranza, ma stavolta era qualcosa di… personale.
Alzai il fucile, infilai il dito sul grilletto e aspettai. Un minuto. Finito. L’ultimo istante parve eterno.
All’improvviso, un clic agghiacciante: l’arma mi sfuggì di mano e rimbalzò sul muro. “Freeze!” una voce profonda ruppe il silenzio, seguita da un crepitio elettrico che fulminò la sua gamba prima che potessi reagire. Elira emise un breve urlo, il corpo irrigidito in un tic spasmodico prima di cadere privo di sensi. Avanzai rapido mentre due guardie la immobilizzavano.
Il mio passo risuonò nel corridoio. Non serviva voltarmi per sapere quanto tremassero le catene che la legavano. Il suo volto era pallido nella luce fioca, la mascella serrata fra rabbia e terrore. La scrutai negli occhi — il tuo sorriso non ti salverà stavolta, Elira.
---
Mormorai a me stessa l’ordine: “Portala giù.” Le guardie la scortarono, e io le feci corona con la mia presenza ombrosa, sprigionando l’intimidazione di un lupo nascosto. L’odore di pioggia dopo un rogo. Sangue mescolato a paura. Più tagliente di una falce d’acciaio.
Varcammo la soglia della sala interrogatori. Una luce fievole metteva a fuoco un tavolo stretto e una sedia di ferro. Elira fu spinta a sedersi, le mani vincolate. Io rimasi nell’ombra, confondendo i contorni del mio corpo finché non decisi di mostrarmi.
“Agente Elira Vance,” la mia voce echeggiò profonda e controllata. “27 anni. Divisione Penetrazione Speciale.” Il tono era rilassato, ma sotto si celava una minaccia implicita. Lei rimase in silenzio, fissandomi dritto negli occhi.
“So chi sei,” continuai. “Quello che ignoro… è perché ti sei permessa di entrare nel covo del lupo.”
Elira strizzò gli occhi. Volevo vederla indagare — pensava che il famoso “Alpha di sangue misto” fosse davvero un flusso di pura notizia? Mormorò il mio nome piatta: “Rafael Draganov. Capo della sindacato ‘Lunar Fang’. Alpha di sangue misto. 32 vittime negli ultimi due anni.”
Trattenni un sorriso ironico. “Stai lodando?”
“Ripugnante,” rispose, gelida.
Feci un passo avanti, alzando la temperatura nell’aria. I miei occhi dorati si accesero come brace. Lei trasalì, ma non vacillò. Questo era il vero incontro tra due predatori.
A un metro di distanza avvertii i suoi feromoni: adrenalina, terrore, e un’ardente determinazione. Il mio corpo si tese, trattenendo l’impulso di marchiarla come mia. Lentamente, portai la mano verso di lei, avvicinando la mia bocca al suo collo, per carpire meglio quel profumo.
Lei si irrigidì. Il mio respiro si fece affannoso. “Senti come… sei mia,” sussurrai — più per me che per lei.
Lei digrignò i denti. “Sei disgustoso.” Le sue parole erano taglienti, ma la voce tradiva paura e… un desiderio inconsapevole.
Mi allontanai di poco, celando la mia natura più feroce. “Non sono il tipo da versi poetici, Elira. Ma riconosco l’odore dell’anima gemella.”
Le sue guance si accesero di rabbia. “Sono un’umana,” sibilò. “Hai l’olfatto sbagliato.”
Persi un istante di controllo quando avvertii il battito del suo cuore — un ritmo perfettamente sincronizzato col mio. “Se sei umana,” mormorai, quasi a me stesso, “perché il tuo cuore batte al mio stesso ritmo?”
Rimase di sasso, guardandomi incredula. Sapevo di averla spinta oltre il limite. Ma sentivo un legame invisibile che avvolgeva cuore e istinto di entrambi.
Mi sedetti sul tavolo, gambe incrociate, fissandola con freddezza. “Chi ti ha mandata?” domandai, senza mediazioni.
“L’Ufficio Segreto,” rispose con piglio sfidante. “La mia missione è ucciderti.”
Risero insieme alle mie labbra, un sibilo sarcastico. “Hai fallito. Se fosse stata davvero la tua missione, non saresti qui di fronte a me.”
Gli occhi di Elira s’infiammarono, affilati come lame. “Non resterai qui a lungo. Un team ti attaccherà. Devasteranno il tuo rifugio.”
Lasciai cadere le sue parole nell’aria. Mi alzai, aprii il mantello nero. “Allora conviene imparare a conoscerci prima che tutto vada in cenere, no?”
Prima che potesse rispondere, premii il pulsante sul mio polso. Le catene alle sue mani si aprirono, ma quelle ai suoi piedi restarono strette. Le guardie la trascinarono fuori. La vidi sparire nel crepuscolo prima che la porta si chiudesse con un cigolio.
---
Camminai verso la Sesta Cellula — “l’area più sicura” secondo i rapporti. L’ossidiana nera scintillava appena sui muri, mentre l’acciaio speciale dei licantropi fasciava l’intelaiatura della porta come un ulteriore guardiano. Pensai che fosse il luogo migliore per svelare i segreti del suo sangue.
La porta si aperse. Scaraventai Elira all’interno, al centro di una cella umida e buia. Il mio ultimo passo la fece voltare; nei suoi occhi vidi odio e paura. Le regalai un sorriso freddo e la lasciai dietro il meccanismo di chiusura automatica.
Mentre digitavo il codice di sicurezza, una creatura emerse dall’ombra. Un ibrido — metà uomo, metà mostro — con occhi verdi fosforescenti, artigli lunghi e cicatrici indelebili. La lingua gli pendolava in un ghigno famelico.
Sibilò: “Tu… il tuo odore… è come quello di un Alpha…”
Il mio istinto gridò pericolo, ma rimasi immobile oltre la soglia della cella. Elira si girò con agilità, estrasse uno spillo nascosto nella scarpa e lo piantò profondamente nella pancia della bestia. Il sangue zampillò, ma l’ibrido non arretrò — la sofferenza umana gli era estranea.
In un attimo mi trasformai: zanne e artigli pronti, vene rigonfie, la furia di un lupo assetato. Un solo balzo, un colpo netto al collo: la creatura cadde, un’iride di sangue contro il muro. Tre secondi bastarono.
Elira indietreggiò, fiato corto. Tornai lentamente umano, lasciando che la ragione placasse la bestia. I miei occhi dorati brillavano ancora di riversi, mentre fissavo Elira con una dolce durezza. “Non avrebbe dovuto trovarsi qui,” mormorai. “Stavano testando la reazione del tuo sangue.”
Elira mi guardò con un misto di rabbia e smarrimento. “Chi sono?” chiese, tremando.
Avanzai di nuovo; la mia voce fu un sussurro: “Il Consiglio.” Il Consiglio che governa la sindacato, vigila sugli Alpha come me — sempre pronti a controllare la nostra potenza.
Lei inghiottì, ma il suo sguardo tradiva anche una curiosità ardente. Quando i nostri volti furono a un palmo di distanza, la fissai intensamente.
“Se sei davvero umana… perché il tuo sangue può richiamarmi? Perché quell’ibrido si è piegato a te?” domandai, come se interrogassi il destino stesso.
Elira restò in silenzio, gli occhi colmi di confusione. “Non… lo so,” sussurrò.
Un silenzio pesante calò tra noi, mentre le nostre anime si scrutavano. Allungai una mano per sfiorarle il viso — per un istante, il mondo si fermò. Le sue cicatrici rivelavano dolore, ma il suo calore placava il mio istinto animalesco.
Dentro di me sentii che il peggio doveva ancora venire — o forse mai arrivare. Ma una cosa era chiara: questa trappola non era solo per lei. Era anche per me — per riconnettermi alla mia umanità. E mentre la porta di sicurezza si richiudeva alle mie spalle, compresi che il mio scopo si era trasformato: non più solo dominare il buio del chiaro di luna, ma anche svelare il mistero del sangue di Elira Vance — quel sangue che mi aveva sigillato in un destino: diventare il suo guardiano, e forse… l’anima gemella che lei non aveva mai voluto.
