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Prigioniera Rebirth

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strange_marty
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Riepilogo

- L'Amore è una forza che ci sostiene, ma può anche distruggerci come scoprirà Livia quando un giorno all'improvviso perderà le persone a lei più care. - Il Dolore è una conseguenza dell'amore. Più forte è stato quest'ultimo, maggiore sarà il primo. - Gli Amici, quelli veri sono come una seconda famiglia e ti restano accanto anche quando tutto va male. Come la migliore amica di Livia fa con lei. - La Tortura è un termine abusato. Molta gente non sa cosa sia, ma Liv lo scoprirà sulla sua pelle. - L'incontro con un uomo affascinante può salvarla dalla sua inerzia al dolore e all'accettazione?

BDSMSlowburnViolenzaAlfaRapimentoGuerraDominantePossessivoBadboyCrimine

01. L'incontro con Michael

Livia aprì gli occhi, scattando a sedere sul letto. Un altro brutto sogno dove veniva speronata da un auto, ritrovandosi imprigionata all'interno delle lamiere e facendo fatica a respirare. In un altro incubo, vedeva se stessa uscire di strada con l'auto e finire dentro l'oceano, incapace di muoversi per uscire dal veicolo e la sensazione di essere in trappola.

Sì alzò dal letto e uscì dalla sua camera, per sciacquarsi il viso nel bagno adiacente. Maledicendo se stessa, perché stava camminando in punta di piedi per non fare rumore, senza alcun motivo. Non c'era nessuno con lei in casa, era sola.

"E lo sarò per molto tempo, a meno che non decida di...no! Questo non è certo il momento di pensare a trovare un fidanzato." pensò tra sé.

Livia fissò il proprio volto allo specchio. I capelli biondo chiaro erano un disastro, gli occhi verdi un tempo luminosi ora apparivano spenti. Stava mangiando poco e dormendo male, le occhiaie e il viso dimagrito riflettevano impietosi la sua condizione. Ma neanche quello sembrava riuscire a riscuoterla da quel suo stato di abbandono. Non le importava, stava troppo male e basta.

Ad un certo punto lo sguardo le cadde sul rasoio del suo papà, in bella vista sulla mensola del bagno. Se solo avesse avuto più coraggio o follia, avrebbe cercato un modo per mettere a tacere il suo dolore che la stava consumando.

"Meglio scendere di sotto e preparare la colazione."

Livia uscì dal bagno, attraversò il corridoio, scese le scale per andare in cucina e cominciò ad apparecchiare, promettendo a se stessa di sforzarsi per mangiare di più, trovare la forza per reagire a quello che stava passando. Quando si sedette a tavola, vide quello che aveva fatto in un gesto meccanico e scoppiò a piangere.

"Ho apparecchiato per loro! Come se da un momento all'altro mamma e papà scendessero al piano di sotto, per fare colazione con me!"

Era un pensiero irrazionale e lo sapeva, tuttavia Livia drizzò le orecchie e alzò lo sguardo verso la scala, come se si aspettasse realmente di vedere i suoi genitori varcare la soglia della cucina, salutarla e ringraziarla per aver fatto trovare loro la colazione già pronta.

Ma non sarebbe arrivato nessuno. I suoi genitori erano morti due mesi fa in un incidente d'auto e Livia si sentiva persa senza di loro. Il trillo di una notifica sul cellulare la strappò ai suoi cupi pensieri. Era un messaggio vocale di Nicole.

«Livia, sono di nuovo io. Mi dispiace di essere stata indelicata, non dovevo dire quelle cose l'altra sera. Ma sto male nel vederti così rassegnata e inerme, mi sento inutile e vorrei poterti alleggerire il peso del dolore, mettendolo sulle mie spalle. Ti prego, rispondimi appena avrai sentito questo vocale. Mi manchi.»

Nicole era la sua migliore amica e stava cercando di farla reagire, spronandola in tutti i modi. Ma la delicatezza non era il suo forte, non capiva che non tutte le persone elaborano un lutto nello stesso modo. Alcuni avevano bisogno di più tempo per accettare la perdita, riprendendo in mano la propria vita.

E Livia era in piena fase di accettazione o forse era il caso di definirla "negazione". La tavola apparecchiata per tre era solo uno dei sintomi di quella fase. Le persone si aspettavano che lei iniziasse a stare meglio, ad andare avanti. Volevano aiutarla, ma Livia si sentiva prigioniera dei ricordi legati a quella casa. Per lei tutto quello che era accaduto era sbagliato.

Aveva venticinque anni e non si sentiva pronta a fare a meno dei suoi genitori, specialmente dopo che le erano stati strappati via in un modo così brutale. Per evitare di impazzire, decise di uscire.

Dopo aver sistemato la cucina, fece una doccia e indossò una minigonna bianca a pieghe, una camicetta azzurra e un paio di sandali da schiava col tacco. Prese la borsetta, uscì di casa e salì sull'auto di sua mamma, ora intestata a lei. Vagò senza metà finché non scelse di parcheggiare su una strada dove abbondavano i negozi di abbigliamento e calzature.

"Forse lo shopping riuscirà a distrarmi. Non ho nulla da perdere, a parte i soldi e il tempo." rifletté.

La strategia di Livia sembrò funzionare all'inizio, ma mentre si trovava in un negozio a provare un paio di scarpe, vide una ragazza di sedici o diciassette anni muoversi barcollante su un paio di scarpe dal tacco alto, mentre sua madre le diceva come muoversi.

Quella scena la riportò con la mente a un passato più felice, un momento vissuto in precedenza con sua mamma e il magone tornò a impossessarsi di lei. Con la mente offuscata dal dolore, Livia pagò il suo acquisto e uscì in tutta fretta calzando le scarpe che stava provando, portando con sé tutte le altre borse dei precedenti acquisti.

Mentre camminava a passo spedito, uno dei suoi tacchi si conficcò in una crepa del marciapiede e lei se ne accorse quando si spezzò, facendola cadere a terra sul fianco.

«Maledizione!» imprecò sentendosi patetica per quella sua reazione. Non poteva reagire così ogni volta che vedeva una coppia mamma-figlia che le ricordava lei e sua madre. Sospirò per la rassegnazione e provò ad alzarsi, ma una fitta di dolore alla caviglia la immobilizzò.

«Serve aiuto, signorina?»

Livia si voltò e vide un uomo alle sue spalle fissarla preoccupato. Era più alto di lei, fisico ben allenato, occhi verdi e capelli neri. Sulla trentina e decisamente carino. Forse quella giornata non sarebbe stata così brutta come pensava.

«Sì, grazie. La caviglia mi fa molto male, non riesco ad alzarmi.»

«Mi lasci dare un'occhiata.» disse chinandosi ed esaminando la caviglia.

«Sembra una slogatura, ma credo sia meglio che vada a farsi vedere da un dottore. Riesce a camminare?»

«Anche se potessi, ho un tacco rotto. Devo cambiarmi le scarpe.» disse facendosi aiutare dallo sconosciuto ad alzarsi, ma quando provò a poggiare il peso sul piede, una fitta di dolore la prese in pieno. Per fortuna lo sconosciuto la sorresse mettendole un braccio sulla schiena e la accompagnò vicino a una panchina. Poi andò a recuperare le borse cadute a terra, poggiandole accanto a lei.

«Grazie mille. Non conosco nemmeno il suo nome.»

«Puoi chiamarmi Michael.»

«Piacere, Livia.»