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Capitolo 13.

*Adriano*

domenica 20 luglio.

"Tutto sembra torbido."

Ho bisogno di una scarica di adrenalina.

E devo vincere sì o sì questa lotta.

Osservo il mio avversario, mentre J continua a massaggiarmi le spalle ancora e ancora. Bevo acqua, molta acqua. Il sudore non smette di cadermi sulla fronte mentre il mio allenatore mi racconta cose e cose sulle strategie. Ma non ascolto più, è come se fossi solo adesso. Il denaro in questo momento mi ha reso cieco. Non sono il pugile di prima.

Non più.

Ora i soldi mi accecano e ogni giorno ho meno paura del pericolo.

"Adrian, per favore. Stai attento." la sua voce suona paterna. Come un padre più amorevole di quanto mi sono abituato a vivere in Germania.

J è come un altro padre per me. Dal momento che quello vero non si cura di me.

"Quando non sono stato attento, Joshua?" chiese a J con una certa superiorità.

E l'arbitro segnala che inizia il terzo round. Mi alzo e passo l'asciugamano a J senza guardarlo. Non so nemmeno come mi sto comportando così male con lui. J non se lo merita... no. Dopo tutto quello che ha passato nella sua vita.

Affronto l'altro combattente di fronte a me. La sua faccia è uguale o più distrutta della mia. Il mio occhio comincia a gonfiarsi così tanto che non mi fa vedere bene, ma questo non mi impedisce di continuare il mio lavoro. L'arbitro ci dà il segnale di partenza e l'altro ragazzo mi viene subito incontro con un gancio sinistro, dal quale mi divincolo velocemente. Fa di nuovo la stessa cosa e io mi proteggo. Così finché non vedo che è stanco e riesco a tirargli un asso nella manica. Con i pugni davanti alla mia faccia, ha tirato fuori la forza nascosta e ha sferrato il primo pugno del nuovo round, facendo perdere l'equilibrio all'altro ragazzo e quasi cadere a terra.

Faccio sempre la stessa cosa. In modo tale che il mio avversario difficilmente riesce più a reggersi in piedi. Lui però non si arrende e quasi all'ultimo pugno che sto per dargli riesce a schivarlo e poi, per una mia semplice svista, il ragazzo riesce a colpirmi con un gancio sinistro al fianco di la mia testa. La mia vista si offusca un po', ma sono ancora in piedi.

"Adrian! Vattene da lì!" Sento J urlare e vedo come getta la spugna sul ring. Ma nessuno presta attenzione a quel gesto importante nel pugilato, poiché si tratta di combattimenti clandestini.

Questo posto è così illegale e non so più cosa stia succedendo.

Finché non vedo un oggetto metallico stringere il guanto destro del ragazzo e il suo braccio si avvicina alla mia testa così velocemente che tutto si oscura e sento il mio corpo cadere a terra."

Mi sveglio di colpo, sedendomi sul letto. Guardo la mia stanza con una mancanza d'aria. Ancora quel sogno... quel sogno di quel momento della mia vita.

Mi metto una mano sulla testa e chiudo gli occhi. Ricordo ancora quando mi sono svegliato da quell'ospedale due anni fa a causa di quella lite. A quel tempo ero un idiota senza speranza, tanto che per soldi trattavo così i miei amici... Ma che dico? Non è colpa dei soldi, è colpa mia che non so come gestirli. Per qualcosa ho deciso di diventare coach quando ho conosciuto Emma e J ci ha aiutato.

Non sarei mai dovuto diventare un pugile.

Ma immagino che dovrebbe metterlo come un insegnamento nella mia vita. Da una pietra su cui sono inciampato più volte e che non dovrei più calpestare. Perché so che se lo rifarò, chi si farà male gravemente non sarò io... ma le persone intorno a me.

Devo mettere in ordine le mie idee, non voglio che si confondano e crollo. L'ultima volta che ho pianto è stato alla morte di mia sorella. E questo è quasi dieci anni fa. Da allora mi ripromisi che non avrei versato un'altra lacrima per nessuno. Non voglio vedermi come quella volta, come allora di come la sua morte mi ha colpito.

Mi alzo dal letto e mi tolgo la maglietta, poi vado nella stanza dove c'è il mio sacco da boxe. Ho bisogno di pensare chiaramente, avere ragione e non torto. Le mie mani accarezzano il materiale di cui è fatta la borsa, mentre si muove mentre batto i pugni davanti ad essa. Per ogni colpo, un momento doloroso della mia vita, per ogni dolore alle nocche, una lacrima che ho versato in passato.

Non voglio fare cose sbagliate.

Non voglio pensare alle cose brutte.

Voglio solo vivere la mia vita ed essere felice. Una felicità che mio padre non ci ha mai regalato. Mia sorella ha sempre confidato che avrebbe trovato la mia "anima gemella", prima di morire me l'ha anche detto. Ma quella persona non esiste. Non ho mai avuto un amore e solo pensare che quasi tutti hanno incontrato il loro primo amore mi fa arrabbiare. Ma... ma non con Scarlet. Ha avuto il suo primo amore e invece di stringere i pugni e stringere i denti, il mio cuore soffriva per quello che le avevano fatto.

Non so cosa diavolo le sia successo. Perché quel muro che ho creato, quel muro che ho creato per anni, sono un po' più debole ogni giorno accanto ad esso. Non mi è mai importato del passato di qualcuno o dei problemi di una persona. Ma con lei... è diverso. Tutto è diverso.

Forse non dovrei dirlo. Ma il tuo cuore sta cambiando.

Il mio cuore non cambia.

Se lo è, semplicemente non te ne accorgi.

Lei è minorenne.

E tu sei un essere umano con dei sentimenti.

Aumento il ritmo contro il sacco. Il mio corpo inizia a sudare, tanto che molte gocce scorrono lungo il mio corpo. Le mie nocche devono essere già rosse per aver provato così tanto, ma non mi fermo, non voglio fermarmi. Mi rifiuto di credere che quello che dice la mia testa sia vero. Mi rifiuto di pensare che questa terza regola che mi sono dettato venga infranta.

"Non mi sono innamorato di lei."

E non l'ho fatto.

Non ho ancora infranto quella regola.

Solo perché non mi sono mai innamorato non significa che mi innamoro a prima vista di qualcuno. No... non è possibile, vero?

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