Libreria
Italiano

L'impronta dell'ipotenusa

55.0K · Completato
Paolo Pedicini
43
CapitolI
618
Visualizzazioni
9.0
Valutazioni

Riepilogo

L’impronta dell’ipotenusa è un romanzo ambientato a Valle, una piccola frazione di Cervinara, paese della Valle Caudina. La storia narra le vicende sentimentali di Annamaria e Immacolata. Sullo sfondo una nazione scossa dall’uccisione di Aldo Moro. Le due sono cugine, somiglianti nel fisico e unite da una sensualità prorompente, che Annamaria cela sotto un abbigliamento abbondante e una scarsa propensione ad apparire. Immacolata, perpetua a servizio di don Nicola, consapevole dell’influenza esercitata sul suo datore di lavoro approfitta dell’opportunità concessale e inizia la scalata verso il ruolo di dominatrice assoluta, sull’uomo e nell’abitazione che li ospita. Il parroco ha un fratello, Ferdinando, insegnante di educazione musicale, abile suonatore di oboe, uomo che vive di eccessi, e successi, ai quali non concede la giusta rilevanza a causa della sua sregolatezza. L’uomo ama giocare con le parole. Inventa concetti astratti quali la legittima offesa oppure il cogito interrotto, che lui non pratica. Infatti si interroga di continuo sulle proprie intemperanze. Ma Nando, anche se dotato d’ingegno, non trova spiegazioni e continua a vivere le sue esagerazioni costringendo la natura a privarlo della possibilità di parlare. Annamaria, avvicinandosi alla lettura scopre quanto un libro, oltre a costituire un viaggio emozionale, possa aiutare a scoprire tratti nascosti della propria personalità, che si evidenziano quando lei conosce Sancio, un ragazzo dal nome insolito, ma dal carattere ordinario. Anche troppo. I due si innamorano ma lui non riesce a offrire alla fidanzata ciò che lei desidera, anche perché non viene messo in condizione di poterlo fare. Annamaria, infatti, non gli confida le sue attese e, vittima delle suggestioni, cade in depressione, dalla quale crede di liberarsi scappando. È una decisione insensata, figlia anche della scarsa esperienza in amore, perché lei, a causa del suo modo di essere accondiscendente ha vissuto solo qualche rapporto fisico, sempre impostole. La scelta della ragazza, per quanto scriteriata, consente però a Sancio di riflettere e comprendere. E il ragazzo comincia un lento percorso verso il ricongiungimento. Don Nicola capirà col tempo che Immacolata rappresenta uno stato d’animo destinato a convertirsi in una stupenda malattia. E lei ascenderà al ruolo di matrona, che ha sempre considerato il suo unico obiettivo, e per il quale ha rinunciato a sé stessa. Tutti i personaggi che si avvicendano vivono, come ogni essere umano, delle loro imperfezioni, tanto da apparire, a volte, immorali. Eppure, puri. Perché ognuno di loro pratica l’arte dell’introspezione, che consente a quella linea sottesa, ma anche sottintesa, chiamata ipotenusa, di lasciare la propria orma.

Sesso18+MiliardarioRagazzaMatrimonioVendettaAmoreSegretiViolenzaPoteriPassioneDominantezioFamigliaMatrimonio combinatoBoyxBoySentimentale

Parte I - Capitolo I

Prima parte

La custode delle emozioni

- Perché la facoltà di scegliere tra il bene e il male non ci viene concessa prima di nascere? - (Ferdinando Serpino)

La giovane infilò la chiave nella serratura della porta d’ingresso e le lasciò fare mezzo giro, lo scatto della serratura le comunicò che poteva accedere.

L’appartamento era silenzioso e avvolto dalla penombra. Una volta entrata ispezionò l’ingresso, poi la cucina e il salotto.

Constatò, stupita, come fosse tutto in ordine. Il padrone di casa la sera precedente non aveva tenuto feste, o, più probabile, non aveva avuto voglia di organizzarle.

Spazzò tutti gli ambienti, tolse la polvere dai mobili e lavò i pavimenti. Da ultimo disinfettò il bagno usando candeggina in abbondanza.

Terminate le faccende domestiche entrò silenziosa nella stanza da letto che ospitava il riposo dell’unico abitante dell’alloggio. Emanuele Gragnaniello, figlio dell’uomo più ricco di Cervinara.

Si avvicinò al comò e iniziò a spogliarsi, senza fretta. Tolse le scarpe da ginnastica e le ripose sotto al mobile. Poi levò i pantaloni, di almeno due taglie superiori al dovuto, li piegò e li appoggiò sulla poltroncina che giaceva accanto al letto. Sfilò la maglia di cotone, anch’essa di un’abbondanza superflua, e la ripose sopra ai calzoni. Si liberò degli indumenti intimi e li affiancò al resto dell’abbigliamento.

Il suo corpo, liberato dagli abiti che ne velavano l’avvenenza, emerse in tutta la sua armoniosità. Aveva dei seni stupendi, curve tondeggianti e aggraziate, due piedi piccoli e senza inestetismi. Nessuno lo aveva mai ammirato, però. Almeno al di fuori della famiglia.

Il suo abbigliamento e, soprattutto, lo sguardo assente, avevano sempre tenuto a distanza eventuali corteggiatori. Una ragazza vestita come un clown, peraltro malinconico, scoraggerebbe chiunque.

Una volta nuda, sollevò il lenzuolo e si coricò nel letto.

Il ragazzo, disteso sul fianco sinistro, avvertì la presenza dell’ospite ma restò immobile, non si voltò nemmeno, e si impedì, senza volerlo, l’emozione di vivere la sorpresa di scoprire la sensualità disegnata sul corpo della donna.

Lei gli abbassò i pantaloni del pigiama e gli slip, con l’identica lentezza che aveva adoperato per denudarsi. Poi portò la mano destra tra le gambe di lui e l’accartocciò attorno al membro, già pronto per ricevere la manovella. Come lui le aveva insegnato a definirla.

Per compiere l’operazione con comodità si avvicinò il più possibile, e mentre i seni schiacciavano la schiena di lui iniziò a percorrere l’asta dall’alto verso il basso.

Sapeva che sarebbe durato poco. Dopo pochi secondi il silenzio dell’ambiente fu scosso da un grugnito di piacere. Era giunto il momento in cui lei poteva fermarsi e lasciare la presa.

Annamaria lasciò il giaciglio e indossò gli abiti con gli stessi gesti cadenzati usati per toglierli. Si lasciò alle spalle l’appartamento e andò a fare le pulizie nella casa attigua.

Prima di uscire prese i tre biglietti da mille lire che Emanuele le aveva lasciato sul tavolo della cucina, era la sua paga oraria per le pulizie in casa, comprensive di cinquecento lire di mancia per la prestazione accessoria.

Mentre scendeva le scale che portavano al giardino della maestosa costruzione, simbolo di ricchezza e motivo d’invidia per ogni abitante della contrada Ferrari, non pensò che essere ricompensati per una prestazione sessuale significa, di fatto, prostituirsi.

Lei non era adusa a certe considerazioni e tra l’altro, fin da piccola si era sempre limitata a obbedire a quanto le venisse chiesto. Senza interrogarsi sull’opportunità della rivendicazione. Era il retaggio dell’educazione che non aveva ricevuto dai suoi genitori, i quali, per ignoranza e opportunismo, non avevano mai ritenuto opportuno dialogare con i propri figli.

Bussò al campanello dell’ingresso principale. Il portone, ancora più imponente dell’enorme villa, le spalancò l’accesso a quella che sarebbe stata una mattinata lavorativa meno leggera della mezz’ora trascorsa a pulire nel mini appartamento del rampollo.

La signora Norma, insegnante alle superiori e moglie del cavaliere Adolfo Gragnaniello, imprenditore nel campo della torrefazione, le sorrise.

«Buongiorno, Annamaria. Io scappo a scuola. La casa è tutta tua. Mi raccomando, ci sono una montagna di abiti da stirare. Trascura il resto, ma risparmiami la tortura del ferro da stiro.»

«Sì, signora. Non vi preoccupate.»

La professoressa Lucarelli lasciò la villa con la totale tranquillità di chi è consapevole di aver affidato un incarico delicato alla persona adatta. Conosceva le capacità della ragazza nel lavoro di pulizia.

Annamaria non era solo brava e veloce, amava il suo lavoro. Aveva ereditato la passione dalla madre e dalla zia. Due sorelle che avevano trascorso l’esistenza a pulire case e uffici pubblici. Sua madre lo faceva ancora, la zia Rosaria non più. Un tumore al seno se l’era divorata impedendole di festeggiare il mezzo secolo di vita.

La ragazza in un’ora scarsa mise in ordine tutta la casa. Al termine dell’opera aprì il tavolo da stiro e collegò il ferro alla presa. L’elettrodomestico manifestò la propria disponibilità attraverso il borbottio dell’acqua nel serbatoio.

Annamaria stirò per due ore, durante le quali pensò al giorno in cui la sua strada si era incrociata con Emanuele Gragnaniello.

Era un martedì mattina e stava tornando a Valle dopo aver pulito i locali del Banco di Napoli. La frazione che l’aveva vista nascere distava qualche chilometro da Cervinara, sede della banca, ma lei percorreva il tragitto sempre a piedi. Sia all’andata che al ritorno.

Il cammino era lungo, lei conosceva le stradine di campagna, però, e le adoperava quale ottima scorciatoia. Era quasi giunta a destinazione quando, dalla sinistra della strada sterrata, si sentì chiamare da un ragazzo che reggeva in mano un mazzo di fiorellini appena colti nel prato.

Si avvicinò a lui per ricevere il grazioso regalo e vide che il giovane non era solo. Non si preoccupò più del dovuto nemmeno quando Emanuele le propose di ricompensarli per il dono floreale offrendo loro una manovella.

Quando lui le spiegò in che cosa consistesse la manovra richiesta accettò di buon grado. Era abituata ad accontentare gli altri. Qualsiasi cosa le domandassero.

Adoperò entrambe le mani e li masturbò in contemporanea, quando vide il liquido bianco schizzare dalla cappella di Emanuele comprese di aver assistito a uno spettacolo nuovo. Dopo anni avrebbe scoperto che il ragazzo aveva raggiunto l’orgasmo. Ma il perché non fosse successo all’altro sarebbe rimasto un mistero, che non l’avrebbe mai appassionata

Era tornata a casa accompagnata dalla leggerezza di chi non ritenendo di aver compiuto un atto peccaminoso evita di tormentarsi con ipocriti rimorsi di coscienza.

L’unica certezza che aveva consisteva nell’immaginare che l’accaduto non avrebbe avuto seguito e che non avrebbe più rivisto Emanuele.

Ma il ragazzo, vizioso e capriccioso, l’aveva fatta assumere dai genitori come donna delle pulizie e aveva convinto il padre a concedergli l’utilizzo dell’alloggio di servizio nel quale avrebbe potuto organizzare qualche serata in allegria senza disturbare il resto della famiglia. In particolare le tre sorelle più grandi, e seriose, di lui.

Annamaria lavorava in casa Gragnaniello due giorni a settimana. Ma solo il mercoledì era tenuta a fornire prestazioni fuori dall’ordinario.

Il perché lui desiderasse che quel tipo di attività venisse svolto senza gli abiti da lavoro costituiva un ulteriore enigma che non aveva destato in lei alcuna curiosità. Si era limitata ad acconsentire, come aveva sempre fatto per i primi vent’anni della sua vita. Con tutto e tutti.

Quando anche l’ultima camicia abbandonò la bruttura del cotone sgualcito mise tutti gli abiti nei rispettivi armadi. Andò avanti e indietro per le stanze una ventina di volte. Sudò più per le passeggiate tra i corridoi che nemmeno per il tempo trascorsa a subire il calore della piastra d’acciaio.

Era talmente inzuppata che dovette andare a rinfrescarsi. Quando si spogliò lo specchio del lavandino riflesse un petto percorso dalle stille di sudore. Quella visione avrebbe eccitato chiunque.

Lei l’ignorò, ruotò la manopola a croce, fece scorrere l’acqua fredda e si bagnò le mani, le insaponò e diede sollievo a tutto il corpo coprendo gli effetti della traspirazione con la fragranza della saponetta a vaniglia.

Essenza da benestanti. A casa sua circolavano solo quelle alla candeggina. Prese l’asciugamani appeso al muro, lo usò per detergere la pelle bagnata e lo mise nella lavatrice.

Riporlo tra i panni da lavare fu un gesto dettato dall’istinto. Non sarebbe stato necessario, ma lei preferì così.