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La mia segretaria o mia moglie ?

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Ben Bash
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Riepilogo

La mia segretaria o mia moglie? Quando la moglie trascura, la segretaria abbraccia... Fred soffoca tra i silenzi di una moglie troppo legata a tutto tranne che a lui. A casa, Christelle dimentica il suo ruolo; in ufficio, Niclette lo riscopre. Quelli che erano sguardi discreti diventano carezze dell'anima. Fino a che punto si può scivolare quando l'amore cambia ufficio?

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Capitolo 1: Ho bisogno di un nuovo cammino

Dopo una giovinezza sovraccarica, mi ero ripromesso di prendere una decisione che mi avrebbe messo sulla giusta strada per una nuova vita serena: sposarmi.

Per anni ho vissuto come un funambolo, oscillando da un progetto all'altro, da un'emergenza all'altra, senza mai trovare l'equilibrio che desideravo. Gli studi, le ambizioni, le promesse fatte agli altri e a me stessa si erano accumulati nella mia vita come pietre in un sacco troppo pesante da portare. Ero stanca. Stanca di correre, di lottare, di dimostrare.

Avevo bisogno di qualcos'altro. Di stabilità. Un rifugio. Un'ancora.

E nella mia mente prese forma un'unica immagine con la forza tranquilla dell'evidenza: quella di una vita a due, costruita sulla pazienza, sulla tenerezza e sulla certezza condivisa di andare avanti insieme.

Volevo che il matrimonio fosse per me ciò che poche cose erano riuscite a essere fino ad allora: un rifugio. Non un giuramento fatto alla leggera, né una fuga dalle sfide, ma una scelta maturata, assunta, illuminata da tutti i miei anni di vagabondaggio. Avevo visto tante storie scritte e non scritte intorno a me: matrimoni affrettati, unioni per convenienza o per paura della solitudine. Io non volevo questo. Volevo amare. Ed essere amata in modo semplice e potente.

Non è stata una strada facile per arrivarci. Soprattutto, ho dovuto fare pace con me stessa. Lasciare andare certe ambizioni totalizzanti, rinunciare all'illusione di controllare tutto. Ammettere che la pace interiore non era un trofeo da conquistare, ma uno stato da coltivare giorno dopo giorno, in silenzio e con pazienza.

Fu in questo stato d'animo che presi la mia decisione. Mi sarei sposata.

Non per scappare, non per spuntare una casella, ma per costruire. Per gettare finalmente le basi di un'esistenza che non sarebbe più stata una corsa frenetica, ma un viaggio calmo e consapevole.

Non sapevo ancora come, né con chi. Ma per la prima volta dopo tanto tempo, non avevo paura dell'ignoto.

Avevo fede.

E quella fede, per quanto fragile, sarebbe stata la luce dei miei primi passi verso una nuova vita.

Non ero un ragazzo indisciplinato.

Non sono mai stato uno di quelli che si disperdono, che cedono agli impulsi del momento o che vivono dimenticandosi del domani. Ho imparato molto presto il valore del tempo, la nobiltà di fare le cose con i propri tempi, senza fretta o disattenzione. Ho attraversato ogni fase della mia vita con cura, quasi con solennità, consapevole che tutto ciò che sbagliamo oggi, prima o poi diventerà un peso domani.

Per questo, quando ho capito di volermi sposare, non è stato un capriccio e tanto meno una pressione esterna. È stata una decisione interiore, seria e gentile, come una promessa che si fa a se stessi per onorare ciò che si è e ciò che si aspira a diventare.

Il mio desiderio più grande era semplice, ma immenso: trovare qualcuno che mi aiutasse a rimanere fedele ai miei principi.

Non una donna perfetta - sapevo che la perfezione era un miraggio - ma una donna che potesse capire il mio bisogno di ordine, di rispetto e di progresso lento ma sicuro.

Una donna che non avrebbe cercato di compensare le sue mancanze imponendomi le sue, ma che sarebbe arrivata ad abbracciare i miei vuoti, a riempirli non con la forza o l'agitazione, ma con la sua semplice presenza, con quella rara qualità di esserci, di ascoltare, di credere, di sperare con me.

Avevo conosciuto delle donne, naturalmente. Alcune di loro erano passate nella mia vita, a volte di botto, a volte in punta di piedi.

Ci sono stati sorrisi scambiati nelle curve dei corridoi universitari, timide promesse sussurrate all'ombra delle palme, sguardi pieni di speranza e silenzi pesanti di incomprensione.

Ognuno di loro ha lasciato un segno in me: una risata, una ferita, una lezione.

Ma nessuno di loro ha saputo o potuto restare.

Nessuno di loro era riuscito a superare quella soglia invisibile oltre la quale inizia il vero amore, quello che non si limita ad ammirare, ma si impegna, persiste e guarisce.

Così mi sono fermata.

Mi sono data del tempo. Tempo vero.

Non quei pochi giorni o settimane in cui si finge di pensare mentre si brucia di agire, ma un vero tempo di silenzio, di passi indietro, di onestà.

Ho dovuto scrutare il mio cuore, ascoltare ciò che volevo far crescere e ciò che volevo far morire.

Dovevo anche essere giusto con coloro che avevano fatto un po' di strada con me: non usarli come semplici opzioni su un tabellone di scelta, ma riconoscere con gratitudine ciò che erano stati, ciò che non erano stati in grado di essere e ciò che, forse, non sarebbero mai stati.

Dovrei tornare da uno di loro, riaccendere una fiamma tremolante, riannodare un legame spezzato?

O dovrei fare un nuovo passo, aprirmi all'ignoto, rischiare di ricominciare tutto da capo, con qualcun altro, da qualche altra parte, in modo diverso?

Era una domanda pesante, quasi sacra.

Non volevo scegliere per nostalgia, comodità o paura della solitudine.

Volevo scegliere per speranza.

Così ho percorso il viale dei ricordi, rivisitando volti, voci, scoppi di risa e silenzi.

Ogni ricordo era come un pezzo di un puzzle che cercavo di ricostruire, non per riscrivere il passato, ma per capire meglio l'uomo che ero diventato.

Non si trattava di rifiutare o disprezzare coloro che avevo amato.

Si trattava semplicemente di riconoscere che alcune pagine, per quanto scritte con sincerità, non possono sempre portare la storia fino in fondo.

Avevo bisogno di una donna con cui scrivere un nuovo libro, non solo continuare un capitolo incompiuto.

E per farlo, dovevo essere pronto a voltare pagina senza amarezza, senza rimpianti, con quel sorriso interiore che nasce dalla pace ritrovata.

Così, giorno dopo giorno, ho preparato il mio cuore. Non sapevo quando, né come, né con quale faccia il futuro avrebbe bussato alla mia porta. Ma sapevo che sarei stata pronta. Pronta ad accogliere, pronta ad amare, pronta a costruire - lentamente, pazientemente, profondamente.

È stato in questo stato d'animo, tra l'aspettativa e l'abbandono, che la mia vita ha preso una piega che non avevo previsto.