Capitolo 8
Sophie capì che lui aveva bisogno di un ulteriore incentivo visivo per cedere, così gli mostrò le cosce nude e aggiunse:
“Hai così tanta fretta, pensavo che ti saresti preso il tuo tempo con me”.
Lui cadde nella trappola, si avvicinò e fece scorrere la mano sinistra lungo la coscia di lei, la repulsione fu istintiva, ma la deglutì e finse un sorriso, in quell'istante di resa di lei abbassò la guardia e commise un errore mortale, si avvicinò a lei distratto dalle cosce che stava accarezzando e con l'altra mano che prima teneva la pistola le toccò un seno, Non ebbe il tempo di rispondere alla domanda di lei, che gli tolse la pistola dalla cintola, si sfilò rapidamente dalle sue braccia, si girò e gli mise una chiave al collo da dietro mentre gli puntava la pistola alla testa, l'uomo fu così sorpreso che cominciò a balbettare.
“Come hai fatto a... a...?”.
Ishhh.” lo zittì premendo più forte la pistola sulla sua testa - “Io terrei la bocca chiusa se fossi in te, a meno che tu non voglia rimanere vivo.
“Che cosa vuoi, dannazione?”.
“Tranquillo gattino... ora io e te andremo a negoziare”.
“Ti ammazzo, fottuta puttana”.
“Credo di avere la meglio”, disse pochi istanti prima di premere più forte sulla sua nuca e fargli perdere i sensi.
Lo trascinò al lato della stanza, fuori pericolo, chiuse la porta e poi pronunciò le parole che avrebbero condannato tutti i presenti nell'edificio.
“Il topo sta già riposando”.
Si sedette accanto all'uomo svenuto su quel pavimento sudicio, non vedeva l'ora di farsi un bagno, sentì molti spari, qualcuno cercò di aprire la porta, lei si posizionò per sparare, l'uomo urlò disperato.
“Capo aprite, ci stanno sparando, è la maledetta polizia, dovete scappare!”.
Cercò di forzare la porta spingendo e spingendo, poi sparò per aprire la serratura, ma sbagliò la mira e il proiettile si conficcò nella parete della stanza, pochi secondi dopo sentì un altro sparo, ma nessun proiettile attraversò la parete, l'ultimo vivo era stato eliminato.
“Gates è ora libero”, gridò il comandante della squadriglia.
“Sto uscendo”, ha confermato.
Aprì la porta e vide il massacro, si girò e salutò il comandante.
“Signore... tutto pronto, è svenuto e disarmato, basta mettergli le manette e sarà innocuo”.
“Ricevuto... se ne occupi Carlson”.
“Sì, signore!”
“È bello vederti così servile”, lo schernì Sophie, visto che il comandante era lì e lei era ignorata.
“Sei riuscito a tirargli fuori qualcosa?”, chiese il suo capo.
“Non c'era possibilità, sembrava più saggio immobilizzarlo prima che mi scoprisse”.
“Hai fatto un buon lavoro, persino io pensavo che ti fossi drogato”.
“È il mio lavoro”, disse a disagio, aggiungendo per cambiare argomento, “dove hai intenzione di interrogarlo?”.
“Non c'è molto tempo”.
“Possiamo farlo qui, se vede cosa è successo ai suoi uomini non esiterà a vuotare il sacco”.
“Mi piace che tu sappia sempre trarre il meglio da una situazione”, disse il comandante battendogli la mano sulla spalla, “lo interrogherai, te ne meriti il merito.
“Grazie, signore!”
“Svegliatelo già, Gates lo interrogherà proprio qui”, gridò a chi lo seguiva.
Tornò nella stanza sudicia per tirare fuori una sedia e trascinarla dal vecchio ufficio, la mise in mezzo ai cadaveri e disse a Carlson:
“Portatelo qui!”
“Sei una fottuta puttana”, disse mentre si avvicinava a lei con il capo della banda svenuto.
“Essere una stronza fa parte del lavoro”, rispose lei sorridendo.
Diede un colpetto in faccia all'uomo che doveva interrogare, ma lui non si svegliò, allora gli diede un colpo più forte, questa volta si svegliò e sputò sangue.
“Puttana del cazzo!”
“Ishhh... ricorda quello che ti ho detto prima di stenderti, è meglio che tu stia fermo e accessibile, guardati intorno, sei solo, tutti i tuoi uomini sono morti”.
Lo fissò incredulo, come poteva lei da sola aver eliminato così tanti uomini, ma loro giacevano lì in una pozza di sangue.
“Se vi state chiedendo come ho fatto, è molto semplice: non sono venuto da solo...”.
