Capitolo 9
Non penso nemmeno di chiamare Leo,nédi andare a vedere come sta.Lo lascio lìe metto Milo in macchina.Respira ancora,e in questo momentoètutto ciòche mi importa.Non risponde alle mie carezze néalle mie parole,maèvivo.E in questo momentoètutto ciòche conta.
Il mio telefono era sul sedile del conducente,con chiamate perse da Margot.Posso richiamarla quando Milo riceveràaiuto.So che deve essere molto preoccupata.
Le mie mani tremavano cosìtanto che mi ha sorpreso persino riuscire a guidare.Non potevo permettermi di fermarmi.Non potevo lasciarmi andare.Non potevo far ruotare tutto intorno a me.
Ho tempo per arrabbiarmi dopo.In questo momento,Miloèimportante.
Siamo stati molto fortunati,vivevamo a soli dieci minuti dal Royal Free Hospital,il che era perfetto per quando Leo decideva di colpire un muro o di spaccarmi il labbro.
Anche solo pensare a Leo in quel momento mi faceva ribollire il sangue.Pensare a come aveva potuto mettere nostro figlio in una vasca da bagno gelata,a pochi centimetri dall'annegamento,mi rivoltava lo stomaco.
Non ero sicura se Leo avesse preso qualcosa o se stesse solo fingendo un'overdose.Èstato chiaro fin dall'inizio che Leo nonèmai stato bene mentalmente,anche se si rifiuta di farsi aiutare o di farsi diagnosticare per superarlo.Forse i farmaci potrebbero aiutarlo.Potrei riavere il mio Leo.Potrei riavere la mia vita.
Non mi ha lasciato altra scelta che dire finalmente la veritàsulle sue bravate.Non posso mentire ai medici su questo;quando ha lanciato il telefono a Milo,ho capito subito che aveva dato una testata al tavolo.Ma questo?
Non potevo dire che era entrato nel congelatore.Era ridicolo.Avrei dovuto dire la verità.E questoèspaventoso.Forseècolpa mia per aver lasciato Milo;non avrei dovuto perderlo di vista.
Lascio la macchina parcheggiata alla rinfusa fuori dal pronto soccorso,con Milo,il mio telefono e i vestiti che indossiamo.
Questaèla nostra via di fuga.
Mentre entro nell'ospedale con l'aria condizionata,stringo Milo piùforte,perchénon voglio che perda altro calore corporeo.
«Stai bene,tesoro?»Mi ferma un'infermiera di mezza età.Mi afferra il bicipite;la mia pelle brucia al suo tocco indesiderato.
Sospiro e guardo la sala d'attesa.Devo assicurarmi che siamo al sicuro.Siamo ancora personaggi pubblici e non posso permettere che i media scrivano di questa storia.
«Tesoro?»chiese lei,inclinando la testa per guardarmi negli occhi.«Èil tuo piccolino?»chiese.E questoètutto ciòche mi serve per crollare completamente.L'adrenalina ha tenuto tutto sotto controllo,fino ad ora.Fino a quando la realtàmi ha colpito.La gravità.
«Per favore,aiutatemi»ètutto quello che riesco a gridare.Se non avessi ricevuto aiuto in quel momento,non ce l'avrei mai fatta.«Suo padre»mi si riempiono gli occhi di lacrime.
«Porto via il tuo ometto,ok?Fallo visitare da un medico.Abbey ti porteràin una stanza dove potrai raccontarle cosaèsuccesso,va bene?».«Va bene».Ma scuoto la testa,non volendo separarmi da Milo nemmeno per un secondo.
—No,ti prego,non portarlo via—dico a voce bassa,con le lacrime che mi coprono il viso mentre cerco di riprendere fiato.
«Va bene,va bene,seguimi,andiamo a farlo vedere,puoi venire con me»,si accontenta.
Seguo senza meta questa signora in divisa viola attraverso il pronto soccorso finchénon si ferma davanti a un cubicolo aperto;la tenda che lo circondava aveva un motivo brillante e fastidioso che indicava chiaramente che si trattava di una sorta di reparto pediatrico.
«Mettilo semplicemente sul letto,arriveràun medico»,mi dice.
«Maècosìfreddo»,gli dico.Vedo il colore svanire dal suo viso.Rapidamente,mette due dita sul polso di Milo,con il viso immobile mentre aspetta il battito.
«Signora,so che ha paura,ma suo figlio ha bisogno di cure mediche.Devo chiederle di consegnarcelo affinchépossiamo fornirgli le migliori cure,d'accordo?»La sua voceèsevera,ma solo per il suo bene.So che sta solo cercando di aiutare.Ma fisicamente non riesco a consegnare mio figlio.
Si sente al sicuro solo quandoècon me.
-Cosa abbiamo?-Un uomo spunta dall'angolo e chiede.
«Un neonato,sembra avere solo pochi mesi,ègelato,ansima e respira debolmente.Non risponde»,dice l'infermiera.«All'improvviso mi gira la testa.Le mie membra sono molli come gelatina.Non so per quanto tempo ancora riusciròa resistere».
«Signorina?»mi chiede il dottore,toccandomi il braccio.Lo guardo a bocca aperta,incapace di dire una parola.Ho le lacrime che mi scendono sulla camicetta e sento che le gambe mi stanno per cedere da un momento all'altro.
Sento che mi stanno portando via Milo,ma il vuoto nella mia testa mi impedisce di reagire.Voglio raggiungerlo,ma non ci riesco.Non ne ho la forza.
Mi sento come se mi avessero spogliata senza il mio piccolo vicino al mio petto.Luiètutto ciòche sono.
«Ti tengo»,mi dice un'altra voce,mettendomi un braccio intorno alle spalle.Il mio corpo non pensa nemmeno di rabbrividire al suo contatto.
-Come si chiama?-chiede il medico e tutti gli sguardi si posano su di me.
Miloèsdraiato sul letto,cheètre volte piùgrande di lui.E posso solo immaginarlo mentre urla nella vasca da bagno.Non credo che riusciròmai a togliermi quell'immagine dalla testa.
«Milo»,sussurro,alzando le mani per asciugarmi le lacrime.«Milo Gibson».
«Ha qualche allergia?Qualche problema di salute?»chiese,pronto a dare ordini alla sua squadra,ma prima doveva avere tutte le informazioni necessarie.
Scuoto semplicemente la testa,senza sapere cosa dire.
«Ci occuperemo noi di lui»ètutto quello che sento prima che lo coprano.E io resto fuori,senza sapere nulla.
«Ti portiamo in una stanza tranquilla,possiamo chiamare un familiare e mi racconti cosa succede»,dice l'infermiera piùgiovane.In pratica,mi sta allontanando dal cubicolo.Sento che le gambe non mi rispondono.Ma questa signora mi guida attraverso l'ospedale,allontanandomi dal mio piccolo.
Tengo la testa bassa,senza voler guardare nessuno negli occhi.Nemmeno l'infermiera.So per certo di avere un aspetto orribile,quindi se tengo la testa bassa almeno mi sento nascosta dal mondo.
«Siediti,vuoi qualcosa da bere?»,mi chiede quando arriviamo in una stanza con poca luce.C'èun divano in fondo alla stanza,una libreria e una casa delle bambole.E un grande quadro sulla parete con la scritta:«Sono resiliente e posso affrontare tutto».
Non sembrava molto appropriato in quel momento.
«No,grazie»,sussurrai sedendomi sul divano e asciugandomi le lacrime.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella stupida frase.Mi faceva arrabbiare.Tra tutte le frasi del mondo,avevano scelto proprio quella.Per una sala familiare,in un ospedale.Sono sicura che alle famiglie in lutto non piaccia vederla.
«Non so se mio marito sta bene»,gli dico senza giri di parole.Anche se la mia menteèstata fissa su Milo,una parte di meèstata preoccupata anche per Leo.
-Possiamo chiamare--
—No—la fermo—.Non va bene—dico prima di piangere tra le mie mani—.Ha messo Milo in un bagno gelido,riusciva a malapena a tenere la testa fuori dall'acqua.
Tira fuori un telefono dalla tasca posteriore e mi fa trattenere i singhiozzi mentre la guardo.«Lo diròalla squadra,ecco cosaèsuccesso,cosìpotranno trattarlo come si deve»,dice mentre digita sul telefono.Se non l'avesse detto,avrei pensato che stesse scrivendo a un'amica.
I miei occhi tornano a posarsi su quel maledetto appuntamento.Ècosìinsensibile.Non si tratta di resilienza.
-Credo che mio marito abbia avuto un'overdose-ammetto senza distogliere lo sguardo dalla frase sul muro.
