Capitolo 3
Sara
Volevo sapere tante cose... eppure ora non voglio sapere niente, non voglio che nessuno mi parli, mi chieda come sto e non mi dispiace per ogni persona che attraversa il porta della stanza dove mi trovo.
Mi hanno legato, immagino sia la loro soluzione a quello che mi è successo, lasciandomi legato al letto, senza darmi scelta. Non è che io voglia o merito quell'opzione, penso che, senza aver subito la stessa fine di tutta la mia famiglia, mi ritrovo al suo fianco, come se fosse scomparso da questo mondo.
L'unica cosa che mi è rimasta dopo l'incidente è questo, il mio diario rosso, intatto. Come se quel qualcosa che non ha saputo proteggere tutto il resto, lo avesse protetto.
Non è un fottuto segno? L'auto è distrutta, la mia famiglia se n'è andata per sempre, eppure uno stupido libro non ha nemmeno una brutta bruciatura, non un piccolo graffio, niente.
Anche se devo ringraziare che è stato così, almeno so che se non è qualcuno, qualcosa deve capirmi e farmi esprimere quello che provo in questo momento.
La carta è l'unica cosa che custodisce le mie parole, i miei pensieri, i miei ricordi ei miei sentimenti, nient'altro lo farà. Ancora non so se mi fa più male sapere che non vedrò più né mia madre né mio padre, nemmeno mio fratello, che la vita non gli ha nemmeno fatto compiere dieci anni, non so se quello il dolore è più sordo, o se mi fa più male che nel posto dove sono nessuno si degna di chiedermi un semplice "come stai, Sara?".
Non ho diritto almeno a quello? Qualcuno vuole aiutarmi? So di non essere il primo o l'ultimo diciassettenne a perdere tutto, ma perché non merito niente? No, mi hanno mostrato che non lo è. E ora sono io quello che non vuole ricevere nulla da questo sito.
Quando mi sono svegliato qui ieri e ho scoperto tutto, mi è venuta in mente solo un'idea, ed è che se se ne fossero andati, non sarei stato superiore a dover restare.
Quando stamattina lo sgradevole dottore mi ha lasciata sola, mi sono alzata dal letto e sono andata dritta in bagno, sapevo cosa dovevo fare.
Senza pensarci un secondo ho pestato le mie fragili nocche contro il vetro, non doveva essere molto forte, o forse ho tratto forza da dove non esistono, ma è finito per frantumarsi e provocarmi qualche altro taglio, il la verità è che ne ho già alcuni...
Tra le mie dita potevo vedere il sangue scorrere, ma è divertente, non mi ha più causato dolore. Alcuni cristalli cadono sul lavandino, altri sul pavimento, mi fermo un attimo per sapere quale scegliere e, una volta fatto, lo raccolgo da terra e lo avvicino al mio polso, alle mie vene.
Non penso a quello che sto facendo, lo faccio e basta, inchiodandolo furiosamente, facendolo andare da una parte all'altra, senza fermarmi un secondo.
Sorrido pensando che il piccolo riflesso che il vetro rotto ora può darmi sia l'ultima cosa che vedrò nella mia breve vita, ora ricordo solo il volto dei miei genitori, del mio fratellino. Poi noto come le mie gambe iniziano a indebolirsi e il mio corpo perde forza.
Alla fine, un colpo contro il pavimento del bagno, il mio corpo crolla.
