- Capitolo 6 -
«Una donna del genere non capita tutti i giorni.»
Il mio avvocato, non che amico di lunga data, mi guarda dopo essersi seduto sulla sedia dalla parte opposta della mia scrivania ancora piena di carta.
«Io la conosco Varick, non la passerai liscia.»
Mi allento la cravatta accomodandomi sulla poltrona di pelle nera del mio nuovo ufficio. Forse ha ragione, mettersi contro una delle donne più potenti di New York non è esattamente un idea così intelligente, ma alle persone piacciono così tanto questi tipi di gossip che mi sento in colpa a non farglieli avere. Ed io ho bisogno di un buon incasso per questo mese, inoltre la nostra carissima Beatriz Torres non si è mai fatta troppi problemi davanti alle pagine di scandalistica, mi chiedo perché dovrebbe farlo proprio ora.
«Non ti preoccupare Ben, andrà tutto bene.»
La mia casa editrice non è paragonabile di certo al New York Times o altri grandi del giornalismo ma in poco tempo siamo riusciti ad arrivare in alto. La società, da sempre, ama questo tipo di rivista, tanto che ora siamo entrati nelle grazie del Paese e una garanzia per le persone, con un'uscita del genere sono più che sicuro che ci saranno incrementi da non ridere.
Io e Ben siamo amici da anni e ormai ho imparato a decifrare le sue espressioni, non è mai stato un ragazzo molto espressivo e solare ma so già cosa gli frulla in testa, conosco bene quello sguardo: non è sicuro.
«Cosa c'è che ti turba?»
Il mio amico si slaccia il primo bottone della camicia bianca che porta per restare più comodo mentre si versa il liquore che ho messo in centro al tavolo per farci compagnia.
«Non lo so, Var, è davvero potente e arrogante come dicono. Ho lavorato per lei per diversi anni, sa cosa vuole e come ottenerlo. Non si farà tanti scrupoli a mandarti in rovina.»
Guardo il mio amico mentre si passa una mano tra i folti capelli scuri che ha, forse ha ragione ma non mi fermo, è un articolo non troppo diverso da quello che pubblicano di solito sul suo conto, non succederà nulla.
«E anche se fosse, io ho il miglior avvocato qua pronto a difendermi.»
So che non è convinto delle mie parole, ad essere onesto nemmeno io lo sono al cento per cento ma vivere è anche questo: rischiare ed essere un po' folli di tanto in tanto ma tutto questo discorso viene interrotto proprio sul più bello quando il mio telefono fisso squilla.
«Dimmi.»
La mia segretaria, di cui ora mi sfugge il nome, mi avvisa dell'arrivo di un nuovo personaggio che si è presentato come investitore e che vuole parlare con me, ed io al solo udire queste parole metto giù il telefono, saluto Ben con una pacca sulla spalla, prendo la giacca nera dalla poltrona e mi dirigo a passo svelto verso l'ingresso del mio stabile.
Mentre sono in ascensore cerco di sistemare i miei capelli biondi ribelli, il mio sorriso è tirato come al solito, e i miei occhi se guardati troppo a lungo possono congelare da quanto sono chiari. Io e Ben siamo sempre stati presi per gemelli diversi, tutti e due alti e con le spalle larghe ma uno chiaro e uno scuro, siamo sempre stati culo e camicia, questo ormai da anni, per non dire decenni.
Quando finalmente le porte dell'ascensore si aprono e sono al piano terra le suole delle mie scarpe rimbombano sul pavimento, finto legno, liscio, splendente. Caratteristiche essenziali per il mio lavoro: pulizia e ordine. Mi dirigo verso il banco informazioni per chiedere dove si trova l'uomo che tanto vuole vedermi, mi sistemo la giacca mentre passo, chiudendo anche gli ultimi bottoni in alto e sembrare ancora più serio di quello che già sono, di certo il completo nero non sarà un invito a venire a parlarmi di una banale partita di pallone. Non amo perdere tempo.
Le donne che sono all'interno della stanza so già che cosa stanno pensando, è così già da quando frequentavo le superiori ma nessuno di loro rispecchia ciò che voglio. In una donna cerco determinate caratteristiche, grazia, eleganza e una mano ferma, cose che a prima vista nessuno di loro mi da l'idea di avere.
Sono stato considerato superficiale per i miei atteggiamenti, una persona priva di sensibilità per come sono andato dritto al sodo per molto tempo senza perdermi in stupide fantasie.
Il posto non è tanto grande, anzi gli uffici sono quasi contati tanto se dovessimo assumere personale non saprei nemmeno dove metterlo ma è ancora presto per pensare a determinate cose, prima di tutto qua mi devono dire dove si trova questo fantomatico investitore.
«Signor Fischer... mi scusi...»
Mi volto di scatto verso la ragazza dietro di me, sta cercando di conversare. Senza riuscirci.
«Mi dica.»
La sua voce trema mentre mi chiede se nel pomeriggio posso passare a firmare per l'ordine che abbiamo fatto di fogli e inchiostro, cose che qua dentro finiscono ancora prima di essere comprate.
«Lo farò.»
Non mi soffermo nemmeno a salutarla, detesto le persone che non riescono ad avere una conversazione con me senza dover balbettare o guardarmi negli occhi per più di mezzo secondo, sono il capo qui dentro è vero, lo stipendio queste persone lo hanno grazie a me e per questo devono portare rispetto ma anche così non mi piace. Ben è l'unica persona con cui riesco ad avere una conversazione senza per forza essere adorato o compiaciuto.
Cerco di velocizzare il passo per arrivare dall'altra parte della stanza nel minor tempo possibile.
Lo hanno mandato al mio ufficio, non ci posso credere, glielo avevo detto chiaramente alla centralinista che sarei sceso in un momento, per Dio.
Quando arrivo davanti alla porta in legno del mio ufficio la mia segretaria mi guarda con il suo solito sguardo timoroso, soprattutto quando vede la mia occhiata tutt'altro che amichevole. Perché qua nessuno riesce a fare nulla come si deve?
Entro dentro la stanza che ho già le palle girate ma quando vedo il sorriso dell'uomo davanti a me che mi viene in contro per stringermi la mano capisco che non basterà una troia, come Torres, per mettermi i bastoni tra le ruote.
