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- Capitolo 2 -

Nel corridoio del mio studio non si sente volare una mosca mentre passo a testa alta, tutti qui dentro mi temono, il mio carattere di certo non è mai stato dei più amichevoli ma forse è grazie a quello che ora sono qui davanti alla porta del mio ufficio, in uno dei più alti grattacieli di tutta New York ma proprio mentre entro nella stanza vedo la sola cosa che mi fa perdere la calma.

Il mio tirapiedi che seduto sulla sua sedia di velluto nero sorride davanti al telefono quando dovrebbe lavorare.

«Ma bene, qui qualcuno pensa di essere già in ferie.»

Quando George alza la testa e realizza che sono proprio di fronte a lui nei suoi occhi passa un lampo di paura.

«M-mi scusi Signora Torres.»

Ah giusto, forse mi sono dimenticata di dire la cosa più importante di tutta questa storia: non sono il classico capo che si potrebbe pensare di trovare in questa città, o meglio tutto quello che hanno loro l'ho anche io solo che io al posto di un pendolo ho un buco.

Questa è l'unica cosa che ci distingue sul serio.

«Ora torna a lavoro o i quattro giorni che ti sei preso di ferie con la tua ragazza rifatta te li faccio fare quando lei avrà già trovato un rimpiazzo»

Come dicevo non ho nulla di diverso da loro, nemmeno l'arroganza; il mio lavoro richiede pulizia, precisione e puntualità e odio profondamente chi non rispetta queste tre caratteristiche.

Il ragazzo basso con gli occhiali da nerd che ho assunto da poco esce con la coda tra le gambe per lasciarmi sola e concentrarmi sulle mie nuove cause, di cui la maggior parte sono divorzi di persone di un certo calibro. Devo ammettere di avere una preferenza verso questo tipo di processo, mi incuriosisce ogni volta vedere fino a qual punto possono spingersi le mogli sposate solo per soldi e fama e i classici mariti che non si sono fatti scrupoli a tradire come degli adolescenti ancora alle prime armi, animali che non riescono a resistere al richiamo della carne, persone che non sanno tenere le palle al loro posto per troppo tempo.

Appoggio i piedi alla scrivania mentre con la mano destra digito un numero al telefono fisso, subito mi risponde una voce femminile, tutti qui dentro sanno che non sopporto attendere.

«Si può sapere dove è finito il mio caffè amaro?»

La mia voce non urla nemmeno troppo rispetto al solito, stamattina sono sorprendentemente calma, ammetto che è stata una nottata piacevole.

«Vedo di provvedere subito Signora.»

Non aggiungo altro, riaggancio il telefono e mi tolgo la giacca color cielo di Londra che porto, la gonna è stata definita dai media più di una volta "troppo corta per il lavoro che fa" ma sono una persona che non segue personalmente la propria vita social, ho gente pagata per farlo e di conseguenza me ne frego di queste informazioni.

Alla porta infondo alla stanza si sente bussare, guardo l'orologio sono passati due minuti e quarantotto secondi di troppo da quando ho chiamo, il mio caffè ormai sarà freddo ed io odio il caffè freddo ma non vorrei che questo poveretto si sia fatto tutta quella strada per niente, per questo lo faccio entrare.

«Ec-ecco il suo caffè.»

Quando si parla con me sono poche le persone che riescono a tenere uno sguardo fisso sul mio viso e una parlata un minimo decente. Guardo dall'alto al basso questo essere, è un uomo alto circa uno e settanta, un nano per essere franchi, pancetta, già stempiato con un completo scadente di un colore del tutto orribile.

Da quando assumo gente del genere?

«Sei due minuti e quarantotto in ritardo, lo sai vero che ora sarà freddo il caffè? Ed io odio il caffè freddo, quindi..»

Lascio la frase in sospeso aspettando che costui capisca che è il momento di darsi una mossa e scattare ma quando mi accorgo che la sua attenzione è del tutto rivolta allo scollo della mia camicetta una fitta di rabbia mi attraversa il corpo. Mi alzo dalla sedia per andargli incontro, sedendomi sulla scrivania mentre accavallo le gambe, vedo il vecchio diventare sempre più accaldato.

«Fuori da questa stanza, stronzo.»

Ho imparato a controllare le persone così e di fatto spaventato anche quest'uomo esce dalla stanza lasciandomi il caffè sulla scrivania.

Mi alzo solo dopo che ha chiuso la porta, solo quando sono sicura che non può entrare nessuno senza il mio consenso mi tolgo queste scarpe un attimo, cercare di raddrizzare la gonna nera che porto e andare ad assaporare la mia bevanda davanti alla vetrata del mio ufficio.

Più di una volta sono stata descritta come "La mangia uomini", come la "Femminista per interessi" o "Una dittatrice al comando" non sono mai stata nulla di tutto questo eppure ammetto che la fantasia dei giornali mi lascia ogni volta a bocca aperta, solo perché faccio ciò che non è convenzionale alle persone non piaccio ed io continuo a farlo.

A farlo sempre meglio.

Trentadue anni, il prossimo mese, e già classificata come la terza donna più ricca e potente di New York non è affatto male, le mie coetanee al College pensavano solo a divertirsi ed ora chissà dove saranno. Il panorama che mi regala questo posto di certo persone come loro se lo posso solo sognare.

Mi specchio sul vetro della finestra e il riflesso è esattamente ciò che sono, i capelli ramati sono legati in una coda di cavallo alta e ordinata, lo scollo della camicia bianca lascia intravedere il reggiseno di pizzo nero rigorosamente firmato Victoria's Street, il mio corpo alto e slanciato ha fatto invidia a molte modelle ma non mi sono mai abbassata a quello stile di vita, tanto trucco per poca stoffa, manichini usati per apparire, canoni che non servono a nulla.

Troppe parole in mezzo a tutto quel fango.

Per la stanza solo il rumore dei tacchi mentre cammino, i miei fedelissimi tacchi Gucci sono una garanzia, avendone circa duecento paia a casa è capibile come per me siano circa tutti uguali da portare.

Il mio abbigliamento criticato e messo in discussione forse è ciò che mi ha reso quello che sono, l'avvocato più ricercato di tutto il Paese, una donna che sa farsi valere nonostante come si veste.

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