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PROLOGO 3 Adriel João

La mia vita scorreva felice. Ha quindici anni ero stato preso nella squadra under 16 del Vasco e giocavo a livello agonistico. A febbraio iniziai anche il liceo, interessato poi a prendere la laurea in medicina. Durante le scuole secondarie infatti con lo studio della biologia, mi ero appassionato sempre di più. Forse il maestro Rodrigo ci aveva visto giusto quando ero bambino. La medicina era il mio futuro.

Per il momento mi godevo il presente e la mia ascesa nel Vasco. Il pomeriggio cercavo sempre di crearmi un po' di tempo con papà durante gli allenamenti. Anche se diventava ogni anno più difficile, da quando giocavo nel Vasco avevo allenamento tutti i giorni e le partite al week end.

"Papà..." gli dissi quella sera guardandolo attentamente. Aveva delle occhiaie preoccupanti.

"Domani non riesci con gli allenamenti." Disse lui.

Scossi la testa. "Non è questo! Sei pallido papà, hai le occhiaie e le mani sono macchiate." Gli dissi.

"Ebbene?" Chiese papà.

Ebbene? Faceva ancora i controlli medici. Non so dove avevo sentito dire che faceva dei controlli medici.

"Forse dovresti fare un check up medico completo." Suggerii guardando anche la mamma. "Anche tu dovresti mamma. Hai quarant'anni, alla tua età dovresti fare anche una mammografia."

Mamma mi guardò sorpresa portando i ricci scuri dietro l'orecchio. "Da quando parli come un medico?" Chiese.

Feci spallucce. "Mi piace leggere riviste mediche. Però voi due dovreste..."

"Tuo padre fa un check up completo ogni anno Adriel." Mi informò mamma.

"Tra due mesi ho il prossimo." Mi disse papà. "Le macchie dipendono sicuramente dal fatto che alleno i ragazzini sotto il sole."

Annuii guardando ora papà, ora i miei fratellini. "Posso chiederti come mai fai un check up annuale, tutti gli anni?" Chiesi.

Papà bevve un sorso di acqua, tese la mano a mamma che gliela strinse sorridendogli e si rivolse a me.

"Più di sedici anni fa, mi fu diagnosticato un tumore alla prostata. Mi fu asportato e feci le chemioterapie per ripulirmi, tuttavia da allora faccio dei controlli obbligatori. Prima ne facevo uno ogni tre mesi, poi siamo passati a sei mesi di distanza, infine ne facciamo uno annuale. Sto bene, da allora non mi è uscito più nulla."

Era come avevo sospettato cinque anni fa. Cancro alla prostata.

"Capisco. Io farei comunque un controllo su quelle macchie, hai un po' di nei e sai che sono tumori benigni." Gli rivelai.

Papà mi guardò circospetto. "Adriel..."

"Papà!" Gli chiesi.

"Sai che soffri di nosocomefobia, vero?"

Lo guardai interdetto. "Noco cosa?" Chiesi.

"nosocomefobia tesoro. È la fobia degli ospedali." Mi disse mamma.

"Ho la fobia degli ospedali?" Le chiesi incredulo. "No... non può essere." Dissi. Come facevo a diventare dottore se avevo una fobia.

"Lo sappiamo. Ma la psicologa ci disse che avevi subito un trauma molto grosso. Per questo non vai mai a fare visite in ospedale." Disse mamma.

"Impossibile. Quando sarebbe successa questa cosa del trauma? Poi cosa può succedere mai se entro in ospedale?" Chiesi ancora.

"Perdi i sensi quando andiamo in ospedale. Quando ti risvegli sei scosso, ma non sai dirci perché." Mi spiegò mamma.

"Ma se scopro le cause potrò fare il dottore?" Chiesi ai miei. "Quando ero piccolo fui operato, non ebbi problemi."

Papà sospirò. "La causa dipende proprio da quel periodo. Infatti da ospedale ti passammo in una clinica privata. Tuo padre pensava...."

"Papà!" Lo chiamai. Cosa gli era preso? Perché menzionava quell'uomo? Papà mi fissò sobbalzando.

"Pedro hai avuto un lapsus." Disse mamma.

Un grosso lapsus. Pensai io. "Si pensò di trasferirti alla clinica che era più confortante di un ospedale. Arredammo la stanza con giochi e palloncini per farti sentire a casa." Spiegò mamma.

Io ormai ero fuori di me. Perché? Perché papà mi aveva appena rinnegato come figlio? Perché non potevo fare il medico? Se avevo quell'assurda fobia non sarebbe servito a nulla studiare e lavorare sodo.

"Come faccio con la mia fobia?" Chiesi.

"Potremo fare una seduta ipnotica." Disse mamma. "All'epoca la dottoressa si astenne poiché non avevi neanche sei anni."

"Quindi posso vederla per procedere? Posso guarire?" Chiesi.

"Certo che puoi figliolo." Disse papà. "Prendiamo appuntamento, andiamo a villa San Francisco insieme, io farò le analisi e tu andrai in seduta."

"Perfetto." Dissi alzandomi col mio piatto e le altre stoviglie. "Posso ritirarmi per favore?" Chiesi.

"Si certo." Disse mamma. "Buon riposo caro, ci vediamo domani mattina."

"Vengo anche io con te." Urlò Raguel prendendo le sue cose.

"Muoviti che devi ancora lavarti." Le dissi imperioso.

Lei mi fece una smorfia divertita. "Noioso! Noioso!" Cantava su per le scale.

"Smettila Raguel. Non sei una bambina carina quando fai così." Le dissi.

"Sono una bambina felice. Prima che tornavi dagli allenamenti tutti erano felici.” Mi disse lei. Questo è perché avevo tirato in ballo l’aspetto di papà. Mi preoccupavo per lui e lei mi accusava? Una bimbetta di neanche sette anni? “Sta per arrivare una nuova sorella." Cantilenò lei.

Possibile che la mamma fosse di nuovo incinta? Era assurdo, aveva quarant'anni ormai e i gemelli ne avevano cinque. Erano grandi ma le davano comunque da fare.

"Non lo sapevo." Sbuffai.

"Arriverà tra due giorni dall'orfanotrofio, si chiama Corinna.” Mi informò Raguel tutta eccitata.

Dall’orfanotrofio? Credevo stessero pensando all’adozione quando ero più piccolo e non in quel momento. “Capito.” Le dissi indicandole il bagno. “Forza a lavarsi.” Le dissi sbuffando.

La aspettai e poi andai a mettermi a letto esausto anche se non riuscivo a prendere sonno.

Mi rigirai più volte nel letto, ma niente. Rassegnato scesi di basso, forse un bicchiere di latte avrebbe conciliato il mio sonno.

Era tutto buio giù, forse proprio per questo restai stupito nel sentire le voci di mamma e papà.

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