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Amore perverso

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Lena
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Riepilogo

Matilde era una normale ragazza di città. Dopo una serie di relazioni finite in disgrazia aveva deciso di chiudersi in se stessa, finché il giovane intraprendente, imponente e prepotente uomo di affari non sconvolge tutta la sua normalità. "«Addio!» Disse voltandosi di spalle, io scesi le scale e me ne andai via, chiusi quella porta alle mie spalle, sentendo che fosse la nostra ultima volta. "

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Capitolo 1

Come tutto ebbe inizio

Mi ricordo di quando ero piccola, ero una bimba semplice, docile e timida, una di quelle bambine che si siedono sui prati a cogliere le margherite e a farne lunghe collane o bracciali da indossare.

Amavo stare a contatto con la natura, amavo sentire l'erba sui miei piedi nudi.

Amavo guardare le formiche che camminavano lungo i gambi verdi delle margherite.

La mia pelle è sempre rimasta bianca e pulita.

Avevo quell'aspetto di una bambina che poteva cadere in terra da un momento all'altro a causa di uno svenimento.

Le mie labbra rosa, un colore scuro tendente al rosso, come se indossassi quotidianamente un rossetto, ma sono sempre state solo carnose e infreddolite.

Le mie piccole lentiggini in un viso pallido, i miei capelli rossicci e riccioli.

Mia madre amava pettinare e modellare i miei voluminosi boccoli.

Le piaceva passare le dita in mezzo ai miei boccoli e dividerli uno a uno.

Crescendo ho sempre pensato a ciò che ritenessi giusto per gli altri, mai per me stessa.

Per esempio a sedici anni, ho rinunciato a quello che io pensavo fosse il grande amore della mia vita.

Lo amavo segretamente, lui era terribilmente bello.

Il classico ragazzetto bravo a scuola ed anche carino.

Faceva il quinto B, ed era il ragazzo più ricercato della scuola, però c'era il problema che piaceva pure alla mia migliore amica.

Quindi un giorno a Dicembre, esattamente il diciassette, come non dimenticare mai quella data, ero nello sgabuzzino del bidello a baciare Jacopo il migliore amico del ragazzo del quinto B.

Una scena pietosa, non la starò a descrivere molto, solo tranne il fatto che la sua lingua arrivava al mio mento, ricordo che sapeva di strano.

Credo del panino al salame che aveva appena mangiato e la sua lingua aveva una consistenza strana, tipo dei puntini strani che grattavano la mia; avete presente la lingua di un gatto? Era uguale.

Mentre invece la mia migliore amica conobbe Stefano quello che pensavo fosse il mio grande amore, stettero insieme cinque mesi, poi lui si dedicò totalmente a calcio e lei ne soffrì molto.

Oggi invece a distanza di dieci anni, si stanno sposando.

Onestamente sono contenta di non essermelo preso.

Ha perso del fascino e pure i capelli, niente di male contro le persone calve, ma preferisco una bellissima chioma folta e sexy.

Riguardo a Jacopo oggi ha una importante catena discografica e molte belle donne intorno.

Delle quali non gli importa nulla, considerando che a vent'anni si è dichiarato gay.

Mi guardo intorno e getto giù l'ennesimo drink mentre la mia migliore amica fa il suo primo ballo da donna sposata, ed io mi autocommisero di essere una ventiseienne italiana single e pure sfigata.

«Signorina De Santis» Questa voce odiosa non la dimenticherei mai per nulla al mondo.

Faccio un enorme sospiro, chiudo e apro gli occhi e mi volto verso quella voce fastidiosa.

«Ruggero Ruggeri, i tuoi genitori dovevano proprio odiarti!» Mi volto con il sorriso più falso del mondo.

«Matilde!» Senza chiedere si siede vicino a me.

Ci sono svariati motivi per il quale gli ho concesso di restarsene lì al bancone del bar, mentre io mi autocommisero.

Primo è il fratello della mia migliore amica, Nicole.

Non vorrei causare un dramma al suo matrimonio.

Secondo perché altrimenti mi avrebbe rotto le palle tutto il tempo e non mi avrebbe lasciata stare

«Non ci vediamo da quanto? Dal giorno della maturità?» Annuisco e con giorno della maturità non intendeva proprio quella maturità.

«Da quando mi sono trasferita a Roma per lavoro.» Getto giù l'ultimo sorso del mio drink.

Lui sorride, un sorriso inquietante e fastidioso.

«Essere una caporedattrice è faticoso!» Alzo un sopracciglio, ha sempre presoin giro me e quello che vorrei diventare.

«La segretaria del caporedattore piuttosto!» Lui sorride di nuovo, alzando gli occhi al cielo.

«Ah già, non tutti hanno raggiunto i propri sogni!» Sbuffo, le sue maledette frecciatine.

«Ruggero ti prego! Non qui, non al matrimonio di tua sorella!» C'è anche un terzo motivo Ruggero è la mia storia estiva di sette mesi fa, da lì nasce la frase della maturità.

«Te ne sei andata nel cuore della notte, ne un messaggio ne una chiamata, siamo stati insieme, anche se per soli tre mesi, sono stato benissimo!» Faccio spallucce.

«Prima o poi le storie finiscono e poi ce lo siamo detti che fosse solo una cosa estiva!» Lui abbassa la testa e io decido di alzarmi.

«Adesso devo andare, sono le due e ho un aereo per Roma tra quattro ore!» Appoggio una mano sulla sua spalla, gli concedo solo una pacca.

Lui non si volta verso di me, resta a testa bassa.

L'ho deluso, ma lo capisco, deludo tutti.

Saluto la mia migliore amica e saluto Stefano, li abbraccio forte entrambi augurandogli il meglio.

Mentre li abbraccio forte vedo Jacopo, mi avvicino lo saluto ed esco di scena.

Lungo il tragitto verso l'hotel ripenso al meraviglioso matrimonio di Nicole.

Lei è bellissima, lui è bellissimo e insieme sono perfetti.

Ho quasi pianto al Sì e alle loro promesse di matrimonio.

Non credo di meritarmi mai nella vita una cosa simile.

«Signorina, siamo arrivati» Il taxista mi distrae dai miei pensieri, la macchina si è fermata e non me ne sono resa neanche conto.

«Oh sì, grazie»Lo pago e scendo dalla macchina, recandomi poi all'ingresso dell'hotel.

«Signorina De Santis?» Il ragazzo della Hall mi viene incontro.

«Si?» Mi volto.

Sono stanca e esausta, voglio solo lanciare i miei tacchi infondo alla parete e mettermi a dormire.

«È arrivato un pacco per lei questa mattina!» Esclama lui.

La sua voce è così squillante che mi infastidisce.

In hotel? Un pacco per me, sto qui da due giorni, chi poteva mai spedirmelo?

«Lo avete aperto?» Chiedo.

«No signorina, non siamo tenuti a farlo!» Accetto il pacco guardandolo stranita, avviandomi verso l'ascensore.

Osservo il pacco e non ha neanche un biglietto, per quanto mi riguarda può contenere persino una bomba.

Esco dall'ascensore recandomi alla porta della mia stanza, struscio la carta per entrare e la porta si apre.

Entro e per prima cosa mi tolgo i tacchi lanciandoli il più possibile lontano da me.

Varcata la soglia della stanza, lancio tutto in giro, non ho voglia di sistemare le cose in ordine.

Sfilo il vestito facendolo scivolare nel mio corpo lasciandolo nel pavimento.

Dopo essermi spogliata del tutto e aver indossato qualcosa di comodo, mi getto sul letto aprendo il pacco che mi era stato spedito.

Il pacco è da parte di Ruggero.

Sbuffo un po', io non lo amavo in quel periodo e probabilmente neanche lui.

Il contenuto della scatola è una stella marina che comprò in riva al mare quella estate.

L'avevo dimenticata da lui, gli chiesi di spedirmela più volte quando ero a Roma, ma non lo aveva mai fatto.

"Quando partirai di nuovo, avrai un altro ricordo di me".

Èscritto in un bigliettino dentro la scatola.

Prendo il telefono nella mia borsa e lo ringrazioper messaggio lui risponde quasi subito.

"Fatti sentire presto, anche solo per una bevuta ogni tanto,

ovviamente in amicizia!" Visualizzo senza rispondere.

Metto il telefono sotto carica coricandomi sotto le coperte.

Spengo la Bajour crollando in un lungo e profondo sonno.

Il telefono della stanza dell'hotel in cui alloggio suona all'infinito.

Uscendo da sotto le coperte come una tartaruga lo afferro da sopra il mio comodino.

«Sì?»la voce dall'altra parte mi dice che è tardissimo e devo correre in aereo porto.

Così mi alzo, afferro dal pavimento tutti miei vestiti li getto dentro la valigia mi ci siedo sopra e la chiudo con forza.

Sono stanca morta ho dormito solo poche ore e devo affrontare un volo, non ce la faccio.

Dopo lunghe e interminabili ore finalmente torno a casa, per gettarmi di nuovo nel mio dolce e comodo materasso.

Mia madre lungo il volo mi aveva fatto decine di chiamate, tornando a casa non l'ho richiamata, ero stanca e avevo voglia solo di dormire, l'avrei richiamata dopo.

Mentre mi stavo per addormentare sul mio letto, decide di farmi l'undicesima telefonata.

Con un tono scocciato e stanco le rispondo.

«Santo cielo Matilde, avevi detto di avvisarmi quando saresti partita e quando tornavi, io non ho dormito tutta la notte, stai bene?» Mi siedo sul mio letto.

«Si mamma sto bene, stavo per perdere l'aereo, non ho fatto in tempo, scusa!» Lei fa un sospiro, la immagino mentre appoggia la mano al suo petto, lo fa sempre.

«Allora sono tranquilla, riposati ci sentiamo più tardi» il suo tono di voce è sempre così rassicurante.

«Sì, anche tu, un bacio, ti voglio bene». Lancio il mio cellulare sul mio letto gettandomi di nuovo indietro.

In quel preciso istante qualcuno inizia a suonare il campanello di casa mia e a sbattere forte sulla porta.

Impreco e inizio a scalciare come i bambini.

Urlando per casa vado a aprire.

«Ti sembra il modo? Sparisci per due giorni, non rispondi alle mie chiamate e non ti fai sentire neanche per dirmi che stai bene» Lui è il mio caporedattore, tizio del quale mi sono innamorata o infatuata non lo so neanche io.

Entra prepotente in casa mia.

«Ma prego, entra pure» Dico mentre sbuffo e sbatto la porta.

Lui mi fissa con le mani appoggiate ai fianchi come Peter Pan.

«Ti ho mandato un e-mail, due lettere di preavviso sulla scrivania e chiamato la sera prima di partire Victor» Lui inizia a leggere sul suo cellulare, io mi siedo sul divano, ho solo voglia di chiudere gli occhi e morire lentamente.

Ho sonno tanto sonno.

«Hai ragione! Ah e sei in mutande!» Mi guardo le gambe nude e subito afferro la mia coperta, lui si getta seduto sul divano.

È tremendamente bello, anche vestito senza giacca e cravatta.

Indossa una maglietta nera e un Jeans.

«Ho avuto paura Matilde, non sapevo dove fossi, dopo il nostro litigio!» Sospiro giro la testa per fissare il soffitto.

«Non ci penso più, la tua segretaria è sempre qui!» Lui mi stringe a se, ed è questo che mi uccide, il come mi fa sentire lui, il sentirmi a casa nelle sue braccia.

È il mio capo ed è un bastardo, ma anche il mio migliore amico, da ormai quindici anni.

«Non dovevo dirti ciò che provassi per te, tutto qui!» Dico socchiudendo gli occhi.

«Ti ho costretta, sei stata strana nell'ultimo periodo e anche io, ma sappiamo entrambi che è rischioso, in azienda parlerebbero e ora che stai per scalare l'altra vetta penserebbero che sei raccomandata, anziché pensare che tu stia facendo tutto da sola». Faccio spallucce.

«Non mi importa, che pensino ciò che vogliono, io so di esserci riuscita, se tu provi le stesse cose, come mi hai detto tre giorni fa, allora perché non rischiare?» Alzo la testa e i nostri sguardi si incrociarono.

China dolcemente la testa, alza il mio mento per baciarmi.

Un bacio dolce e delicato.

La sensazione e la voglia di averlo completo a me.

Infatti quella è rimasta solo una voglia e una sensazione.

Perché purtroppo le cose belle durano poco.

Perché tutto questo purtroppo accadde un anno fa, siamo durati insieme esattamente dodici mesi, i dodici mesi più belli e intensi delle mia vita.

Ma al tempo stesso i quindici anni di amicizia sono andati tutti in frantumi.

Io ho il mio studio mentre lui mi ha lasciata per un'altra.

Èdifficile non pensalo, lui è una costante fissa per me.

Io passo ore e ore a pensare a quei momenti; a quel primo momento in cui eravamo insieme e fa male.

«Signorina De santis, il suo caffè!» La mia segretaria entra nel mio ufficio, mentre io sono a fissare fuori dalla finestra.

«Grazie Gloria, potresti passarmi gli appuntamenti del giorno?» Lei annuisce, io sorrido e afferro quel sacro nettare chiamato caffè delle tre del pomeriggio.

Quando non ho niente da fare in ufficio, resto ferma impalata a guardare fuori dalla mia finestra.

Sono tornata a vivere a Firenze, ho comprato una casa poco distante da casa dei miei genitori.

Mia madre passa spesso a trovarmi dopo cena.

Quando mio padre ha le partite di calcio lei si gode una tazza di tè con me.

Ho altre due sorelle: una studia a New York, mentre l'altra frequenta l'università in Francia, ha vinto una borsa di studio per studiare lì .

Io invece ho continuato gli studi in Italia, per seguire la mia laurea in economia aziendale.

Sogno di essere direttrice di una azienda tutta mia, di smettere di essere sotto comando altrui.

Sono stanca delle regole degli altri e prendermi ordini.

«Signorina De santis? Ha un appuntamento tra cinque minuti!» Dice Gloria dopo aver consultato la mia agenda.

«Ho tempo anche adesso, se è già arrivato fallo accomodare!» Gloria sorride e si reca a chiamare l'ospite.

Nel mentre aspettavo l'ingresso dell'appuntamento delle tre e mezza metto apposto dei documenti dentro la mia cassaforte in ufficio.

«Mi avevano detto che fosse misteriosa, non credevo tanto da nascondere dei documenti in cassaforte!» Chiudo la cassaforte così forte da falla rimbombare in tutti gli uffici.

Mi sono fottutamente spaventata.

«Non volevo spaventarla!» Mi volto cercando lo sguardo dello stronzo che mi ha fatta spaventare.

Il sole illumina il suo volto e il riflesso nei suoi occhi azzurri è inquietante.

«Non si preoccupi, si accomodi pure!» Dico con una mano al petto tirando un sospiro per tranquillizzarmi.

«Matteo Leone, amministratore delegato allo Studio di New York!» Mi stringe la mano.

«Matilde De Santis, come mai qui? So che ha insistito tanto per volermi incontrare» Lui si accomoda, sbottona i bottoni della sua giacca elegante blu guardando il mio whisky sul tavolino sotto la finestra.

«Ne vuole un po'?» lui annuisce, sembra proprio averne bisogno.

«Volentieri, comunque ero solo curioso d'incontrare la persona che prenderà il mio posto! » Io spalanco la bocca, credo di non aver capito bene, verso il Whisky in un bicchierino e glielo porgo.

«Non è un po' presto per dire tale affermazione, ancora non ho ottenuto risposta. So che prima di me c'è una discendenza familiare e mettere a carico quella persona alla azienda, credo il figlio del capo del mio capo non ho capito bene!» Lui sorride.

«Io sono il figlio del capo del suo capo signorina De Santis, non mi sposterò dalla mia azienda» Sorseggia il suo Whisky con gusto.

«Come avrà sentito dire immagino, avverrà l'apertura di una nuova azienda. Io per motivi privati non mi potrò spostare dalla mia, con ciò è stato stabilito che sarà lei ha gestire quella nuova. Mio padre purtroppo è morto in circostante terribili una settimana fa!» Getto giù il Whisky.

Era una notizia terribile, ma lui non aveva battuto ciglio e ne provato emozione.

«Condoglianze!» Dico con tono amareggiato e con la gola in fiamme.

«Perciò ha scritto prima di morire tutte le sue volontà» Dall'interno della sua giacca estrae una copia di un testamento.

«Mio padre mi ha detto di averla incontrata a una riunione e di averla trovata impeccabile, ha detto esattamente queste parole "Una donna imponente e con delle priorità" e temo che avesse ragione.»

Io deglutisco iniziando a leggere la fotocopia del testamento.

«Ha deciso di dare a lei la sua azienda o meglio di lasciargliela in gestione è libera di non accettare! » È sempre stato il mio sogno avere una azienda in gestione e essere il capo di me stessa.

Fingendomi non contenta, cercando di mantenere una autorità, emanando un gridolino all'interno della mia bocca, sentendo dentro la me euforica ballare dico:

«Accetto volentieri la vostra offerta!» La mia voce è squillante, desidero saltare come una matta.

Lui si alza in piedi, sfiora i suoi capelli neri con le dita, mi lancia un sorrisetto, si avvicina al mio tavolino, versa ancora del Whisky sul suo bicchiere e dice:

«Bene, l'aspetto tra una settimana a New York, le faccio prenotare il biglietto dalla mia segretaria!» Io mi avvicino, gli tocco la spalla, ma solo per farlo girare un secondo, lui guarda subito la mia mano come se quel tocco gli facesse schifo.

«Mi scusi, una settimana? Devo occuparmi della azienda, dare al mio capo la possibilità di trovare un altro sostituto!» Una settimana è troppo presto per organizzarsi.

«Quale capo? Sei tu il tuo capo adesso. Per quanto mi riguarda, la era ancor prima che mi dicesse di si. Le carte sono state firmate, lei è già l'amministratore delegata della Studios a New York» in quel preciso instante la porta del mio ufficio si spalanca di colpo.

«Mi dispiace signorina De Santis, ho provato a fermarlo!» Urla Gloria quasi cadendo in terra.

L'uomo che aveva quasi rotto la mia porta a vetro, fissa malissimo la mia segretaria, io e il signor Leone ci fissiamo sconvolti.

«Mi scusi, lui è mio fratello, Riccardo Leone, abbiamo in società la prima azienda di mio padre!» l'uomo si avvicina a me, pone la sua mano e io gliela stringo.

«Molto piacere signor sfonda porte!» Esclamo.

«Riccardo Leone» Si presenta stringendomi forte la mano.

Una stretta forte, quasi mi stritola le dita.

Giro lo sguardo verso Gloria che è bianca come un cencio. «Portaci tre caffè per favore! E poi prenditi dieci minuti di pausa» Lei minaccia con lo sguardo il signor Riccardo Leone, mentre io chiudo la porta e faccio cenno di sedersi al signor sfonda porte.

Poco prima di chiudere controllo se qualcuno arrivi come un missile cercando di rompere la mia porta.

«C'è un terzo fratello o posso chiudere senza che nessuno la sfondi? E chi sono quei due uomini lì alla porta?» Avevo notato due energumeni fuori dal mio ufficio, facevano ribrezzo.

Matteo si sbilancia e li nota anche lui.

«Devi portarteli dietro ovunque?» Riccardo Leone fa un mezzo sorrisetto.

«Ne vale la mia sicurezza e anche la tua, papà è morto per omicidio!» Io spalanco la bocca, ho bisogno di un altro Drink.

«Allora posso chiedere gentilmente, come mai ho il piacere di avere la sua presenza?» mi rivolgo a Riccardo Leone, lui alza lo sguardo, identico a quello di suo fratello. I capelli castani, un filo di barba, stessa postura, stesso modo di vestire, entrambi incrociano le braccia e le gambe allo stesso tempo e alla stessa maniera.

La mia mente vaneggia in un filmino erotico.

«Non sono d'accordo sulla scelta che ha fatto mio padre!» Quella frase mi distoglie da quel pensiero perverso.

A sentire quelle parole pungono il mio petto.

«E per quale motivo, sentiamo!» Urla Matteo girandosi di scatto.

«Perché è una donna, le donne fanno solo casini!» Io mi gratto la gola, come per dire "Sono ancora qui." Cerco di schiarire la voce, siedo sulla mia sedia e drizzo la schiena.

Cercando di mantenere una postura eretta e autorevole.

«Signor Leone, Matteo Leone, può per favore accomodarsi fuori, ordini qualsiasi cosa dal bar, ci penserò io più tardi a saldare il conto!» Matteo è sorpreso da quella mia richiesta, infatti si alza infastidito e imprecando qualcosa.

Mentre Matteo spalanca la porta Gloria entra tremando con i tre caffè in mano.

«Al signor Leone, portaglielo nella hall!» Lei annuisce.

Matteo segue la mia segretaria che chiude la porta, finendo per restare solo io e Riccardo da soli nell'ufficio.

È infastidito, quasi incazzato, forse al posto del caffè ci voleva una camomilla.

«Mi spieghi pure cosa le preoccupa?» Lui prende il caffè e una bustina di zucchero, ne versa il contenuto e inizia a girare il cucchiaino continuando a fissarmi.

«Quanti anni ha signorina De Santis?» Io sorrido fingendo di non essere sotto pressione.

«Ventisette, lei?» Sorseggio il mio caffè amaro, nella tenzione non ho messo lo zucchero, lo berrò così e farò finta che mi piaccia.

"Non fare le boccacce"

«Trentacinque!» Appoggio la tazza sulla mia scrivania a vetro, poi torno a guardarlo, lui non ha distorto lo sguardo neanche una volta, sembra che si aspetti un passo falso da me.

«Allora, solitamente non sono così sgarbato ma mio padre è morto da una settimana, come ha già sentito, è stato ammazzato. Ha lasciato testamento che lei deve prendere le redini della azienda a New York e probabilmente non sa niente di editoria Marketing e di come è nata. Quindi inutile dirle che lei non deve venire a New York» ah quindi è questo il problema, la paura che io non sappia fare niente.

Comprensibile.

«L'azienda è nata nel 1962, dal vostro bis nonno, principalmente era nata sotto una biblioteca, poi fu spostata in un edificio il quale sette anni prima era stato un Hotel.

Per via di un incendio in quegli anni è stato abbattuto e costruito sopra ciò che è adesso da circa cinquantacinque anni la Studios. La Studios non si occupa solo di Marketing editoriale, non pubblicate solo libri, ma come tante catene come questa, sponsorizziamo anche campagne giornalistiche importanti, grazie alle due aziende in Italia, avete a carico ottantacinque mila persone, delle quali una sarei io» Sorrido.

«Questo è di dominio pubblico!» Sorrise.

«Certo, negli ultimi dieci anni i redditi sono saliti notevolmente, l'azienda si sta ampliando» Mi alzo, recandomi vicino alla mia cassaforte e ne estraggo una cartellina, poi prendo da un tubo vicino la mia scrivania e ne estraggo un progetto.

«Così suo padre mi ha incontrata sette anni fa. Un uomo davvero affascinante, prese inconsiderazione il mio progetto e chiamò alcuni architetti .

I quali a distanza di sette anni, hanno completato gli Studios ed ora non si occuperà solo di romanzi, ma ha preso parte a unprogetto innovativo di arte moderna.

Ci saranno una serie di uffici stampa e vari scrittori provetti pronti a farci fare grandi quantità di denaro con i loro racconti o romanzi. Questo non è di dominio pubblico!» Faccio un sospiro e torno seduta a bere il mio caffè.

«Mio padre non si sbagliava è una vera rompipalle!» Sorrido ancora, come per dire "Prendi e porta a casa stronzo!"

«Desidera sapere altro?» Lui si alza in piedi.

«L'aspetto a New York tra una settimana!» Se ne esce così, senza un grazie e arrivederci,

Io sprofondo nello schienale della poltroncina, lentamente con un lungo espira e inspira getto via l'ansia.

Molto tempo fa avevo imparato a memoria ciò che dovessi dire e studiato cose che riguardavano l'azienda.

Ero già stata preparata a tutto questo, sapevo che prima o poi sarebbe successo.

Antonio Leone, il padre di Matteo e Riccardo, era molto di più di un semplice capo per me, lui era mio zio, era il fratellastro di mio padre .

Mia nonna morì dando alla luce mio padre e mio nonno dopo la sua morte, si risposò un'altra volta con la madre di Antonio.

Antonio era già nato dal primo matrimonio della seconda moglie di mio nonno.

Sono fratelli che non si appartengono con alcun legame di sangue.

Lui e mio padre non si sono sentiti per venti anni.

Dopo la mia nascita hanno litigato.

Mentre sette anni fa, ha saputo della mia laurea e mi ha chiesto di entrare nella editoria, iniziando da segretaria.

Riccardo e Matteo non sanno niente di me, non sanno di avere una quasi cugina e così deve essere, considerando che Antonio mi ha fatto promettere di stare in silenzio, finché non avessi completamente l'azienda nelle mie mani.

Ciò che io temevo era essere definita raccomandata, però purtroppo è solo così che Antonio poteva far cessare i litigi tra i due fratelli.