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Capitolo 1

Boston - Estate 2008

Avevo appena ricevuto la lettera di ammissione ad Harvard. Non potevo crederci eppure ce l'avevo fatta, sapevo di essere intelligenza ed avere acume. Come sapevo che quello che mi aveva spinta a presentare domanda di ammissione era la passione smisurata che sentivo crescere dentro di me. La legge! Quando era iniziata quella passione? Quando avevo capito che per difendere le persone non c'era nulla di più importante delle parole. C'era chi si difendeva con la forza e chi al contrario lo faceva verbalmente.

Durante gli ultimi anni alla Boston Latin Academy, la scuola superiore frequentata, ne avevo viste tante. Avrei potuto anche subirne, se non fosse stato che ero abbastanza orgogliosa da non farmi mettere i piedi in testa dal primo bulletto che capitava. Nonostante gli occhiali che coprivano i miei occhi cerulei e una decina di chili di troppo, non lo permettevo.

Io Adelaide Thompson, Adele per i miei fratelli, mi difendevo. Forse perché venivo da una famiglia numerosa, quindi o mi fossi difesa oppure avrei dovuto soccombere ai miei fratelli. Forse perché nella mia giovane vita lottavo ogni giorno con mio padre, lasciando così emergere il lato ribelle dentro di me. Non sapevo dirlo, eppure era così.

Venivo da una famiglia benestante di Boston, la mia famiglia era in parte antica e in parte no! La mia famiglia? Mio padre? Discendeva da una famiglia inglese proveniente da Chesterville in Inghilterra, I miei avi erano infatti puritani. La mia era una famiglia che viveva sul suolo Bostoniano da secoli ormai poiché i posteri giunsero nelle Americhe con la Mayflower.

Mio padre discendeva da Edward Thompson*, uno dei primi Pellegrini ad approdare a Plymouth.

Egli è quindi un conservatore, ligio al proprio dovere ed alle regole, anche se conoscendo la storia dei miei genitori non ci credereste mai, ecco lui, l'imprenditore navale Simon Thompson, era... diverso da adesso! Sì questo è il temine giusto, sta di fatto che nonostante da giovane non fosse stato proprio ligio al dovere, adesso a differenza di anni pretendeva da noi sei, suoi figli rispetto per le regole e per i comportamenti.

Quante volte era dovuto venire a scuola perché non mi ero tenuta per me una parola o perché avevo partecipato a una scaramuccia?

Un bel po'! Ma appunto non mi piaceva farmi mettere i piedi in testa dal primo che capitava e non mi andava che lo facessero a chi altri era discriminato dalla società. Frequentavo infatti ragazzi che erano entrati alla Latin Academy sono alle superiori, quelli che come me, i miei fratelli ed i miei cugini avevano iniziato la Latin dalle elementari infatti, li ignoravo proprio. Ovviamente non potevo discriminare i miei cugini o fratelli erano gli unici che realmente frequentavo a scuola, sopratutto perché era figo avere come fratello uno dei ragazzi più belli della scuola. Ne andavo fiera, ovviamente era durato per poco avendo io e Chester quattro anni di differenza. Ma era stato bello quando, al nono anno, mi ero vantata con le nuove compagne di quel fratello così bello. Ovvio anche Brooklyn era bella e destava riverenza, ma lei era una ragazza e le mie nuove amiche potevano provare solo invidia per la bella e bionda Brooklyn Thompson.

Spesso mi capitava che dovevo difendere le mie amiche anche da lei. Ma perbacco! Era bello prendersi a parole con mia sorella che sembrava sapere sempre cosa fare e come farlo soprattutto. Era bello confutare le sue idee ed alla fine avere ragione di tutto, quella era giustizia e lei questo voleva essere, una persona giusta.

Per questo posai la busta con la conferma di ammissione all'università e dopo essermi aggiustata per bene raggiunsi mia madre.

Dio come era bella Manila, la pelle ambrata, i capelli lunghi e neri e gli occhi castani. Dicevano che assomigliavo a lei, sopratutto adesso che ero dimagrita, l'unica differenza erano gli occhi di un verde ceruleo che faceva invidia a chiunque mi guardasse. Anche a Brooklyn! Questo perché lei aveva gli occhi azzurri e basta, mentre Alaska, la piccola di casa li aveva castani. Io ero l'unica con London ad avere gli occhi verdi e cerulei, questo voleva dire qualcosa forse, che eravamo indomabili e restii a seguire le regole!

Poi ripensai a London facendo una smorfia. No! Mio fratello non era proprio il tipo, era ligio al dovere! Sia di primo figlio che di erede all'impresa navale di suo padre e del  nonno prima e degli altri predecessori ancora. Sbuffai, sicuramente era unica per questo sapevo che avrei dovuto lottare con le unghie e con i denti per emergere in quella famiglia.

"Mamma!" Sussurrai avvicinandomi alla donna e abbracciandola.

Lei come sempre non si faceva pregare, ricambiò il mio abbraccio e mi diede un bacio sulla fronte. "Presto anche tu non mi abbraccerai più."

"Lo farò sempre má! London e Chester sono due cretini." Dissi con un sorriso guardandola.

"I tuoi fratelli non sono cretini, anzi! London ha detto che riesce a presentare la tesi quest'anno." Disse lei dandomi un buffetto sulla mano.

Feci ancora una smorfia, ecco lo sapevo. London l'impeccabile!

"Anche io raggiungerò subito i miei traguardi all'università." Dissi noncurante.

Mia madre mi guardò. "Università? Con i tuoi studi potrai subito entrare a lavorare alla Thompson & sons." Mi ricordò.

"Ma io non voglio entrarci, o almeno non ora. Ho ancora tante cose da fare e non sono in ufficio a seguire la contabilità o le pubbliche relazioni della società di papà. Mamma... voglio studiare legge e sono stata ammessa!" Dissi saltando sul posto e battendo le mani orgogliosa.

Mia madre mi guardò sorpresa, boccheggiò più volte per poi tirare su un sospiro. "Legge! Andiamo Adelaide, un avvocato non serve alla Thompson." Mi disse.

"Gli avvocati servono ovunque mamma e io sarò un grande avvocato. Voglio difendere i più deboli."

Manila ancora scosse la testa. "Parlane con tuo padre adesso che rientra, non credo che approverà. Sai che ha dei progetti per voi."

Sbuffai. "Certo, come quelli fatti su Brooklyn. Lavoro di segretaria alla Thompson e matrimonio perfetto col figlio del senatore Jenkins. Mamma ti prego, io non voglio sposarmi e fare la segreteria è misero!" Dissi secca, portai le mani avanti e le scossi. "Non che il lavoro di segretaria non sia bello. Semplicemente la mia mente lavora, elabora e va avanti e la mia lingua è sciolta. Mamma io sono fatta per fare l'avvocato." Dissi sicura di me.

Mia madre tacque ferma sul posto, mi guardava anche se in realtà sembrava voler essere altrove o non guardare me o peggio ciò che c'era dietro di me.

Tremai, lentamente mi voltai verso la porta, lì dove erano arrivati da non so quando papà, Jonatan Jenkins e mia sorella Brooklyn.

Gelai e voltandomi di scatto camminai all'indietro verso mamma. Papà mi fissava freddo e distante.

"Non studierai legge, non è un lavoro da donne quello dell'avvocato. Lavorai come tua sorella così comprenderai cosa vuol dire vivere e sudarsi un pezzo di pane." Disse senza lasciarmi neanche parlare.

"Ci sono tanti avvocati donna papà!" Intervenni subito. "Ti prego, non puoi proibirmi di andare all'università e studiare ciò che mi piace."

"Ho detto di no! Discorso chiuso." Disse papà  lasciando passare Jonatan per farlo entrare in stanza, gli occhi scuri di lui fissavano il pavimento. "Manila, Jonatan è venuto a chiederci se ceniamo dai suoi domani sera." Diceva papà alla mamma, per lui l'argomento era chiuso.

Mi avvicinai a Jonatan e gli sorriso. "Jonny tu hai studiato legge e subito hai trovato lavoro. Scommetto che è bello fare l'avvocato."

Lui alzò la testa di scatto imbarazzato, eppure fu mia sorella a rispondere con aria offesa. "Scusami se ti parlo da misera segretaria, ma Jonatan non è tenuto a risponderti." Mi disse prendendo il ragazzo per il braccio e portandolo verso mamma.

Feci una smorfia. Maledizione! Brook non avrebbe dovuto sentire la conversazione con la mamma.

"Domani sera ci saremo Jonatan caro." Stava dicendo mamma.

Inutile parlare ancora, la conversazione si era spostata su Jonatan e Brooklyn, il loro matrimonio e la famiglia Jenkins.

Senza dire altro lasciai il salone e salii su per le scale, se papà non voleva che andassi all'università, se voleva che seguissi lo stesso percorso di Brooklyn e che rimanessi rilegata a diventare una delle tante assistenti e segretarie o ancora addette alle pubbliche relazioni della Thompson & Sons., non avevo altra soluzione che lasciare casa, proprio come face lui venticinque anni prima.

"Ehi Heidi!" Esclamò una voce.

Sbuffai, pochi scalini e sarei stata al primo piano, sul pianerottolo che mi avrebbe condotto alla mia camera lontana da chiunque. E invece no! Non avevo fatto in tempo. Quella era la voce di Gabriel Keller, il migliore amico di mio fratello London.

Mi voltai lentamente, un sorriso falso sulle labbra e... il mio cuore perse un battito. Perché diamine Keller più passavano gli anni più era bello?

Quella pelle candida, gli occhi scuri e profondi ed ora anche un fisico ben modellato. Non era come quegli attori che avevano tanto di tartaruga addominale, ma accipicchia, era superbo.

"No-chiamarmi- Heidi!" Lo minacciai puntandogli il dito.

Lui fece spallucce e sorrise. "Effettivamente dall'ultima volta che ti ho vista sei cresciuta. Dove hai messo la ciccia che avevi? Eri più Heidi con dieci centimetri d'altezza in meno."

Sollevai gli occhi al cielo. "Sono passati due anni dall'ultima volta che ci siamo visti, o almeno da che tu hai incrociato il mio cammino." Asserii convinta, io al contrario lo avevo sempre visto nascosta nella mia camera nelle ultime due estati, oppure mentre facevo da tappezzeria ai vari eventi cui le nostre famiglie partecipavano.

"Effettivamente! Però adesso che ti vedo meglio sei sempre la stessa." Mi disse solcando le scale due alla volta per raggiungermi. Mi prese il mento con due dita e mi sorrise. "Il fuoco nei tuoi occhi c'è sempre, giurami di non perderlo mai questo."

Mi sentii arrossire. Per il tocco delle sue mani o per la frase che aveva appena detto? Non lo saprei dire, era solo palese il fatto che mi tremavano le gambe, mi batteva forte il cuore e la pelle pizzicava, lì dove lui mi aveva toccata.

"C-cercherò!" Balbettai... balbettai?? Io non ho mai balbettato. Era questo l'effetto che facevano i ragazzi? Diamine no! Tutti i ragazzi che mi avevano toccata e avevo baciato fino a quel momento non mi avevano mai fatto tremare o peggio... balbettare! Quindi non era quello il motivo, bensì il fatto che lui fosse Gabriel Keller.

"Brava la mia Heidi." Mi disse lui allontanandosi. "Dimmi un po', London è qui?" Mi chiese

Scossi la testa. "È andato a portare Dallas e Alaska alla festa di un amico di Dal. Sai sedici anni, i ragazzini danno tanta importanza a questo evento."

Lui rise divertito. "I ragazzini? Parli come una vecchia."

"Io a sedici anni non ero così eccitata." Risposi sarcastica.

"Tu a sedici anni scappasti dalla tua festa di presentazione alla società. Dio ancora mi ricordo tua madre e tuo padre che ti cercavano ovunque." Ricordò lui divertito.

Feci una smorfia. Questo perché se tutti festeggiavano i sedici anni con gioia, a casa mia invece a quell'età c'era l'ingresso in società. Io lo avevo odiato ancora prima di farlo, quando avevo seguito quello di mia sorella Brooklyn in pratica. Mettersi in ghingheri e cominciare a usare il bon ton lo avevo subito odiato, non era stata d'aiuto la dieta cui mia madre mi aveva sottoposta per farmelo graziare, l'ingresso in società. Oppure quel vestito fatto di merletti e pizzi, non era proprio il mio genere, come i tacchi e il trucco. Io non mi ero mai truccata ed anche adesso a diciotto anni non lo facevo, non mi piaceva. Così senza pensarci troppo, dopo la tanta sospirata presentazione, con il mio ingresso nella sala da ballo, quella sera scappai defilandomi proprio.

Fino a quando non mi avevano trovata, anzi fino a quando Gabriel non mi aveva consegnata ai miei genitori.

Era stato lui a trovarmi, era venuto a cercarmi fin nella cucina, dove nascosta nella dispensa stavo buttando giù un barattolo di burro d'arachidi.

"Lo sapevo che ti avrei trovata qui." Aveva detto.

Che ne sapeva poi lui! Mi era stato precluso mangiare schifezze in quell'ultimo anno, mi era stata preclusa la cucina e tutta la mia bella vita. E lui sapeva che mi avrebbe trovata lì.

"Si certo, come no!" Gli avevo risposto.

"È un luogo che non frequenti molto, l'unico dove non ti cercherebbero." Aveva risposto.

"Me lo hanno vietato." Avevo detto dispregiativa.

"Non è così che immaginavi i tuoi sedici anni."

"Anche tu hai avuto questa festa?" Avevo detto, anche se non era tale l'ingresso in società.

Lui aveva riso. "No! Mi è stato risparmiato, ho fatto baldoria con tuo fratello e gli altri miei amici. Mi dispiace Heidi che tu non possa divertirti come noi."

Col broncio sulle labbra avevo scosso la testa. "Dovevo nascere maschio. Lo sapevo io!"

Lui ancora aveva riso per poi tirarmi i capelli ricci tenuti ordinati in un'acconciatura elaborata. "Assolutamente no, dopo non avrei più la mia Heidi." Aveva detto guardandomi, poi sospirando aveva aperto la porta e mi aveva detto di uscire. "Andiamo, ti aspettano tutti."

Lo avevo guardato con sfida seguendolo. "Ovvio! Devo tornare..."

"È meglio così, fidati!" Mi aveva detto. In fondo cosa ne sapeva lui? Sia allora che adesso!

Era un uomo e aveva ormai ventiquattro anni, anzi no, era di sei mesi più grande di London, presto avrebbe compiuto venticinque anni. Non aveva alcun pensiero o obbligo lui, poteva fare tutto ciò che voleva.

"Comunque i miei e Brooklyn sono giù in sala degli ospiti, puoi aspettare lì London." Dissi indicandogli il piano terra.

Lui mi guardò ancora per un po' in silenzio, con quel suo sorriso beffardo. "Ci vediamo domani sera alla cena dei Jenkins."

Sospirai scuotendo la testa. "Wow una cena in famiglia.... proprio famiglia, a domani." Lo salutai mettendo il piede sul pianerottolo e avviandomi poi verso la destra, diretta alla mia camera.

Non mi girai più indietro, al contrario mi chiusi la porta della stanza alle spalle e andai ad aprire il secrétaire dove custodisco gelosamente i risparmi di una vita. Raramente uscivo, ero molto propensa agli studi e le mie amicizie non piacendo ai miei genitori venivano ignorate. Quindi la mia paghetta mensile, quella che per i miei mi serviva per socializzare, la investivo in un libretto di risparmio che mi ero fatta senza dire nulla. Su quello versavo le paghette e la retta mensile della scuola di danza cui mamma mi aveva iscritta da piccola -ovviamente avevo smesso da un bel po' anche se lei non lo sapeva-. Infine anche i regali di valore monetario delle zie Caroline e Olivia andavano in quel fondo di emergenza. Dovevo valutare se potevo o meno affrontare l'università solo a mie spese. Se papà non si convinceva non mi restava altro da fare che fare da me. Il saldo era abbastanza confortante, avrei potuto pagare le tasse universitarie senza problemi, almeno per il primo anno.

Tornai a prendere l'ammissione all'università, poi prendendo il numero telefonai alla segreteria. Dovevo prenotare una camera al campus, se dovevo badare da me a tutto avrei dovuto imparare a risparmiare. Anzi no, ero già abbastanza brava in questo, a differenza di Brooklyn non mi riempivo di abiti firmati, Louboutin e Jimmy Choo, ne di trucchi e sfarzi. A differenza di Brooklyn non mi ero neanche accontentata del primo figlio di papà che si era fatto avanti accettando di sposarlo. Per l'amore del cielo, Jonatan era un ragazzo delizioso, forse troppo, riusciva ad essere succube oltre che di suo padre anche di Brooklyn. Inoltre la teneva, temeva lei: Adelaide Thompson! Assurdo.

Io non mi accontentavo! Così parsimoniosa avevo conservato tutto ciò che avevo potuto, cancellando dalla mia vita tutto ciò che trovavo inutile. Lezioni di danza classica in primis, non facevano per me e lo sapevamo benissimo in casa. Se mi fosse piaciuto ogni anno ai saggi non sarei stata relegata a 'ballerina di riserva' sempre. Questo era il motivo per cui mia madre non aveva fatto caso alla mancata frequenza della scuola, ed anche per cui la maestra non si era posta domande per la mia cancellazione dai corsi. Inoltre non avevo voluto prendere un auto, la trovavo futile quando avevo a disposizione qualcuno che portava me e i miei fratelli a scuola e non uscivo.

Quello che mi concedevo come capriccio per coprire le ore di danza inesistenti, erano i pomeriggi al cinema o in biblioteca, lèggevo tanto per coprire le ore di danza e andavo a correre tutte le mattine al Rose Fitzgerald Kennedy Greenway. Non perché mi piacesse, solo non mi andava di mandare a puttane gli anni di dieta cui era stata costretta. Se a sedici anni ero arrivata ad indossare una decente 34, adesso potevo vantarmi di essere una 32. In più adesso le mie forme stavano diventando armoniose, non ero più piatta, avevo un seno sì piccolo, ma sodo e rotondo al posto giusto. Quindi mantenere una buona condotta alimentare e correre erano cose cui non rinunciavo. Non che non mangiassi, amavo i pop corn col burro d'arachidi e mangiare il gelato in inverno, mi piaceva tanto la pasta e mi concedevo un hot dog o un Gran crispy Mac bacon al mese.

In tutto ciò ero sola, i miei 'amici' di scuola non erano tanto amici, i gemelli si compensavano l'un l'altra, London e Chester erano decisamente ormai grandi e frequentavano i loro giri e amici e Brooklyn da quando a sedici anni aveva conosciuto Jonatan si era parecchio allontanata da lei. Era sola, se avesse lasciato casa nessuno avrebbe sentito la sua mancanza.

La segreteria mi aveva informato che aveva preso in carica la mia domanda per una camera al campus e che ero in lista, appena avuto il pagamento dell'iscrizione mi avrebbero aggiornata.

Posai il libretto e l'ammissione nel secrétaire e mi stesi sul letto pensando. Mamma e papà fra meno di un mese sarebbero andati, come di consueto, a Rio per le vacanze estive. Se per allora non avrebbero accettato la mia decisione di andare ad Harvard avrei approfittato di quella loro assenza per abbandonare la casa dove ero vissuta fin dalla nascita. Avevo deciso, dovevo vivere la mia vita come volevo fare!

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