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Il destino ha scelto me

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EssElle
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Riepilogo

Un proverbio russo recita: “Rimpiangere il passato è rincorrere il vento”. Una frase che assume un grande significato nella vita di ciascuno di noi. A molte persone capita di guardare con rimpianto il passato. Una bella storia d’amore, un’amicizia spensierata o un episodio particolare, poco importa. La vita è fatta per essere vissuta, lasciamo il tempo andato conservando i nostri ricordi, allontaniamo il passato che ci distrae dal presente e utilizziamolo come trampolino di lancio verso nuove avventure e non come Sophie Clarke che nonostante New York le abbia aperto le porte dell’indipendenza, della libertà e dell’amore, continua perennemente a guardarsi indietro, con una grande paura di voltare pagina. Anche se nel profondo del suo cuore sa che il destino ha scelto lei. Quello che non immagina sono le avversità che le piomberanno addosso come sassi, si troverà davanti momenti che si presenteranno davvero difficili da affrontare. Sarà determinata e testarda o fragile e condiscendente? Tutto questo basterà per riuscire a ricacciare indietro i demoni del passato rendendola forte e sicura? Una storia unica nel suo genere nel quale prevalgono grandi sentimenti con un finale inaspettato perché nulla è scontato! Consiglio la lettura di questo romanzo accompagnandovi con le canzoni citate nei capitoli.

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Prologo + Capitolo 1

PROLOGO

Dieci mesi prima

La libertà è una motivazione potente, spesso capace di spingere le persone a compiere gesti estremi. Mi sono chiesta più volte se la mia fuga fosse solo un capriccio passeggero o se avesse un significato più profondo, ma aspettare non avrebbe cambiato nulla. La mia vita continuerebbe a essere “gestita” da altri.

È l’alba, e mi alzo dal letto grande e caldo, consapevole di ciò che sto per fare. Mi vesto rapidamente e afferro una piccola borsa con le cose essenziali. Attraverso la finestra, corro senza voltarmi verso l’uscita principale. Ho già tentato due volte di scappare, ma ho rinunciato. Questa volta non posso permettermi un terzo fallimento. Fisso il cancello per un attimo, poi senza pensarci troppo, lo scavalco e finalmente sono fuori. Mi volto per un breve istante, sospiro e lancio un bacio volante. “Mi mancherà tutto questo!” penso, mentre riprendo la corsa dall’altra parte della strada, guardandomi sempre intorno.

Sento come se qualcuno mi stesse seguendo, ma cerco di non dar peso a questa sensazione. Cambio spesso percorso, cercando di confondere eventuali inseguitori. Quando mi sento abbastanza lontana da casa, inizio a rallentare il passo. Estraggo l’iPod dalla tasca e scelgo la canzone “Ready Steady” di Arya Delgado ft. Mei. Alzo il volume del lettore e noto un furgone scuro, ma non gli do molta importanza.

Incrocio le braccia, stringendomi nel pellicciotto sintetico. “L’aria è gelida!” mi dico, cercando di ignorare il freddo che mi avvolge. Guardo l’orologio: devo sbrigarmi. Presto si accorgeranno della mia assenza e cominceranno a cercarmi. La fortuna mi ha fatto incontrare Alvarez, un ragazzo astuto che ha trovato un modo per farmi viaggiare senza soldi e documenti. All’improvviso, un uomo con il passamontagna mi balza davanti. Mi afferra e mi blocca con un braccio intorno alla vita. Caccio un urlo, ma la sua mano tappa la mia bocca. Il mio cuore batte forte, e so che questa fuga non sarà facile. Ma la libertà vale ogni rischio.

«Zitta o ti uccido!» Annuisco quando vedo scendere un altro uomo dal furgone, anch’egli con un passamontagna. Apre la portiera e velocemente mi spingono all’interno dell’abitacolo, chiudendo il portellone dietro di me. Uno strano odore raggiunge le mie narici, e la paura mi stringe lo stomaco.

«Adesso andiamo a fare un bel giro!» Dice uno di loro con voce cupa. Mi dimeno e non appena mi tolgono la mano dalla bocca, urlo più forte.

«Lasciatemi, vi prego!»

«Questa non sta ferma un attimo, legala e mettile un nastro adesivo per zittirla!» Ordina un altro. Capisco che sono in tre. Mi agito ancora di più, scalciando e cercando di liberarmi. Ora sono in preda alla paura, e uno di loro mi afferra per i capelli.

«Ti conviene fare la brava!»

Minaccia, mentre prende del nastro adesivo e mi zittisce, facendolo girare più volte tra la bocca e la nuca. Poi con forza, afferra i polsi e li lega con una corda sottile. Non vedo più nulla, un cappuccio abbastanza spesso mi ostacola la vista.

«Parti, muoviti!» mi intima un terzo uomo.

Il furgone parte a tutta velocità, e io inizio a piangere disperata.

«Sta cominciando a dare fastidio, provvedi!» dice uno di loro.

Le mie urla soffocanti non si placano. Mi muovo freneticamente, sperando di potermi liberare.

CAPITOLO 1

“Un giorno qualunque, quando meno te lo aspetti, la vita ti regala una favola”

(Anonimo)

*****

Il traffico caotico di sempre, lo scorrazzare dei taxi, i grattacieli infiniti di Times Square: questa è New York o come direbbero in tanti “la grande mela”! Amo questa città e un morso a questo frutto succoso lo voglio dare anch’io.

Mi fermo all’ennesimo semaforo e ne approfitto per stiracchiarmi un po'. Guardo l'ora, ancora dieci minuti e sono arrivata. Nella mia mente scorrono le immagini angoscianti del mio arrivo a New York. Ripercorro tutto il mio viaggio infernale dal Messico a qui, non potrò mai dimenticare il posto in cui ci avevano rinchiuse, soprannominato “L'edifico degli orrori”.

Scatta il verde e mi chiedo per quanto tempo ancora dovrò condividere con questi ricordi? Riuscirò un giorno a dimenticare tutto?

Il borbottio basso e potente della mia quattro cilindri mi distrae e mi induce ad accelerare e scivolare tra una corsia e l’altra, questo è il grande vantaggio della moto.

Scorgo Central Park, sorrido perché sono quasi a casa. Alzo per un istante gli occhi al cielo e penso alla mia vecchia vita, riconosco che un po' mi manca. Ammetto di essermene andata troppo in fretta e senza una spiegazione. Sospiro e mi rendo conto di essere giunta ad Harlem.

È incredibile come io abbia scelto di vivere proprio qui, in uno dei quartieri più caotici di Manhattan e non mi importa se i turisti la dipingono come pericolosa. Harlem, per me, resta sempre affascinante e rassicurante. A nessuno verrebbe in mente di cercarmi proprio qui.

Inizio a rallentare mentre imbocco la via di casa mia, Malcom X. I miei occhi si soffermano sul solito gruppetto di adolescenti che si esibiscono per strada, ricordandomi che Harlem è la patria della musica Black. Ogni giorno è facile imbattersi in ragazzi che ballano nei quartieri. Mi è capitato di accompagnare i loro spettacoli cantando, ogni volta è un’esperienza diversa, che sia Hip Hop, Break Dance o Funky lo scopo è sempre quello, affascinare e divertire il pubblico. Per me sono dei veri artisti, per altri invece messaggeri di emozioni e di speranza.

Ecco che intravedo le tante palazzine allineate lungo la strada. Finalmente sono arrivata. Parcheggio la moto sul viale alberato che costeggia la mia abitazione. Tolgo il casco e lo allaccio al braccio. Alzo gli occhi al cielo e guardo danzare libere le foglie larghe e piatte dei platani. Il loro colore dorato trattiene il mio sguardo finché non toccano il marciapiede unendosi alle altre già a terra e mi piace sentirle scricchiolare sotto ai miei piedi mentre scendo dalla moto.

L’autunno è una stagione meravigliosa, è impossibile non lasciarsi catturare dalle fantastiche colorazioni che la natura manifesta, anche il sole che tramonta alle mie spalle splende di una luce intensa. È un piacere per i miei occhi vedere tutte le sfumature di colori caldi e profondi.

Salgo le scale principali di questo condominio di mattoncini rossi che io tanto adoro. Prendo lo zaino in cerca delle chiavi mentre mi aiuto con la gamba per sostenerlo e inizio a rovistarci dentro. Accidenti, è tutto in disordine!

Tasto i vari oggetti, credo sia arrivato il momento di scegliere a cosa rinunciare. Continuo a cercare ma niente, non le trovo. Ferma davanti alla porta di entrata decido di svuotare tutto il contenuto del mio zaino sull’ultimo gradino ma delle chiavi di casa nemmeno l’ombra.

«Cercavi queste?»

Sento chiedere da una voce ironica alle mie spalle.

Mi giro di scatto e vedo Kevin con in mano l’oggetto dei miei desideri, osservo le sue dita che fanno dondolare le chiavi come se fossero un trofeo.

«Stavo impazzendo, non mi dire che le ho lasciate di nuovo attaccate alla moto!»

«Vorrei darti un’altra risposta ma…l’hai fatto ancora. Smemorata!»

Esclama con un’espressione divertita, poi mi lancia le chiavi che afferro senza problemi.

«Almeno i riflessi ti funzionano!»

Alzo le sopracciglia e sorrido alla sua frase.

«Scommetto che sei stato sveglio tutta la notte per pensare a questa battuta!»

Sorride anche lui mentre mi porge i miei adorati fiori freschi.

«Tieni!»

Aggiunge poi timidamente.

«Ho preso il mazzo di fiori come mi hai chiesto!»

Non faccio in tempo a ringraziarlo come si deve, che sparisce tra i vicoli del quartiere.

«Grazie Kevin!»

Gli urlo dietro. Poi guardo disperata il contenuto della mia borsa ancora a terra. È vero, ho il necessario per ogni evenienza, ma questo è troppo! Rapidamente raccolgo tutte le mie cose e penso a Kevin, un ragazzo di colore, esile con i capelli corti e rasati e un ciuffo che non sta mai giù. Mi chiedo quanto tempo impieghi per farli in quel modo. Le ragazze del quartiere impazziscono per lui. Ha l’aria da brigante e lo sguardo da duro ma sotto l’enorme felpa colorata, i jeans a vita bassa e le scarpe sportive è un tenerone e nonostante i suoi diciannove anni, lui è la persona più limpida e leale che abbia mai incontrato.

Chiudo la pesante porta di legno alle mie spalle e attraverso l’androne. Guardo lo scempio che c’è sul mobile antico davanti a me. Detesto i fiori finti. Li cestino direttamente e li sostituisco con quelli veri, dai colori caldi e il profumo intenso. Per fortuna conservo sempre una bottiglietta d’acqua nel mobile. Ecco, adesso è perfetto!

Mi sento soddisfatta, grazie anche alla gentilezza di Kevin. Salgo velocemente le scale e arrivo al mio appartamento. Appena varco la porta non resisto più, faccio scivolare a terra lo zaino e inizio a spogliarmi.

Non appena mi libero dagli stivali e della tuta da motociclista mi sento già meglio. Guardo l’ora sul display del cellulare, le diciannove quasi, e il mio pensiero va a lui: si sarà rassegnato? Spero di sì!

Mi distraggo dagli indumenti sparsi per la casa, li raccolgo dopo. A piedi nudi avanzo in cucina, sento il solito cigolio del pavimento, solo il parquet mi dà questa sensazione di calore e accoglienza. Sentire passo dopo passo il legno a contatto con la pelle mi rilassa. Lascio sul tavolo di marmo le chiavi di casa e della moto. Dovrò dividerle prima o poi, o rischierò di perderle entrambe. Apro il frigorifero e prendo la bottiglietta d’acqua. Accidenti! Mi sono dimenticata di fare la spesa, ma dove ho la testa in questi giorni?

Do un’occhiata veloce alle cose che mi mancano e butto giù una lunga lista della spesa. Quando ero piccola il frigorifero era sempre pieno. Ricordo che mi piaceva stare in cucina, specie nei pressi del calore delle pentole fumanti, soprattutto in inverno. Avevo intorno a me delle brave cuoche e anche se non mi facevano cucinare, guardavo con occhi curiosi tutti i loro movimenti. Spesso andavo con mia nonna a raccogliere le more e i lamponi, per poi vederla preparare delle crostate ai frutti di bosco. Solo a pensarci mi è venuta fame e come se non bastasse ci si mette anche lo stomaco con i suoi brontolii, ma quello che trovo è uno yogurt. Beh, meglio di niente!

Mia nonna diceva sempre: “Chi ha poco si accontenta, chi ha molto si lamenta!”

Per cui senza lamentarmi finisco il mio abbondante pasto. Mia nonna è una donna molto forte. Mi ha cresciuta dandomi le basi importanti e trasmettendomi i giusti valori della vita. Ci siamo scontrate spesso per via dei nostri caratteri e delle concezioni diverse, tuttavia le voglio molto bene.

Sospiro e decido di fare una doccia, non posso prendermela ancora comoda. Raccolgo i vestiti da terra e corro in bagno, e ne esco rinata. Il profumo dell’iris mi regala sempre un piacevole effetto di benessere. Mi circondo nell’asciugamano e raggiungo la camera da letto. Mi viene spontaneo guardare le mie vecchie foto esposte alla parete, mi ricordano chi sono.

Guardo l’ora, è il caso di sbrigarmi. Poso il cellulare sulla fila infinita di libri che ho sul comodino, prendo dei leggings neri dall’armadio e una t-shirt bianca, improvviso uno chignon e procedo con un trucco leggero. Indosso le sneakers, raggiungo la scrivania e controllo gli spartiti selezionati per stasera. Afferro velocemente la giacca di pelle e lo zaino. Prendo dal mio cofanetto di legno il bracciale in oro antico di mia madre. Inevitabilmente, mi trovo a pensarla e un incolmabile vuoto mi assale, ma non appena lo indosso tutto svanisce. Afferro le chiavi, raggiungo di corsa la moto e poi dritta al lavoro!

Ogni volta che sono a Hell’s Kitchen percepisco vibrazioni positive, è come se la città esplodesse in energia pura. In questo quartiere giovani, anziani, etero, omosessuali vivono felicemente insieme senza discriminazioni, dovrebbe essere così ovunque. Liberi di vivere come si vuole. Sarebbe bello se fosse così anche per me.