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Hope

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Lily Rose
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Riepilogo

"Non ci sono molti modi di ritrovare un fratello scomparso, non se sei un adolescente immortale discendente da una famiglia di assassini e dividi il tuo corpo con un demone che trama per la tua morte." Quattro: le vite dei protagonisti che si intreccieranno inesorabilmente al filo rosso del destino per ragioni diverse: capire dove andare o reciderlo. Tre: gli ultimi frammenti rimasti del vaso che puó imprigionare i demoni ed eliminare i signori degli inferi. Due: le fazioni in cui è diviso il mondo. Una e una sola possibilità di ritrovare i ragazzi scomparsi vivi.

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PROLOGO

«Ragazzotto, prima di andare via finisci di pulire le lame, porta le munizioni e per favore consegna questo all'indirizzo indicato», mi disse il mio superiore guardandomi dritto negli occhi con fare autoritario.

«Certo Jho..comandante!» alla mia rapida correzzione vedo il suo sguardo ammorbidirsi e con un leggero sorriso si avvicina dandomi una pacca sulla spalla.

«E prima di andare via passa nel mio ufficio per lo stipendio e gli extra lavorativi», a queste parole un'ondata di gioia mi attraversa, in questo periodo gira una forte influenza e ho dovuto fare enormi sacrifici con altri colleghi per coprire anche i turni non miei. Uscendo dal suo ufficio mi soffermo per qualche attimo a osservare la città in festa, in questi giorni è attesa la visita del sovrano. Tutti i negozi sono minuziosamente adornati da luci e bandiere con sopra lo stemma di della nostro regno, questa non è una ricorrenza come le altre: Everland oggi festeggia i suoi cinquecento anni dalla fondazione, è in assoluto tra i territori più antichi, ricchi e popolosi di questo mondo. Nessuno ha mai visto in volto il re, si dice in giro che si trovi qui per annunciare l'entrata in guerra del nostro paese contro un confinante. Vorrei dirmi sorpreso ma in realtà non è niente di nuovo, dati i ritmi di sviluppo è normale che tutti i territori cerchino di espandersi come possono.

«Si va bene», subito mi dirigo nella sala sotterranea dove sono contenute tutte le armi, è una stanza enorme dalla quale si accede solo dopo aver attraversato una serie di porte blindate. La prima stanza è addetta al controllo degli opertori, nessuno può entrare all'interno armato e ogni volta che per qualsiasi ragione si debba accedere o uscire da quella stanza si viene perquisiti e scannerizzati per assicurare che nessuno introduca o sottragga qualsiasi tipo di materiale. La seconda è una sala d'attesa, in quanto il numero limite di individui che può accedere alla "cassaforte" è 12 tra cui 6 sono impiegati fissi al suo interno. Finalmente riesco a varcare la soglia dell'ultima porta blindata. Entrando mi dirigo verso la parete dedicata alla tipologia di armi da taglio che mi è stata ordinata di pulire, appoggio la key-card su un punto specifico della superficie e vedo accendersi il nastro trasportatore in fondo alla sala che trasporta la cassa di armi a cui corrisponde il codice. Le mie mani scorrono sulle nuovissime armi con lame di ultima tecnologia geolocalizzate, anche troppe per una guerra non ancora annunciata, le cui quantità raddoppiano di settimana in settimana. Orgoglioso del lavoro svolto mi guardo intorno per assicurarmi di non essermi dimenticato nulla. Queste superfici affilate sono talmente pulite che mi ci posso specchiare, ora mi rimane solo da riporle tutte in cassaforte. Sono molto fiero del lavoro ottenuto, adoro le armi da fuoco, da taglio, amo forgiarle e il rumore delle lame in azione. È proprio la mia passione che mi ha permesso di arruolarmi nonostante le mie umili origini. Dopo anni e anni di gavetta finalmente posso testarle prima degli ordinari soldati, progettarne delle nuove o perfezionare quelle esistenti. Finito anche con la catalogazione dei vari pezzi per assicurarmi che siano tutte presenti e ordinate, noto che manca un pugnale. L'ansia mi assale, lo cerco d'appertutto per oltre un'ora ma niente, sembra svanito nel nulla. Esco dalla struttura sotterranea e mi dirigo dritto all'ufficio di Jhon curandomi di bussare alla porta prima di entrare.

«Avanti. Ragazzotto ce ne hai messo di tempo! Vieni, questo è lo stipendio e gli extra, siediti.»

«No capo vedi, non sono riuscito a finire la catalogazione, manca un ...»

«Questo?» tira fuori una stoffa, nel quale è contenuto l'oggetto che non riuscivo a trovare.

«Si è proprio questo. » sento il mio corpo rilassarsi, mi stavo già prefigurando il caos che si sarebbe scatenato alla notizia di un furto alla "cassaforte".

«Sai a chi appartiene ?» vedo il suo volto crucciarsi in un espressione preoccupata.

«Certo capo, è uno dei rarissimi pugnali storici che abbiamo in esposizione al museo delle armi ancora utilizzato al giorno d'oggi»

Jhon me lo porge e mi invita a osservarlo, così lo giro e noto lo stemma sul retro, una croce con al centro un rubino rosso.

«Questo che hai davanti agli occhi è molto di più che un pezzo d'esposizione, è di tuo padre ed è ora che lo tenga tu», il suo tono è molto più di un invito, è una sentenza. Il suo sguardo deciso torna a posarsi sui miei occhi, poggia l'arma che avevo riposto sulla scrivania davanti a me. Sento il sangue ribollire nelle vene, sa bene che se non lo facesse sembrare un ordine non lo accetterei mai, so già dove vuole andare a parare.

«Non puoi chiedermi questo, sai che non posso accettarlo, ho deciso un destino diverso da loro, mio padre ha preso la sua decisione di abbandonarmi, non voglio niente che mi leghi a lui», preso dal momento l'uomo si alza in piedi mettendosi di fronte a me.

«Intanto chiamami Jhon e si, è vero, lui ti ha lasciato andare via ma non ti ha neanche intralciato, sai che volendo avrebbe potuto riportarti a casa e non farti più uscire. Non sei un ragazzino e non puoi più vivere nel mondo delle meraviglie, accetta il tuo passato e rendilo motivo di orgoglio e formazione», continuo a fissarlo senza proferire parola. La sua voce profonda pronuncia parole che mi sembrano scontate. Tutti possono dire una cosa del genere, è una risposta comoda, eppure so che se sta tirando fuori l'argomento ora ci deve essere una motivazione. Non riesco a muovermi, la mia ira continua a crescere mentre il suo sguardo si fa sempre più scuro e penetrante.

«Edward River, prendi gli extra e la tua paga, ma sappi che se uscirai da questo edificio senza il pugnale sarà anche l'ultima volta che vi metterai piede chiaro?! », sento un brivido percorrermi la schiena, Jhon si volta dandomi le spalle, segno che la conversazione è finita.

«Come se bastasse prenderlo giusto?» penso a voce alta.

Raccolgo il tutto dalla sua scrivania ed esco dalla stanza sbattendo la porta. Detesto quando fa cosi, detesto il mio carattere impulsivo ma per quanto mi duole ammetterlo, ha pienamente ragione. Appena all'uscita mi blocco, incerto se tornare dentro o meno. Il mio corpo trema dal nervosismo ma, nonostante tutto, l'unico modo che ho per ringraziarlo di tutto quello che ha fatto per me è seguire il suo consiglio per almeno una volta nella mia esistenza. Sfortunatamente devo troppo a quel burbero individuo.

È da una vita che non torno alla villa della mia famiglia, ma onestamente non ricordavo la presenza di tutte queste guardie, qualcosa non va. Subito mi accosto alla parete e pian piano mi avvicino sempre di più alla stanza di mio padre da dove proviene tutto il rumore. Non sono semplici soldati, sono quelli specializzati nel campo deportazioni, mio padre come molti altri, è discendente degli antichi custodi, dannati per la loro negligenza, per questo nel suo corpo ospita un demone. Improvvisamente tutto nella stanza si blocca.

«Figlio mio, non c'è tempo avvicinati» improvvisamente tutto mi è chiaro: Jhon sapeva.

Mi giro di scatto incapace di realizzare cosa stava accadendo. Il tempo sembrava essersi paralizzato, i soldati erano immobili e improvvisamente era cessata anche tutta la confusione intorno.

«Edward, non ho molto tempo» mi rigiro nella direzione della figura da cui sento provenire quel sofferente filo di voce che ora mi fissa con entrambi gli occhi sgranati.

«Cos'è successo perché sei ridotto così, sembri consumato e in fin di vita dov'è la mamma?»

«Edward non so come può essere successo... »

«Padre, perché c'è il dipartimento deportazione in casa cosa sta succedendo? Loro non vengono solo in caso di omicidi?»

A questo termine gli occhi di mio padre si incupiscono ancora più di prima e ad un tratto mi è tutto chiaro , ecco perché tutta questa insistenza nel farmi tornare qui. Se non fossi venuto mio padre sarebbe stato giustiziato senza che io sapessi nulla o avessi avuto la possibilità di rivederlo. Devo andare via da qui, subito.

«Edward guardami», e fu un attimo.

Un dolore atroce mi attanagliò il corpo, sentii il sangue scorrermi veloce nelle vene, la mia testa era come schiacciata da un masso e tutto diventò improvvisamente nero.

BIP.. bip...BIP...bip...BIP...bip

L'oscurità nella mia testa si sta lentamente rischiarando. A fatica riesco a sollevare le palpebre che una forte luce bianca mi acceca, sento il corpo totalmente intorpidito, pesante e l'unico rumore che riesco a distinguere è un pressante suono che scopro provenire da un macchinario attaccato a me..... si un macchinario.. improvvisamente mi alzo di scatto.... ma dove sono? Appena mi alzo un altro rumore differente dal precedente si fa spazio nella mia testa. Ma perché è tutto così assordante e ovattato? Eppure ancora non riesco a vedere nulla.

«Si sente bene?»,

perfetto adesso sento anche le voci.

«Hey dico a lei..... Aspetti.»

Qualcuno o meglio qualcuna mi tira per un braccio cercando di farmi alzare, solo allora mi rendo conto di dove sono. Questo è l'ospedale militare, è la prima volta che ci entro. Finalmente la mia vista si rischiara e riesco a rialzarmi dal pavimento. Dopo che faticosamente sono riuscito a rimettermi seduto sul letto la stessa ragazza di prima si avvicina con cautela a me.

«Tenga e la beva finché è calda.»

«Non è acqua questa.»

«No, è ricavata da alcune piante che ti aiuteranno a sopportare il dolore.»

«Dolore? Per cosa? Non so di cosa parla.»

La ragazza davanti a me fa una faccia più che stupita, tanto da farmi sentire quasi stupido. I suoi grandi occhi verdi mi scrutano quasi incerti sul cosa rispondere.

«Non ho idea del modo più opportuno per comunicare tali notizie in quanto io mi occupo solo di curare gente però... insomma.....che dire... lei è stato trasmesso un demone nel corpo. Quando è arrivato qui era già in stato di incoscienza e finché non si sarà stabilizzato completamente è molto probabile che continuerà a percepire tutti gli avvenimenti in torno a lei in modo amplificato. Inutile dire che ciò potrebbe compromettere di molto il suo stato di salute se non monitorato.»

«Un demone? Come fa ad esserne così certa? Lei poi chi sarebbe mi scusi?»

«Sono un medico e si, si tratta senza dubbio di un'entità demoniaca, per certificare la sua presenza guardi semplicemente le sue braccia, insomma, è abbastanza evidente.»

Il mio sguardo si posa sugli avambracci e non c'è dubbio, questo è Xeno, me lo deve aver trasmesso mio padre. Maledetto.

«I soldati non possono ospitarne giusto?»

«Si infatti i moduli per le dimissioni sono lì sul tavolo...»

«E con chi ho il piacere di interloquire?» ribatto sarcastico.

«Catherine....il mio nome è Catherine Brown.» 

È stato in quel momento che ho capito, nonostante l'impegno non si può avere tutto sotto controllo; un attimo ti trovi qui, e quello dopo la tua esistenza ti spinge altrove in modo inaspettato e violento. Niente è per sempre, paradossale che a dirlo sia uno che non può morire no? In questo mondo molti individui farebbero carte false per poter ospitare un demone dentro di sé. Gli uomini più potenti, ricchi e temuti appartengono a questa cerchia ristretta di "privilegiati", tra cui mio padre. Se solo sapessero la verità, sui prescelti, sui demoni, su questo mondo folle e crudele forse smetterebbero di aspirare alla vita eterna. Infondo a volte è meglio non sapere, vivere nell'incoscienza ignorando il piano completo, l'unico a cui non c'è modo di sottrarsi, neanche con la morte.