Capitolo 2
Alan si svegliò da un sonno pessimo alle 4 del mattino, ma se aveva dormito due ore era già tanto. Aprì gli occhi, sorpreso dal tintinnio delle chiavi, poi si ricordò della notte precedente e del motivo per cui aveva dormito così poco: il figlio di una delle puttane di suo marito aveva avuto il coraggio di stare fuori tutta la notte, e proprio nel giorno del loro anniversario di matrimonio.
Si alzò in punta di piedi e si diresse lentamente verso la porta d'ingresso, appoggiandosi al pilastro che separava il soggiorno dalla cucina, in modo da avere una visuale completa dell'ingresso di casa sua.
Alan vide entrare Cauã barcollante: non si poteva negare che avesse passato una notte di bevute e festeggiamenti.
In quel momento Alan si trovò a dover prendere una decisione che avrebbe cambiato completamente la sua vita. Non poteva più rimanere nella situazione in cui si trovava.
Continuò a rimanere lì, a guardare cosa avrebbe fatto Cauã. Vedendo che il figlio di puttana era smontato sul divano, Alan tornò in cucina a prendere una bottiglia d'acqua dal frigorifero.
Cauã si agitava sul divano in preda a un sonno ubriaco, indossava ancora gli abiti con cui era uscito di casa il giorno prima, un completo nero, una camicia elegante bianca, la stessa con un profumo dolce da quattro soldi che faceva venire voglia ad Alan, e quando vide i segni del rossetto su tutto il collo, la decisione che non aveva ancora preso fu davvero presa.
Alan osservava incredulo il figlio di una brava signora che passava la notte fuori a godersi la vita come se non ci fosse un domani e teneva la bottiglia in mano così stretta che le nocche gli diventavano bianche.
Prendendo un coraggio che non sapeva di avere, gli gettò in faccia tutta l'acqua della bottiglia, facendo sì che Cauã si svegliasse di soprassalto, senza capire cosa stesse succedendo, fissandolo incredulo e senza sapere perché Alan l'avesse fatto.
Lo sguardo che Cauã rivolge ad Alan, come un cucciolo caduto dall'ascensore, rende Alan ansioso e disgustato, facendogli capire di cosa è capace l'allora marito. Non ce la fa più ed esplode.
− Cosa pensi di fare? − chiede Alan, cambiando voce, e lo guarda come se stesse per ucciderlo − Ahh ho voglia di farlo, ma preferisco STARE ZITTO!!!
− Smettila, per l'amor di Dio, amore − chiede quasi implorante, il desiderio di Alan in quel momento è di ridere della sua faccia mentre quasi li implora di smettere di parlare a voce alta.
− COSA? Non ti ho sentito bene, sai, soprattutto per la parte che mi ha preso − parlò ancora più forte, ma non gridò quanto avrebbe voluto − il che mi ha fatto ricordare che non mi hai risposto.
− Dormire. Non è ovvio? − Disse con una certa trepidazione.
− Ora alzati e raccogli le tue cose, bastardo.
Cauã si alzò, non capendo nulla di quello che stava succedendo e, per di più, con la testa che gli pulsava per la sbornia, sembrava più un lumacone in un corpo umano.
− Dai, andiamo, non ho tutto il giorno, non credi − Alan fece una pausa, inumidendosi le labbra − Questo è per ieri.
Cauã si alzò dal divano, cadendo sulle proprie gambe per la notte passata fuori.
− Forza, figlio mio, svegliati − dice Alan, perdendo la pazienza per la lentezza del figlio di una brava signora.
Si volta verso Alan e gli dice.
− Perché ti comporti così con me? − L'uomo coraggioso aspetta che l'altro dica qualcosa, ma quando non lo fa, continua: "Non ti capisco, amore.
− Non chiamarmi mai più amore", e alzò la voce in modo esponenziale.
− Ma non capisco.
− Vuoi che lo disegni? − Fece una pausa, aspettando una risposta dal bastardo che aveva di fronte, ma non avendola ottenuta, continuò − Visto che non vuoi essere preso per il culo, ESCI SUBITO DA CASA MIA, FIGLIO DI PUTTANA! BASTARDO! ORA SPARISCI DALLA MIA CASA E DALLA MIA VITA.
− Che ti prende? − gli chiede Cauã, accigliato mentre cerca di ricordare cosa avrebbe potuto fare per lasciare Alan in quello stato.
− Cosa mi è preso? Beh... beh... beh, il principe non sa cosa mi succede. INDOVINA UN PO'?
Guardò Alan, che ancora non capiva.
"Ma sarà così lento su Marte". Pensò stressato e arrabbiato, il miscuglio di sentimenti che Alan provava in quel momento gli offuscava la vista e lo accecava di rabbia.
Non riusciva a capire come avesse fatto a rimanere con lui per così tanto tempo, e fu strappato ai suoi pensieri da lui. − Non ho fatto niente, amore − Non riusciva a credere alla barbarie che aveva appena detto.
− Guardati − disse Alan, andando in cucina a mettere via la brocca d'acqua che ancora teneva in mano. Solo in quel momento si accorse che la teneva così stretta che le nocche erano biancastre.
− Cosa c'è che non va in me? − Chiese, seguendolo.
− Sai cosa, non ho intenzione di perdere tempo con qualcuno che non lo merita. Quando te ne andrai, approfittane e dimenticati di me − disse fingendo indifferenza, e credo che il figlio di puttana finì per credergli, era molto sicuro e convinto di quello che diceva.
− Ma l'amore... − lo interruppe Cauã.
− Niente di più e non sono più il tuo amore, l'ho già detto e a quanto pare non lo sono mai stato − disse con una tale rabbia che dovette trattenersi dal volargli addosso.
− Non capisco niente di quello che sta succedendo", dice con una faccia che provoca in Alan un senso di repulsione e di vomito, ma quello che fa ha più effetto di tanto scandalo: si mette a ridere in faccia a quell'imbecille.
Il volto di Cauã era assonnato, aveva l'aria di chi ha passato la notte sveglio, gli occhi erano rossi per l'alcol e del colore dei pomodori, e la sua espressione era piena di rabbia.
Alan provò paura, non aveva intenzione di abbassare la testa di fronte a nessuno, soprattutto a un uomo del cazzo che non se lo meritava.
− Giuri di non sapere", fece una pausa, aspettando che dicesse qualcosa, ma il resto della sua pazienza svanì quando cominciò a sbattergli in faccia la verità, "hai passato la notte fuori casa a tradirmi, ma quella è solo la punta dell'iceberg, l'hai fatto nel giorno del nostro anniversario di matrimonio, è stato allora che è calato il sipario che copriva la verità, rivelando il vero te".
Non appena Alan ebbe vomitato tutto ciò che gli era rimasto in gola abbastanza a lungo, anche se erano solo le prime ore del mattino, sentì che qualcosa gli dava fastidio, ma non sapeva quale fosse la fonte del suo disagio, che di conseguenza gli procurava un certo dolore. Alan si sentiva come se potesse crollare da un momento all'altro, ma si costrinse a resistere almeno fino a quando Cauã non se ne fosse andato. Non voleva che lo vedesse indebolito, perché era sicuro che lo avrebbe umiliato, e lui era già stufo di lui, delle sue umiliazioni, dei suoi scherzi e delle sue sminuizioni.
Quella mattina c'era un motivo per liberarsi di un fardello che lo tormentava e che era stato scambiato per amore, ma in realtà era un conforto, una situazione malsana, Alan pensava di essere inferiore.
Lì si rese conto che Cauã, che era l'inferiore e che non lo aveva mai stimato abbastanza, si era sbagliato nel pensare di poterlo cambiare, ma scoprì a fatica che le persone non cambiano mai.
Cauã gli fece credere di non valere nulla, che nessuno lo avrebbe voluto tranne lui stesso, ma si rese conto delle sue ragioni quando sentì una voce lontana. − Visto che vuoi che me ne vada, me ne andrò, ma sarai solo − Era così distratto che non si era accorto che l'indigente era andato verso l'uscita e che non aveva perso l'occasione di dare la sua ultima puntura, ma non aveva calcolato che non lo avrebbe più raggiunto. Fece una pausa, poi prese coraggio e disse:
− Non sono sola.
− Hai intenzione di chiamare chi ti ha cacciato? − Mi ha chiesto il bastardo.
− No, non ho bisogno di loro, ho amici che significano tutto per me − scatto e lo sento ridere.
− A nessuno importa di te, non sei niente e non lo sarai mai − Appena finito di lanciare la sua maledizione Alan si sente indebolire, ma poi si rende conto che in realtà tutto quello che ha detto in tutti questi anni riguardava lui, non Alan.
− "No", dice con fermezza.
− No cosa? − Chiede Cauã.
− Tutto quello che dici è una bugia, almeno fino a un certo punto − Alan fa una pausa, fa un respiro profondo e trova il coraggio di continuare −. Dici sempre che sono solo, che non ho nessuno, ma la verità è che tu non hai niente, che a nessuno interessa quanto tu sia un bastardo figlio di puttana, ora lo vedo e non puoi cambiare le cose, quindi vattene da casa mia e dalla mia vita".
Fu in quel momento che Alan vide il suo mondo "perfetto" crollare davanti a sé. In quattro anni non aveva mai pensato di vivere questo momento, la solitudine che si impadronì del suo essere lo fece crollare proprio lì, sul pavimento, in mezzo al tavolino e al divano, le lacrime che scorrevano copiose, anche se Alan non voleva, non capiva perché stesse piangendo.
Stava soffrendo, faceva così male che non riusciva a dare un nome al dolore che provava. Gli venne in mente una domanda pertinente.
"Stavo soffrendo per qualcuno che non se lo meritava, cazzo?". Anche se cercò inutilmente di fermare le lacrime, non ci riuscì, continuavano a cadere come se fossero destinate a cadere.
