LIBRO 1 Adriel João - Capitolo 8
A ventitré anni con un anno di anticipo e dopo aver iniziato il tirocinio, mi laureai in medicina. Avevo superato la fobia degli ospedali! In che modo? Probabilmente era dovuto al fatto che ero stato a lavorare in reparti che mi avevano portato a contatto con la morte. All’inizio durante il tirocinio in chirurgia gastrointestinale e cardiaca, mi ero sentito male, vomitavo, mi girava la testa, e anche la respirazione diventava affannata. Era stato quello a farmi venire la fobia e a lungo andare capii che dovevo affrontare quella mia paura. Anche se non sarei diventato chirurgo. Successivamente ero stato nel reparto di oncologia, era stato il tirocinio più angosciante fino ad allora, avere a che fare con la morte ad ogni paziente, vedere in loro un mio coetaneo o un bambino, un anziano e una madre, mi aprì gli occhi su quel mondo. Per un malato terminale la morte era dietro l’angolo, ti alitava sul collo. Se eri fortunato scampavi il fosso, come papà che aveva avuto le cure migliori e aveva preso il tumore abbastanza in tempo da non perdere la vita. Ma c’erano altri che non avevano la sua fortuna, o anche la stessa liquidità dei miei, mamma e papà erano stati fortunati a incontrare Thomas sul loro cammino. Non potetti infatti ignorare che c’erano strutture e strutture. Le cliniche private erano quelle dove i pazienti avevano più probabilità di guarigione. Negli ospedali pubblici invece non si era così fortunati, infine c’era una realtà che non ci insegnavano ma che sapevo esisteva. Ero cresciuto al confine tra le favelas e la Rio benestante, sapevo fin troppo bene dei morti per strada, lasciati al loro destino. Ancora ricordavo che il mio compagno alle elementari era morto per una semplice febbre.
Durante il mio ultimo anno di tirocinio ci furono parecchie novità, Guadalupe la ragazza con cui uscivo mi informò di essere incinta. Purtroppo lei mi conosceva quale João Suarez, il campione, e con Ezra sospettammo che si fosse fatta mettere incinta per incastrarmi.
Avrei voluto chiederle di abortire, ma sempre Ezra mi disse di andarci piano. “Se i nostri sospetti sono veri, potrebbe metterti in cattiva luce con i media. Adesso che c’è in ballo la nazionale ci andrei piano. Aspettiamo le convocazioni e il primo ritiro. Poi le chiediamo l’aborto. Sono sicuro che un assegno proficuo la farà ragionare.” Mi disse.
“Poi?” Chiesi.
“Tranquillo, la sistemo prima del mio rientro a Parigi.” Mi disse sicuro di sé.
Ezra mi spaventava molto, aveva due anni meno di me. Ma continuava ad essere scaltro ed ero sicuro ormai che fosse tossicodipendente. Ero in realtà sollevato all’ idea che tornasse in Europa, non sarei rimasto senza un agente per i mondiali. Ezra aveva assunto un paio di procuratori e spero una sua società, per cui in sua assenza ero coperto.
Però se ne sarebbe andato. Gli volevo bene, ma liberarmi dal suo ambiente tossico era una gioia. “Quando tornerai?” Gli chiesi.
“Fra tre anni! Voglio laurearmi in letteratura.” Rispose.
“Non andavi per un sevizio fotografico di Pierre Chateau?” Chiesi.
“Ne approfitto! A Parigi non avrò più l’influenza del vecchio e farò ciò che mi piace.” Disse. “Cazzo fu lui a mettermi un libro in mano a dieci anni. Se non mi avesse fatto appassionare alla letteratura, avrei deciso diversamente.” Disse.
“Che dire. In bocca al lupo!” Gli dissi complice.
In fondo lo adoravo, se non fosse stato per la sua dipendenza, sarebbe stato un amico perfetto.
Non ebbi più modo di pensare alla sua partenza o a Guadalupe, poiché come si sa le notizie brutte arrivano sempre tutte insieme. Papà ebbe infatti una ricaduta. Questa volta gli era uscitoun tumore al testicolo destro.
Appena mamma mi informò corsi a Sao Paolo. Non mi interessavase facevo la spola tra Sao Paolo e Rio per potergli stare vicino o poterlo seguire. Non mi interessava rinunciare alla squadra o alla laurea per lui.
Fu in quell’occasione che compresi saremmo stati fortunati se papà fosse sopravvissuto anche a questa. Con tutto ciò che avevo visto, sapevo che già eravamo fortunati.
La prima persona che vidi in ospedale fu mamma.
“Cosa dicono i medici?” Chiesi.
“Che è operabile. È stato complicato trovarlo, poiché hanno fatto un controllo prima sugli ultimi casi. Sono andati a ritroso e hanno temuto che avesse attaccato di nuovo la prostata.”
“Ci sono metastasi?” Chiesi a mamma.
“Sembrerebbe di no! Ma il dottor Morales consiglia sempre di fare la terapia.” Mi spiegò.
Sospirai.
“Dopo parlerò con Morales.” Avevo bisogno di capire e un confronto con lui era la scelta migliore. “Posso vederlo?” Chiesi.
Mamma annuì. “Certo che puoi. Anche se temo che si arrabbierà.”
“Con me o con te?” Le chiesi sorridendole.
“Entrambi. Me perché ti ho avvertito. Te perché sei venuto fin qui.” Rispose rassegnata.
La seguii nella sua stanza e quando lo vidi nel suo letto piccolo piccolo, lo trovai molto più fragile di quanto potessi immaginare.
“Adriel!” Sussurrò papà. La sua voce era così flebile.
“Vecchio!” Scherzai io. “Non ti va più di allenare i bambini vero?” Gli chiesi raggiungendolo.
“Non saresti dovuto venire qui.” Mi disse papà.
“Perché no! Non ho partite fino a dopodomani.” Risposi.
“Sei il capocannoniere del campionato e in Coppa Libertadores. Si vocifera che sei stato convocato in nazionale, hanno occhio. Sono fiero di te.” Disse papà.
Gli sorrisi. “Mi vedrai giocare con la maglia giallo verde papà.” Confermai. “L’anno prossimo giocherò ai mondiali qui in Brasile e tu verrai a vedermi.” Gli raccontai.
“Giocherai ai mondiali?” Mi chiese.
“Ovvio! Mese prossimo faremo il primo ritiro, è ufficializzeranno la squadra che capitano Pereira ha convocato.” Dissi fiero.
“In nazionale. Mio figlio è in nazionale… hai sentito Laura.” Disse papà rivolgendosi a mamma.
Un anno! Mancava un anno all’inizio del mondiale e pregavo affinché papà potesse vederli.
“Ho sentito.” Disse mamma dolcemente. “Sei il nostro orgoglio Adriel, sono orgogliosa di tutto ciò che stai facendo.” Precisò complice. Mamma era l’unica a sapere del mio percorso universitario e forse era meglio che papà non sapesse. Lui cercava di non farmi pesare la sua malattia, con le mie conoscenze attuali però potevo capire a che stadio della malattia fosse.
“Posso dire di avere tutto adesso.” Affermai.
“Non direi proprio.” Intervenne papà.
Lo guardai accigliato. “Hai ragione! Dovrò vincere il mondiale.”
“Ti manca qualcosa di fondamentale Adriel. Qualcuno con cui condividere le gioie e da avere sempre con te.” Mi disse.
Lo ascoltai comprendendo. “Ho una ragazza...” Se così si poteva definire Guadalupe.
“Una ragazza non è una moglie.” Disse papà.
Feci un colpo di tosse. “Ho una ragazza e aspettiamo un bambino.” Gli rivelai.Vidi la gioia sul suo volto.
“Un bambino?” Chiese mamma stupita.
“Oh mio Dio Adriel.” Esultò papà. “Saremo nonni! Che grande gioia ci dai. Quando nascerà il bambino.”
“Calma papà. L’ho saputo solo quindici giorni fa.”Gli dissi.
Lui mi guardò commosso annuendo. “Hai ragione Adriel. Hai tutto, una bella carriera, una famiglia e potresti essere proclamato un campione a livello mondiale. Sono sicuro che arriverai a giocare in Europa, nelle migliori squadre.” Disse papà.
“In Europa?” Chiesi incredulo guardando mamma. Ero arrivato a soddisfare tutti i suoi desideri e ancora chiedeva.
“Sì! Sassi acclamato dalle migliori squadre, ne sono sicuro.” Disse.
Sospirai. “Per ora pensiamo al presente. Io devo….” Laurearmi!“Pensare alla nazionale, a vincere la coppa Libertadores e il campionato col Santos. Infine ho da pensare a Guadalupe.” Dissi. “Tu invece dovrai guarire. I tumori ai testicoli sono rari, ma sono sicuro che Moralessaprà come intervenire.”
Papà sospirò. “Morales si è già messo in contatto con Preston in Connecticut.” Mi disse papà.
Quindi sarebbe tornato negli Stati Uniti. “Capisco. Voi tenetemi aggiornati per qualsiasi cosa, io intanto approfitto del mio rientro per andare a trovare le quattro pesti.” Dissi rivolgendomi ai miei fratelli.
“Non chiamarli più bambini mi raccomando.” Disse papà divertito. “Ormai hanno quindici e tredici anni.”
Scossi la testa. “Lo so! Chissà perché Sachiel ha chiamato me per chiedermi come funziona con le ragazze.” Lo ammonii. “Fammi il piacere, quando esci da qui cerca di instaurare un rapporto più intimo con loro quattro.”
“Io….” Si giustificò papà.
“Tu!” Dissi. “Volevi questa famiglia! Quindi comportati da padre e cerca di avere un rapporto con loro.”
“Non abbiamo nulla in comune.” Spiegò papà.
“Perché la vita non è solo calcio.” Dissi io. “Lo sai che Remiel suona il pianoforte e compone anche pezzi suoi? Sachiel invece è bravissimo con i computer e Raguel… lo sai che ha un ragazzo?” Elencai, lo sai che mi piace la medicina e mi sto laureando? Ovvio non potevo dirglielo.
Papà biascicò. “Promettimi che parli con loro papà. Mi hai detto che devo farmi una famiglia e non badi alla tua.” Affermai.
Gli andai accanto dandogli una pacca leggera sulla spalla. “Chiamami quando puoi.” Lo salutai.
Passai al Santa Maria a salutare i miei fratelli. Mi fermai ad ascoltare Remiel che suonava il piano e a chiacchierare con Gonzales dei progressi dei miei fratelli e di Ezra.
“Ormai non ho più il controllo su di lui.” Mi disse il professore. “Mi ha anche rinfacciato che non sono suo padre.”
“Mi dispiace, anche perché a me ha detto che è stato merito suo se si è appassionato alla letteratura.” Dissi.
Lui annuì. “Aveva dieci anni quando conobbi Monique. Era uno sbandato in giro per Pigelle con sua sorella di undici anni. Lei era tranquilla, ma lui… comunque gli diedi un libero di Jean Jaques Rosseaux per dargli un interesse.”
“Avevo capito che Michelle fosse più piccola.” Dissi.
“Lui la reputa tale, Michelle è sempre stata silenziosa e remissiva e voleva proteggerla. Ma era un bambino e anche adesso temo sia una persona smarrita.” Mi disse. “Ma non sta a me parlarti di loro. Come mi ha ricordato Azrael, io non sono suo padre.”
“Azrael. Non Ezra?” Chiesi.
“È un diminutivo. Il suo nome completo è Azrael!” Mi disse. “Ti ringrazio comunque di aver badato a lui in questi cinque anni. Sei un campione e la sua vicinanza non ti è favorevole.”
“A parte il suo piccolo difetto, lui è straordinario.” Gli dissi. “Infatti non mi sembra che sia molto dipendente dagli stupefacenti. Piuttosto sembra che lo faccia per hobby.”
“Dispetto.” Rispose il professore. “Nel suo inconscio vorrebbe dimostrare che la droga non è una dipendenza. Ma temo non gli sia riuscito.”
“Spero la smetta. Adesso vado professore, ho promesso a Corinna e Raguel che le avrei portate a fare spese fin tanto sono qui.”
“Ma certo. Grazie della visita Adriel e auguri per la prossima laurea.”
Lo ringraziai e andai via, alla ricerca delle mie sorelle che portai in giro per tutto il pomeriggio insieme ai gemelli.
Il giorno dopo tornai a Sao Paolo e spiegai a Ezra di mio padre e di come mi avesse spinto a rivelargli di Guadalupe.
“Ok! So io come fare. Chiamiamo un avvocato, facciamogli fare un contratto pre matrimoniale e poi la sposerai. Niente firma, niente matrimonio .” Disse Ezra. “Se sei d’accordo con me procedo.”
Lo fissai. “Sono d’accordo. Voglio un contratto minuzioso. Sarà mia moglie e non voglio scandali.” Affermai.
“Faremo tutto prima delle convocazioni ufficiali nella nazionale. Così non potrà pretendere nulla, non preoccuparti amico mio, ci penso io a proteggerti.” Mi disse.
Gli credetti, Ezra era il più fedele degli amici che avevo e nonostante tutto sapevo che era sincero con me.
Fu così che dopo aver firmato un contratto di riservatezza e una separazione dei beni, io e Guadalupe ci sposammo.
Fui convocato alla nazionale e facemmo le selezioni. Mi laureai e salutai Ezra che partì per l’Europa.
Mio padre intanto si operò al testicolo sinistro e successivamente al destro, dopodiché iniziò la chemioterapia.
Col Santos vinsi il campionato e anche la coppa Libertadores .
