Capitolo 6 – La Prostituta Privata
"Ugh." All’improvviso Jessi sentì un’ondata di nausea. Corse verso il lavandino, cercando disperatamente di vomitare ciò che le tormentava lo stomaco.
"Jessi!" Farrel si precipitò da lei, visibilmente in preda al panico. Le massaggiava dolcemente la nuca.
"Che cos’hai?"
"Ugh..." Ma uscì solo del liquido: Jessi non aveva mangiato nulla fin dal mattino.
Quando si sentì un po’ meglio, si sciacquò la bocca più volte per liberarsi dal sapore sgradevole. Poi scostò la mano di Farrel che continuava a toccarle il collo.
"Ti senti meglio adesso?"
Jessi si voltò lentamente e incrociò lo sguardo di Farrel. Come poteva non innamorarsi di un uomo che la trattava con tanta dolcezza? Poteva persino leggere la preoccupazione nei suoi occhi.
"Voglio andare a casa ora. Scusami… mangia da solo, per favore."
Provò ad allontanarsi spingendolo leggermente, ma Farrel non le permise di andarsene: le afferrò il braccio.
"Facciamo finta che tu non abbia mai detto nulla, e io non abbia mai sentito niente. Rimani. Mangiamo insieme."
"Un anno e più non è poco, Farrel. So chi sono… e so perché sono qui. Ma sono solo una persona. Ho un cuore, ho dei sentimenti. Non posso restare con te se sei sposato. Ti prego… lasciami andare."
"Te l’ho già detto," ribatté Farrel con tono fermo, "solo io posso decidere questo, Jessi. Solo io!"
"E puoi davvero ignorare quello che ho appena detto? Possiamo continuare a vivere questa follia come se nulla fosse?" Il cuore di Jessi era in tumulto. Non si rese nemmeno conto che, per la prima volta, stava sfidando apertamente Farrel.
Farrel sorrise con disprezzo.
"Hai forse già ricevuto abbastanza soldi da me, che ora ti permetti di ribellarti così?"
Le lacrime le rigavano gli occhi, ormai incapaci di trattenersi. Il dolore di un amore che non avrebbe mai avuto risposta la stava lacerando.
"Pensa quello che vuoi. Io… voglio solo tornare a casa."
Si portò una mano alla testa, che le pulsava di dolore. Barcollò: non aveva mangiato nulla per tutto il giorno.
"Jessi!" Farrel la sorresse prontamente, poi la sollevò in braccio e la portò nella loro stanza.
"Mettimi giù, Farrel! Voglio tornare nel mio alloggio!"
"Stai male. Sei pallidissima. Non dire nulla e smetti di agitarti."
Adagiò Jessi sul letto, poi si allontanò per prepararle una bevanda calda, qualcosa da mangiare e delle medicine. Tornò poco dopo con tutto e, senza dir nulla, iniziò a imboccarla.
"Posso mangiare da sola."
"Voglio farlo io. Perché questa cena è per noi due."
Jessi non protestò più. Le mancava la forza per discutere.
"Mi stai facendo soffrire sempre di più, Farrel..." pensò, serrando le labbra.
"Prendi anche questa." Le porse una compressa per il mal di testa, seguita da un bicchiere d’acqua.
"Grazie."
"Riposa. Stasera non avrai alcun incarico."
Dopo aver ripulito tutto, Farrel si mise a sistemare la cucina. Da quando stava con Jessi, aveva iniziato ad occuparsi più spesso anche delle faccende domestiche. Finito di lavare i piatti, tornò in camera e si sedette sul bordo del letto, accanto a Jessi, che nel frattempo stava guardando il telefono.
"Non abbiamo mai parlato seriamente di questa situazione, nemmeno dopo che abbiamo accettato tutto ciò. Non m’interessa quello che hai detto. Non mi sono ancora stancato di te. Anche quando sarò sposato, tra noi non cambierà nulla."
"Sono già la tua prostituta privata, Farrel. Non costringermi anche a essere l’amante di un uomo sposato. Ho paura. Non voglio far soffrire tua moglie."
"Dopo il matrimonio, Dania e io ci trasferiremo a casa dei miei genitori. Ma io continuerò a venire qui. La mia decisione non è negoziabile. Ora dormi. Ho del lavoro da fare."
Per evitare ulteriori discussioni, Farrel mentì e si diresse verso il suo studio.
***
La mattina seguente, Farrel era già pronto: elegante e profumato, vestito in modo impeccabile. Aveva usato proprio quel profumo che tanto piaceva a Jessi.
"Che ore sono?" chiese Jessi con voce rauca, appena sveglia.
"Le otto," rispose Farrel con calma.
"Le otto?! Perché non mi hai svegliata, Farrel?! Ugh..." Appena si sollevò, si sentì mancare e si lasciò cadere seduta sul bordo del letto.
"Hai ancora le vertigini?" chiese Farrel, preoccupato.
"Un po’. Ma perché non mi hai svegliata? Ora farò tardi al lavoro."
"Oggi non andrai in ufficio. Resta qui e riposati. Hai ancora un aspetto pallido. Ti ho preparato del porridge. Mangialo e prendi un’altra medicina. Ho una riunione questa mattina, ma appena finisco torno da te."
Prima di uscire, Farrel le diede un bacio sulle labbra.
"Mi proibisci di amarti, ma poi mi tratti così... Come posso far finta di niente e convincermi che non ti amo, Farrel?"
Jessi si chiuse in bagno. Si lavò e pianse a lungo, cercando di liberare il peso che le schiacciava il petto. Quando si sentì un po’ meglio, uscì indossando solo un accappatoio. Sorrise debolmente nel vedere il porridge appoggiato sul comodino.
"Ugh..." Appena si avvicinò per mangiare, dovette correre di nuovo in bagno: la nausea la assalì ancora.
"Cosa mi sta succedendo? Perché mi sento così da ieri?"
***
"C’è qualcos’altro, signora Ilmi?" chiese Yosi Febrian, la madre biologica di Jessi. "C’è del pesce affumicato. Dopo alcune settimane senza merce, oggi finalmente è tornato. E solo perché sono andata al mercato più presto del solito," disse Yosi, cercando di offrire la sua merce.
"Basta così, signora Yosi."
Yosi calcolò subito il totale della spesa della vicina. "Ecco il resto, signora."
"Grazie mille."
"Di niente," rispose Yosi con gentilezza.
D'altronde, vivere in un villaggio e gestire un piccolo negozio di generi alimentari significava saper trattare bene con i clienti. Come venditrice, doveva riuscire a trasmettere sicurezza e comfort a chi comprava da lei, sperando che continuassero a essere clienti abituali.
"Jessi lavora in città ed è diventata davvero una donna di successo, signora Yosi. Guardi come riesce a rendere felici i suoi genitori."
Chiunque conoscesse la vita della famiglia di Jessi stenterebbe a crederci. Sono passati solo pochi anni da quando Jessi è andata a lavorare in città, eppure è già riuscita a risollevare l’intera famiglia. Alcuni non nascondono la loro invidia per il successo raggiunto.
"Sia lodato il Signore, signora Ilmi. Non deve essere stato facile nemmeno per Jessi, laggiù. Ma l’importante è che ora non siamo più un peso per lei."
Yosi faceva ancora fatica a crederci. Tutte le difficoltà sembravano ormai un lontano ricordo.
"Mio nipote è disoccupato da un mese, signora Yosi. Non è che per caso Jessi conosce qualche opportunità di lavoro? Magari anche lui potrebbe avere fortuna, come lei," disse Ilmi, speranzosa.
"Per quanto riguarda i posti di lavoro, non saprei davvero, signora Ilmi."
"Per favore, chieda a Jessi, signora Yosi. Magari lei può aiutare mio nipote," insistette Ilmi, con uno sguardo implorante.
"Va bene, glielo chiederò la prossima volta che mi chiamerà."
"Grazie mille, davvero, signora Yosi. E scusi se la disturbo."
"Non è affatto un disturbo, signora Ilmi."
"Davvero? Allora, posso prendere il pesce affumicato a credito? Solo mezzo chilo."
È uno dei rischi per chi fa il commerciante in un piccolo paese. Quando si ha un’attività, è inevitabile avere clienti che chiedono di pagare più tardi.
***
"No, no. Non è possibile." Jessi scosse la testa lentamente, come a voler scacciare i pensieri che le frullavano nella mente. Ma quando ricordò l’ultima volta che aveva avuto il ciclo, fu presa dal dubbio.
Senza toccare il porridge che Farrel le aveva preparato, decise di lasciare l’appartamento. Tornò alla pensione con un passaggio in moto-taxi.
"Signore, possiamo fermarci un attimo in farmacia?"
"Certo, signorina."
Appena arrivata, si chiuse in camera. Fissava le confezioni di diversi test di gravidanza. Aveva paura, ma la curiosità era più forte.
"E se fossi incinta? Cosa dovrei fare?"
Trattenne il pianto, rannicchiandosi nell’angolo del letto. Il corpo le tremava per il terrore. Dopo alcune ore, trovò il coraggio di andare in bagno e provare uno dei test.
‘Dio, ti prego, non sono pronta!’ pregò Jessi dentro di sé, chiudendo gli occhi. Aveva appena immerso il test nell’urina raccolta.
Inspirò ed espirò più volte, cercando di calmarsi. Poi, finalmente, trovò il coraggio di guardare il risultato.
"Oh!" Rimase scioccata. Gli occhi non riuscivano a sbattere le palpebre e le bruciavano mentre fissavano le due linee sul test. "Quindi… sono incinta?" Il dolore la travolse. Sperò, anche solo per un istante, che il test fosse sbagliato. "E adesso?"
Jessi ricominciò a piangere. Si sedette, rannicchiata sul pavimento del bagno. La mente in tumulto.
"No, no. Non devo piangere così. La commessa della farmacia ha detto che il risultato è più accurato se fatto al mattino, appena sveglia. Lo rifarò domani. Magari sarà diverso."
***
"La riunione finisce qui," disse Farrel, lasciando la sala dove erano presenti i manager dei vari reparti.
Durante tutto il tempo, Farrel non riusciva a concentrarsi. Jessi continuava a occupare i suoi pensieri.
"Ho altri appuntamenti in programma?" chiese, una volta seduto alla sua scrivania.
"Alle tre del pomeriggio, abbiamo un incontro con i clienti della PT. Sumber Anugerah, signore," rispose Edgar, il suo assistente.
"Ricordamelo due ore prima. Ora voglio tornare a casa a riposare."
"Va bene, signore."
Anche Edgar uscì dall’ufficio, osservando la schiena dell’erede unico dell’azienda.
"Non si riposava di solito nella stanza privata del suo ufficio?" borbottò Edgar tra sé. Iniziava a sospettare che ci fosse qualcosa di urgente, visto che Farrel sembrava così di fretta.
Farrel stava già guidando a gran velocità, accelerando ogni volta che la strada si faceva libera. Appena arrivato al seminterrato dell’appartamento, corse verso l’ascensore. Il cuore colmo d’ansia per Jessi.
"Jessi."
Gli occhi di Farrel scrutarono la stanza. Non c’era traccia di Jessi. Quella stanza che aveva visto nascere ogni momento della loro relazione. Persino il porridge che aveva preparato quella mattina era ancora intatto.
"Perché se n’è andata senza dirmelo?" sibilò Farrel, afferrando il cellulare. Nessun messaggio da parte della sua amante.
Provò a chiamarla. La prima volta non rispose. Non si arrese. Chiamò di nuovo, ma sembrava che Jessi avesse spento il telefono.
"Maledizione!" urlò Farrel, scagliando il cellulare sul letto con rabbia.
